Corriere della Sera - Sette

Scuola di antiviolen­za

Tre anni di corso all’università sui maltrattam­enti alle donne: perché raccontare non basta, si deve capire

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ABologna, per la prima volta in Italia, un’università ha organizzat­o, per tre anni consecutiv­i, un corso sulla violenza contro le donne. Un corso regolarmen­te inserito nel piano di studi della laurea triennale in filosofia, al pari dell’informatic­a e delle lingue straniere. Fuori da ogni spettacola­rizzazione, si è cercato di affrontare questa drammatica questione sociale, con le soli armi del ragionamen­to e del dialogo; e lo si è fatto chiamando a parlare persone di diversa formazione scientific­a e profession­ale, non necessaria­mente professori universita­ri. Dal corso è nato un libro, Lasciatele vivere. Voci sulla violenza contro le donne ( edito da Pendragon), a cura di Valeria Babini. Ho visto le bozze, confesso, alla ricerca di storie. Ma in effetti di vicende la quotidiani­tà ne offre già troppe. La vera storia che si può trovare nel libro è quella del tentativo di mettere insieme studenti e pubblico, portarli dentro l’università o meglio aprire l’università alla cittadinan­za, per sollecitar­e tutti a pensare e riflettere insieme sulle cause della violenza contro le donne. E non va dimenticat­o, nel racconto di questa storia, che nelle aule è entrato anche un giovane ma già affermato regista, Germano Maccioni, che da quel corso ha ricavato un docu- film, in cui anche gli studenti parlano, s’interrogan­o, discutono. Si rimprovera spesso, e giustament­e, all’università di essere distante dai problemi della vita; figurarsi poi quanto può essere lontana dalla dimensione affettiva e dai problemi reali della convivenza fra le persone. Questa volta l’accademia è stata costretta a un avvici- namento forzato, perché due donne – appunto Valeria Babini e la coordinatr­ice del corso di laurea in filosofia Annarita Angelini – hanno voluto farlo a tutti i costi: letteralme­nte, perché hanno dovuto trovare quel po’ di denaro che serviva per far arrivare a Bologna relatrici e relatori ( tra cui, per essere chiari, non c’è chi scrive), e perché all’università non si fa certo carriera occupandos­i di queste cose. Mi dicono che all’inizio gli studenti erano restii a partecipar­e. Intervista­ti a metà corso da una giornalist­a de L’Espresso hanno poi dichiarato che sì, in effetti, poteva essere un’esperienza importante e formativa. Intanto le professore­sse continuava­no a lavorare, con l’aiuto di una giovane tutor, Alice Graziadei. Così quando è venuto a parlare un filosofo del calibro di Remo Bodei c’erano i bolognesi accalcati in piedi e seduti sui gradini per ascoltarlo. Il libro, che raccoglie diciotto saggi, va letto perché il racconto dei femminicid­i non basta; bisogna capire. Personalme­nte resto convinto che la molla delle violenze spesso sia la paura. I roghi delle “streghe” del resto furono accesi da uomini che avevano paura delle donne. ( Nei secoli le cose sono all’evidenza cambiate; ma non del tutto). Paura della libertà della donna, in particolar­e della sua libertà sessuale. Incapacità di accettare un no o un basta, un rifiuto o un abbandono. Molti uomini restano troppo immaturi o troppo retrogradi per capire che la libertà non va concessa; può essere solo riconosciu­ta. E nessuna donna ci appartiene per sempre.

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