La circolarità che fa bella la scienza
«[54] Studia prima la scienzia, e poi seguita la pratica nata da essa scienzia. [80] Quelli che s’inamorano di pratica sanza scienzia, sono come li nocchieri ch’entran sanza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica debb’esser edificata sopra la bona teorica, della quale la prespettiva è guida e porta, e sanza questa nulla si fa bene ne’ casi de pittura»
Il Libro di Pittura di Leonardo si configura come uno straordinario “zibaldone” di osservazioni scientifiche e pensieri, annotati quotidianamente a partire dagli anni Novanta del Quattrocento. Ma anche come una miniera ricca di disegni, necessari per interpretare la scrittura e per testimoniare l’indissolubile dialettica tra parola e immagine. Sparsi in diversi manoscritti, solo dopo la sua morte questi frammenti furono assemblati, in forma di libro, nel Codice Urbinate, dal suo allievo Francesco Melzi, che aveva vissuto con lui in Francia. Concentrandosi sulla pittura ( intesa come forma di conoscenza fondata sull’intreccio tra scienza e filosofia), Leonardo si occupa anche del rapporto tra “teoria” e “pratica”. Prima di eseguire, è necessario studiare. Dalla « scienzia » poi « seguita la pratica » , la fase produttiva in cui si realizza ciò che si è progettato. Coloro « che s’inamorano di pratica sanza scienzia, sono come li nocchieri ch’entran sanza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano » . La “buona pratica” può derivare solo dalla « bona teorica » ( e qui, nel manoscritto, si rinvia all’Ars poetica, in cui Orazio parla della necessaria interazione tra studio e ingegno): non è possibile, infatti, pilotare una nave « sanza timone o bussola » . Il vero artista, insomma, che vuole farsi « onorare » non può lasciarsi tentare dal percorrere le vie più facili: « non passi niente de l’opera che bene non sia considerata dalla ragione » ( 76, p. 182). E in questo stesso frammento, datato intorno al 1492, il Maestro mette in guardia dal non cadere in un’altra pericolosa tentazione: « Adunque tu, pittore, guarda ch[ e] la cupidità del guadagno no[ n] superi in te l’onore de l’arte, ché ‘ l guadagno de l’onore è molto maggiore che l’onore delle ricchezze » . E anche se Leonardo ribadisce che « nissuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienzia, se essa non passa per matematiche dimostrazioni » , più avanti però afferma che non bisogna credere che « le scienzie, che principiano e finiscano nella mente, abbiano verità » : « i discorsi mentali » ( che favoriscono la costruzione della scienza) hanno anche bisogno dell’esperienza, « sanza la quale nulla dà di sé certezza » ( 1, p. 132). Ora queste osservazioni di Leonardo, estrapolate dal loro contesto, potrebbero farci riflettere su due enormi pericoli che stiamo correndo. Il primo: l’eccessiva attenzione per l’applicazione pratica dei saperi. Privilegiare solo gli aspetti “utili” ( soprattutto in un’accezione economica: grandi profitti nel minor tempo possibile) della conoscenza significa dimenticare che le grandi rivoluzioni nella storia della scienza sono state realizzate da studiosi mossi dall’esclusivo interesse di coltivare la propria curiosità. Il secondo: che l’ultraspecializzazione e la separazione tra cultura scientifica e umanistica ( Leonardo spaziava dall’anatomia alla meccanica, dalla matematica all’architettura, dalla pittura all’idraulica, dalla letteratura all’ingegneria militare) finiranno sempre più per rendere il sapere meno umano. Per asservire la conoscenza agli esclusivi interessi del mercato.