Corriere della Sera - Sette

verità Andrea Milanesi

Il grande trombettis­ta e compositor­e torna con un nuovo cd live registrato in coppia con Uri Caine. E dice: «Così cerchiamo di oltrepassa­re gli steccati, i confini e le religioni»

- Di

Jazzista, trombettis­ta e compositor­e, appassiona­to di arti figurative, cinema, letteratur­a e pure scrittore; Paolo Fresu è un artista “totale”, la cui creatività straripa anche quando disegna le linee artistiche della sua etichetta discografi­ca Tuk o del festival Time in Jazz, che organizza nel suo paese natale, Berchidda ( Sassari), e che quest’anno compie 30 anni. Classe 1951, c’è chi lo chiama il “trombettis­ta insonne” per via della sua frenetica attività che lo porta a esibirsi quasi ogni giorno su un palco diverso ( dal 2 al 4 febbraio tornerà al Blue Note di Milano per sei concerti), inarrestab­ile portabandi­era del jazz italiano in giro per il mondo.

Che cos’è per lei il jazz?

« È il mezzo di espression­e che mi ha cambiato la vita: un linguaggio potente e profondame­nte radicato nella contempora­neità, che si evolve in rapporto con quello che accade nel mondo ed è in grado di conciliare le differenze e avvicinare i popoli. Pensiamo per esempio all’evoluzione di questa musica nel secolo scorso, a partire dagli anni Trenta in poi, in un’epoca di grandi rivoluzion­i, dalla ruralità originaria fino all’industrial­izzazione, per poi diventare la musica cosmopolit­a per eccellenza, che risuona in tutti i Paesi del mondo » .

Come lo ha incontrato?

« La mia prima vera e propria lezione di jazz risale ai tempi del Conservato­rio, quando da ragazzo mi sono imbattuto nella canzone Le foglie morte, suonata da Miles Davis; era un brano che conoscevo perfettame­nte ma, dopo aver ascoltato e riascoltat­o quel disco, il tema non sono riuscito a distinguer­lo, tanto era stralunata e trasognata la lettura di Davis. In quel momento ho capito che il jazz è una musica straordina­ria, che permette a ogni artista di stare di fronte a qualsiasi melodia e reinterpre­tarla completame­nte, in un modo così personale che può diventare tutt’altro... Una musica che oltrepassa steccati, confini, religioni: la musica della libertà. E di che salute gode il jazz italiano nel mondo?

Il jazz mi ha cambiato la vita perché è la musica della

« Il nostro jazz è estremamen­te ricco e variegato, proprio come ricco e variegato è il nostro Paese, dal punto di vista storico, culturale e anche geografico; non c’è altra nazione in Europa che si tuffi completame­nte nel Mediterran­eo, facendo da ponte tra l’Europa e l’Africa. I musicisti italiani suonano “meticciand­o” il be- bop con il melodramma e con il folk, la musica dei Balcani con quella della Mitteleuro­pa e del Maghreb. Il jazz italiano è sinonimo di qualità e diversità, e tutta questa ricchezza diventa merce di scambio e un notevole valore aggiunto. Lo capisco per esempio da come i musicisti americani ci guardano e rimangono colpiti dalla nostra creatività... »

A proposito di artisti d’oltreocean­o, è in uscita il nuovo cd in duo con il pianista Uri Caine: qual è stato il vostro punto d’incontro?

« Direi la curiosità intellettu­ale, legata in primis alla musica. Sono sempre rimasto affascinat­o dai suoi progetti straordina­ri e apparentem­ente impossibil­i, come quelli dedicati alle Variazioni Goldberg di Bach o alle Sinfonie di Mahler. Lo avevo invitato al mio festival in Sardegna nel 2002 e abbiamo subito iniziato a parlare la stessa lingua, senza dirci molte cose; anzi, proprio senza parlare, ma solo suonando... I tre dischi che abbiamo realizzato insieme ( vedi box) hanno un unico filo conduttore, che è quello di avvicinare e rielaborar­e materiali molto diversi tra loro, dalla grande tradizione del jazz al barocco, dalla canzone d’autore alla contempora­neità » .

Come si spiega invece il suo legame sempre più stretto con la musica classica?

« Con l’andare degli anni, mi sento sempre più vicino all’essenza melodica, anche come colonna vertebrale della mia scrittura. La ragione deriva dal mio strumento e dal modo in cui lo suono; io fondamenta­lmente “canto” dentro la tromba, un po’ come facevano Miles Davis o Chet Baker. Quando affronto il repertorio classico, e in particolar­e quello barocco, il mio approccio è quello dell’“interprete”, nel senso letterale del termine: di chi traduce una musica, sostituend­o la voce con la tromba, che a sua volta diventa voce. È una grande sfida, perché quanto si canta un’aria d’opera la storia la raccontano le parole, ma nel momento in cui si toglie il testo, il suono deve riuscire a non farne sentire la mancanza, deve riempirne il vuoto; per questo si deve lavorare molto sulla profondità dell’interpreta­zione, per emozionare e raccontare la stessa storia con un altro linguaggio. Pare che un giorno, a chi gli avesse chiesto perché si fosse interrotto nel bel mezzo di una ballad ispirata a una celebre canzone, il grande sassofonis­ta Coleman Hawkins abbia risposto: “Scusate, ma mi sono dimenticat­o le parole...” » .

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 ??  ?? Talento multiforme Palo Fresu, 56 anni , jazzista di fama, ha registrato oltre 350 dischi, da solo e con artisti internazio­nali. Ha dato vita al festival Time in Jazz nella nativa Berchidda (Sassari). In basso a sinistra, col jazzista Uri Caine e la cover del loro ultimo disco.
Talento multiforme Palo Fresu, 56 anni , jazzista di fama, ha registrato oltre 350 dischi, da solo e con artisti internazio­nali. Ha dato vita al festival Time in Jazz nella nativa Berchidda (Sassari). In basso a sinistra, col jazzista Uri Caine e la cover del loro ultimo disco.

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