di papà di Massimo Gaggi
Dalle passerelle alla Casa Bianca: ecco chi è Ivanka, “la roccia”
L’adolescenza da nata ricca non induca in errore: la cocca di papà Trump è molto più tosta di quanto si pensi. E la scelta del profilo basso sembra solo un modo per manovrare meglio
My Rock”: così Barack ha chiamato per anni Michelle. Ogni presidente ha bisogno di una roccia a fianco a sé per trovare conforto ed equilibrio nei momenti difficili di tante sconfitte, delle scelte tormentate, delle tragedie nazionali, nella solitudine claustrofobica della vita in una Casa Bianca che è molto più piccola di quanto non si pensi: al centro del mondo, ma isolata dalla gente. Figure sempre determinanti le first lady: Laura e Barbara per i Bush, Hillary per Bill Clinton. Figure che a volte sconfinano addirittura nel mito: Jacqueline per Kennedy, Eleanor per Franklin Delano Roosevelt. La roccia di Donald Trump, almeno nella prima parte della sua presidenza, non sarà la moglie Melania, che resterà a New York per seguire il figlio Barron in un delicato periodo scolastico e adolescenziale, ma l’a- matissima Ivanka, figlia del suo primo matrimonio, quello con Ivana. A vederla alla cerimonia inaugurale o durante la convention repubblicana o nelle interviste nelle quale si è sforzata di spiegare e umanizzare il padre durate la campagna elettorale – sempre impeccabile, elegante, cordiale e distante al tempo stesso – sembra si sia preparata questo per tutta la vita. E invece questa 35enne già con tre figli, convertita all’ebraismo per sposare Jared Kushner, discendente di un’altra dinastia imprenditoriale newyorchese, abituata a rispettare il sabbath – sabato in casa senza attività ( niente tv e telefonino) solo dedicato ai rapporti familiari – viene da un passato molto diverso. Bella, ricca, tentata da una vita al cento per cento mondana, a vent’anni Ivanka si era messa a fare la modella e vedeva profilarsi davanti a sé un futuro da Kardashian: amica fin dall’infanzia di Paris Hilton, salta di festa in festa e, per quattro anni, dal 2001 al 2005, è legata sentimentalmente a un personaggio della scena notturna di Manhattan: James Gubelmann, detto “Bingo”. Uno che oggi è sotto inchiesta per la cocaina che ha ricevuto dal bassista della band dei Maroon Five.
Primi amori. Sono gli anni ruggenti nei quali un’irrequieta Ivanka si immerge nella New York “da bere”. Fino a 15 anni alla Chapin School di Manhattan, poi mandata in una boarding school, una sorta di collegio, aWallingford, in Connecticut, a completare il liceo: in “esilio”, lontana dai divertimenti e dagli amici di Manhattan. Quando torna, frequenta per due anni la Georgetown University, prima di passare alla Wharton Business School della University of Pennsylvania, quella del padre. Intanto sale sulle
passerelle, va in copertina sui magazine di moda, e nel 2003 è coprotagonista di un documentario, Born Rich, nati ricchi, girato artigianalmente da un altro “nato ricco”: Jamie Johnson, erede della famiglia che fondato la multinazionale Johnson & Johnson. Di qualità tecnica abbastanza scadente, il film ha tuttavia successo – trasmesso da Hbo e presentato al Sundance Film Festival – perché Johnson, uno che si interroga sul suo futuro di uomo che non ha bisogno di lavorare per vivere da quando il padre gli consiglia di darsi alla collezione di documenti rari per dare un senso alla sua vita, racconta senza veli la ricchezza enorme, quasi assurda, dei Trump, dei Bloomberg, dei Vanderbilt. I luoghi, i riti delle tribù dei miliardari e uno sfarzo che non dà felicità. Sono gli anni nei quali Ivanka si scuote: si laurea col massimo dei voti e va subito a lavorare nell’azienda paterna. Lascia “Bingo” e si fidanza con Jared. Due anni dopo, nel 2007, è già imprenditrice: insieme a un’azienda che sceglie come partner, la Dynamic Diamonds, lancia la sua linea di gioielleria, la Ivanka Trump Fine Jewelery, che viene distributa in vari negozi di New York. Un business che, anno dopo anno, si allargherà agli accessori, ai vestiti, alle scarpe. Un piccolo impero economico che fa uscire Ivanka dall’ombra del padre, ma che le crea anche vari problemi: la causa intentata dall’italiana Aquazzura per le scarpe copiate dalla sua linea, le sciarpe sequestrate perché estremamente infiammabili, realizzate con un tessuto non a norma. E i bracciali e gli abiti indossati durante eventi politici ai quali aveva partecipato a fianco del padre,
pubblicizzati il giorno dopo sui siti web. E se papà Donald ha costruito il suo piedistallo populista sulla demonizzazione delle merci importate dall’Asia o dall’America Latina, quasi tutti gli oggetti della linea Ivanka sono prodotti in Cina, Messico o nel subcontinente indiano. Ora che si trasferisce a Washington a fianco del padre, la First Daugther cerca di cancellare tutto, isolandosi dal suo patrimonio: lasciate tutte le cariche nel gruppo paterno, si è anche esclusa dalla gestione dell’azienda che gestisce il suo marchio. Tutte le responsabilità sono ora della sua manager Abigail Klem. Ovviamente sono in molti a dubitare che
questo basti a scongiurare il rischio di conflitto d’interessi: rinunciare all’amministrazione di un’impresa significa relativamente poco quando il suo oggetto sociale è, sostanzialemente, il suo stile di vità e la sua celebrità.
Attenta agli spigoli. Ma con “The Donald” e il suo clan c’è poco da fare: lui è un rullo compressore e Ivanka, anche se, almeno a parole, cerca di frenarlo un po’, è a bordo. Poi, anche il suo ruolo di freno è tutto da verificare. La figlia, quanto a fiuto degli affari e a spregiudicatezza nel cogliere le opportunità, non è molto diversa dal padre. Cerca solo di smussare gli spigoli più pericolosi della personalità di Trump, di evitare rotture traumatiche, ed è stata dav- vero coraggiosa e abile nel lavoro di ridimensionamento del danno, quando sono venute fuori dichiarazioni indifendibili di The Donald, soprattutto quelle che riflettono la sua misoginia. Ivanka l’ha sempre difeso, mai irritata per gli attacchi subiti dal padre, sempre pronta a squadernare i dati delle donne manager che hanno fatto carriera dentro la Trump Organization. Davanti alle affermazioni sessiste più volgari, ovviamente, ha preso le distanze. Poi la notazione dubbiosa ( « Lo conosco, lui non è così » ) , infine il perdono. Anche quando è venuta fuori una vecchia registrazione nella quale Trump parla con ammirazione
delle parti anatomiche della figlia. Diversa la reazione di Ivanka dieci anni fa, quando la frase affiorò per la prima volta: disse che se Donald non fosse stato suo padre, gli avrebbe spruzzato in faccia un flacone di spray anti molestatori. Che farà Ivanka alla Casa Bianca? Criticata dai democratici e dai media perché lei e il marito stanno aggirando le norme della legge anti- nepotismo varata mezzo secolo fa quando John Kennedy si portò al governo il fratello Robert, la figlia di Trump non ha assunto cariche formali negli uffici di presidenza, a differenza del marito che sarà senior advisor, uno dei tre consiglieri più influenti del presidente. Ostentando modestia, Ivanka ha detto che si occuperà soprattutto dei tre figli – Arabella, Joseph Frederick e Theodore –, cercherà un ruolo nel campo della promozione delle donne lavoratrici e vedrà in che modo rendersi più utile per il padre. Apparentemente, insomma, la First Daughter lascia il palcoscenico a Jared, ma lei sa bene che Donald, letteralmente invaghito da lei ( « Le farei il filo se non fosse mia figlia » ) , non si priverebbe mai dei suoi consigli e della sua presenza rassicurante. Basti pensare che quando il premier giapponese Abe è andato a conoscere il neopresidente nella Trump Tower è stata lei la prima a riceverlo. Lei e Jared, poi, sono una coppia molto unita, e Kushner è riuscito a conquistarsi la piena fiducia del suocero. Anche se non è stato sempre così: qualche tempo dopo il fidanzamento, nel 2005, Jared e Ivanka entrarono in crisi, soprattutto per l’ostilità della famiglia di lui all’unione. E qui entra in campo un’altra protagonista della “Trump Story”: Wendi Deng, a quel tempo ancora moglie di un altro miliardario, il tycoon dei giornali e delle televisioni Rupert Murdoch. Siamo nel 2008, Jared e Ivanka hanno rotto da tempo. Wendi invita Kushner a passare un weekend sullo yacht dei Murdoch senza dirgli che a bordo ci sarà anche Ivanka. È il momento della riappacificazione, con la figlia di Trump che decide di convertirsi all’ebraismo. Il legame tra Wendi e Ivanka diventa d’acciaio ( le due hanno anche fatto insieme le vacanze in Croazia, l’estate scorsa), mentre l’amicizia della figlia di Trump con quella di Hillary Clinton, Chelsea, che sembrava a prova di dispute politiche tra le due famiglie, soffre per la ferocia dello scontro elettorale. Dopo il divorzio da Rupert Murdoch, a Wendi viene attribuita anche una
tenera amicizia ( peraltro mai confermata) con Vladimir Putin. Argomento che si presta a ogni tipo di illazione, vista la cordialità nei confronti del capo del Cremlino ostentata più volte da Donald Trump. Ma per adesso alla Casa Bianca Ivanka si dedicherà alle cause che sente di più: ambiente e promozione delle donne lavoratrici, come detto. Con l’ambiente non è andata un granché bene: ha anche portato dal padre due campioni della lotta contro il global warming, Al Gore e Loenardo DiCaprio, ma senza scalfire lo scetticismo di Donald. Ci riprova con le donne in carriera: alla vigilia dell’insediamento del nuovo presidente, ha invitato a cena per discutere della sua causa alcune delle donne più potenti del mondo: dall’amministratore delegato dell’Ibm, Ginni Rometty, a Ursula Burns, presidente della Xerox. Diventerà amica anche di Michelle Obama? A Washington saranno vicine di casa – Ivanka andrà a vivere a due isolati dal villino del quartiere di Kalorama acquistato dalla ex coppia presidenziale – ma, anche se la giovane Trump ha sempre ostentato amicizie “bipartisan”, immaginarla intima della tostissima Michelle è francamente difficile.