Corriere della Sera - Sette

tortellone

Caro Rana, come si dice in americano?

- di Francesco Battistini

Ora che è sbarcato negli Stati Uniti, il re italiano della pasta fresca lancia il suo proclama: «I fastfood? Mai stato. Ci vanno i giovani, poarini. Io peso cento chili, ma sono cento chili di qualità, non di ketchup e di hamburger»

L’ha sentita la Littizzett­o in tv? « Simpatica, mi cita spesso. Che cos’ha detto? » . Che dall’Italia se ne vanno via tutti, anche Marchionne investe solo in America, e non può mica far tutto Giovanni Rana… « È un bel paragone, ha detto la verità! Qui ormai c’è solo Rana che manda fuori i tortellini » . Mai pensato d’andarsene anche lei? « Ma dove vai? In Africa a fare i ravioli? In Cina? Risparmi manodopera, ma il prodotto fresco mica puoi farlo là. Mio figlio Gian Luca è l’amministra­tore delegato che fa andare avanti tutto e sta mettendo su un centro controllo qualità nuovo, sale nuove, dieci ragazzi da assumere. Intanto ha aperto in America. Nel 2010 siamo andati insieme a vedere un capannone d’occasione a Chicago, eravamo là a fotografar­lo tutt’e due ed è cominciata l’avventura. Lui oggi va avanti e indietro, io sono stato due settimane a Hollywood a girare la nuova pubblicità. Ma non ho bisogno di distaccare da un’altra parte i cervelli. Perché l’Italia deve risorgere, il genio italiano sa risorgere. Siamo sempre risorti » . Di che pasta sia fatto quest’uomo classe 1937, gl’italiani lo sanno da vent’anni: un sondaggio ai tempi di Wojtyla certificò che in popolarità era secondo solo al Papa. Oggi lo stanno scoprendo anche gli americani: sono quattro mesi che i nuovi spot girano su tutte le tv e gli affari crescono. « I came to America to share my Giovanni Rana ravioli… » : lui che offre un piatto fumante al surfista e al cowboy, alla mamma in suv e al carcerato color Guantanamo, lui che alla fine invita trecento americani a mangiare nella sua casa di San Giovanni Lupatoto, un prefabbric­ato in legno con la fabbrica intor- no. « I primi son già venuti. Tutti a visitare Romeo e Giulietta e poi a tavola. Se c’è una cosa che gli americania­manoè l’arte italiana dei sarti e dei gioiellier­i, Dolce& Gabbana e Armani li consideran­o mostri sacri, e allora anch’io nel mio piccolo mi sono presentato come mastro pastaio: vengo in America da Verona perché so fare questo mestiere… » . E l’inglese dove l’ha imparato? « Mica sono io, quello che parla nello spot! È stato bello perché gli americani mi han detto: Rana, tu non devi parlare inglese. Oooooh, meno male! “Ma sai altre lingue?”. So il dialetto veneto e l’italiano così così: sa, le doppie, la grammatica, noi veneti con l’italiano siamo un po’ scarsi… E infatti nello spot io dico solo buon appetito e poi enjoy your meal, l’unica roba che ho imparato » . Sbarca nell’America di Trump… « Questo Trump è un po’ fortino e tanti industrial­i come me, che hanno investito là, sono preoccupat­i. Ma ricordo che lo dicevano anche quando c’era Reagan: oddio un attore, un ignorante, un cowboy con la pistola… È stato uno dei migliori presidenti americani. Lui che veniva da Hollywood impose ai film americani d’avere almeno il 30 per cento d’attori neri. Certo, coi cinesi Trump non può mica farlo. Ma aspettiamo a vedere come va » . Che gusti hanno gli americani? « Mah, io di loro adopero certe materie prime: la ricotta, le uova, la farina che è migliore della nostra. Però il parmigiano, il pecorino, i prosciutti me li porto dall’Italia. Nel ristorante a New York gli faccio anche i ravioli col ripieno di hot dog, di panettone, di apple pie. Assaggio sempre, eh? Quel che piace agli americani, per carità, piace anche a me. Però non è che apprezzi più di tanto » . Mai stato in un fast food? « Mai. I giovani, poarini, ci vanno. Ma una

volta ho fatto prendere una polpetta per sentire com’era: è meglio quella che faccio in casa io. Io peso cento chili, ma sono cento chili di qualità, non di ketchup e di hamburger come gli americani: qua ( si batte la pancia) c’è prosciutto crudo, parmigiano, Valpolicel­la… Già è brutto ingrassare, ma ingrassare con le patatine è una tragedia: un essere umano, è meglio se si spara. Ho fatto venire qui anche i pubblicita­ri americani: non sapevano bene che messaggio dare, allora li abbiamo messi una settimana a cucinare e impastare con la farina e il mattarello. Il famoso cibo italiano che in America viene contraffat­to, si combatte anche così: raccontand­o la verità » . La verità è la sua faccia? « La mia faccia nella pubblicità serve a incuriosir­e. Ma senza la qualità, la pubblicità serve solo a buttar via soldi. Le gente oggi è esigente, controlla le etichette, vuole sapere le materie prime. Faccia un giro in fabbrica e vedrà: compriamo 800 mila uova al giorno, sgusciate, ed è come se le controllas­simo una per una. Lo stesso il radicchio, il mascarpone, i porcini, i formaggi, le carni, la ricotta. Una volta qui ero io il giudizio universale, dicevo sì o no: adesso ho sei stabilimen­ti, 2.500 dipendenti, fatturo 545 milioni e bisogna che sia condiviso tutto. Ho decine d’assaggiato­ri, perché il gusto è una scienza. Bisogna capire gli andamenti, la psicologia d’un prodotto, il colore, la confezione. Il marketing ha un’evoluzione incredibil­e. Io son partito che me lo facevo da solo, il marketing, con un quadernino e una matita… » . Nell’atrio dello stabilimen­to c’è ancora il suo Guzzino rosso, col cesto che usava per consegnare la prima pasta. « Eravamo tre fratelli maschi e due sorelle sposate. Avevamo un forno a Cologna Veneta, il paese del mandorlato. A 13 anni ho cominciato a fare il pane. Studiare poco, non ero uno molto affidabile. A vent’anni, mia madre Teresa dice a noi maschi: ragazzi, siete in tre, non potete stare tutti qua nel panificio. Io allora li ho radunati e ho fatto il mio primo cda: va bene, vi faccio un annuncio, vado a fare la pasta fresca e i tortellini. Mia mamma diceva “questo è matto”, ma io sul quadernino avevo fatto i miei conti: quando consegnavo il pane, vedevo che nei negozi c’era sempre quel chilo d’avanzi usati per i tortellini. Tortellini fatti un po’ così… Non ho mai studiato marketing, ma l’avevo capito: serviva una pasta fresca più buona. Sono andato da un anziano pastaio d’un paese qui vicino per imparare. Mio suoceromi ha dato una stalla da sistemare. Un cilindro, una taglierina e ho cominciato”. Quanti soldi aveva? « Mezzo milione di lire. Son partito con tre donne che facevano a gara per venire da me: chiacchier­avano, si divertivan­o, si prendevano mezzo chilo di tortellini e un po’ di soldi. Le pagavo in natura... Natura nel senso dei tortellini, eh? Le cose si sono messe subito bene. Em’è venuta l’idea della prima macchina con lo stampo Rana: me la feci fare da Torresani a Milano, in corso Como 11 » . I ragazzi, oggi, dicono che per voi era più facile partire da zero. « Le banche, è normale che facciano sempre fatica a darti i soldi. Ma una volta erano molto quadrate: adesso, se un ragazzo ha una start up e un progetto credibile, magari lo finanziano. Certo, se uno comincia con “mah, vorrei, potrei…”, non prende mai niente: ieri come oggi. Io ero andato nelle due banche del paese per avere otto milioni e non me li avevano dati. Per fortuna c’era un vecchio contadino coi soldi, esportava la frutta in Germania. Vado là e gli dico: senta, Facci, ho tanta buona volontà ma le banche… Lui mi offre un bicchiere di vino: vieni da una buona famiglia, va bene, emi dà 5 milioni per tre anni al 3 per cento. I giovani si lamentano, ma vede che non era tanto

diverso neanche allora? Le banche non mi avevano dato fiducia, il contadino sì. Fidandosi solo della mia faccia » . Metterci la faccia. Oggi lo dicono tutti. Ma quando lo fece lei coi primi spot… « Ci credevo solo io. Erano gli anni 80. Avevo una società di pubblicità che mi faceva le campagne locali sull’Arena, non bastava. Allora sono andato a Milano da Emanuele Pirella, io e Gian Luca, e mi sono trovato davanti quattro milanesi che cominciava­no a portarmi delle storie: la nonna che viene a casa, il mattarello, la cascina… Io dico: no, no, vorrei fare un’altra roba. Loro: ma come, non le piace, guardi che avrà successo… Io faccio un ragionamen­to mio e vado in vena, come dicono i medici: siccome in quel periodo la gente è malfidente sulle robe industrial­i, secondo me funziona di più se c’è uno dietro al banco che dice “state tranquilli, ci sono io”. Non sarò un attore, però in qualche maniera lo dirò!... Pirella mi squadra come i creativi quando credono che gl’insegni il mestiere. Mi dà la mano e so che sta pensando: ma scherziamo? Gian Luca, me lo ricordo sempre, mi disse: papà, quelli si sono incazzati. Ce ne andiamo. Aspettiamo. E dopo un mese si rifanno vivi: Giovanni Rana qua, Giovanni Rana là… » . Quegli spot, lei protagonis­ta, furono un successo clamoroso. « Io ho puntato sulla pubblicità perché nel mercato entravano le multinazio­nali. La Nielsen a quei tempi fa uno studio e dice che di lì a qualche anno, basta con la pasta secca, la gente mangerà solo pasta ripiena. Si scatena il panico. Io sono il leader della pasta fresca, piccolino ma con un gioiellino di capannone, e tutti cominciano a guardare a me. Mi offrono di comprarmi. Mi portano via i dipendenti. Il mio commercial­ista mi dà del matto perché non vendo. Dicono tutti: Rana ha i giorni contati, non ha venduto e adesso arrivano la Star, la Kraft, la Nestlé che si mettono in guerra a fare tortellini. Mi ricordo una volta da Piero Barilla. Lui mi mostrava un bel murales di Guttuso, due cavalli bianchi, e intanto mi domandava sempre di vendere. A un certo punto gli dico: ma senta signor Piero, perché non vende lei alla Nestlé? In fondo, Barilla sta alla Nestlé come Rana sta a Barilla… “Vedi, Giovanni, la mia azienda è come questi cavalli: io e i miei figli ci divertiamo tanto”. Io rispondo: sa, a casa mia io ho solo un asinello, ma anch’io e mio figlio ci divertiamo tanto... Siamo rimasti buoni amici, ma non m’ha più chiesto niente. Quattro anni dopo, con tutti i miei spot, Barilla aveva già smesso di fare la pasta fresca: lui e tutti quanti, spariti » . Ci prese gusto. Arrivarono anche gli spot in cui recitava coi divi di Hollywood… « A un certo punto ho bisogno di rinnovare il messaggio e Gian Luca mi dice: prendiamo Gavino Sanna, è il massimo. Questo Sanna viene in fabbrica coi capelli lunghi fino qui. È uno che a farlo ridere bisogna che gli fai le grattatine, fra me dico: cielo santo, speriamo. Per un mese non viene più: addio, ci ha abbandonat­i. Invece torna nel mio ufficio e porta le gigantogra­fie di Marilyn Monroe, Rita Hayworth, Humphrey Bogart: “Giovanni, se vuoi fare una cosa che spacca tutto, devi recitare con questi signori…”. E io: ma questi qui sono trapassati da trent’anni! E lui: facciamo tutto al computer. E io: ma guarda che io non ho mai recitato, finché c’è da mangiare un tocco di formaggio va bene, ma recitare è un’altra roba. Niente. Vado a Milano e faccio il provino in qualche maniera. È un successo enorme » . V’inventate anche lo spot con Stalin. « Io che do la mano a Giuseppe! Ha preso un sacco di premi. È l’unico spot che non ha versato i diritti d’autore. Ho pagato gli eredi di Marylin, di Bogart, perfino un nipote di Don Camillo. La figlia della Hayworth ha voluto vedere prima lo spot e poi dare i soldi ai malati d’Alzheimer. Con Stalin, invece, solo applausi. Un giorno vado a Bologna da uno che mi fa i plantari, perché ho un piede piatto, e il suo compagno è un comunista di quelli vecchio stampo. Porca miseria, appena sa che viene Giovanni Rana invita tutti ‘ sti vecchi comunisti della zona. Arrivo e… “Rana! Rana!”. Tutti col pugno alzato. Una festa. Avevo recitato con Stalin e quindi ero un compagno anch’io! Simpatici: i comunisti che mangiano i tortellini e non i bambini!... » Adesso le star tv del cibo sono su Masterchef. « Non lo guardo, mi sono antipatici. Conosco Cracco e Barbieri: non sono cattivi, però fanno la parte dei cattivi. Perfino coi bambini! La cucina è dolcezza, gioia. Il primo è stato quell’asino di Gordon Ramsey: ma perché devi fare la carogna con uno che fa da mangiare? È contro natura » . E il suo chef preferito chi è? « A me piace la cucina semplice. Quei piattini con dentro niente, no: mi tocca sempre mangiare tanti grissini perché, se bevo vino, mi resta la pancia vuota e vado a casa ubriaco. Ormai è diventato di moda parlare di cibo. Non se ne può più. Tutti t’insegnano a cuocere. Ma è un lavoro, e non lo sanno fare tutti » . Gli italiani mangiano meglio? « C’è stata una trasformaz­ione enorme. Mangiano meno pasta secca. Pasta fresca no, grazie a Dio, quella va avanti sempre perché ci sono i ripieni, cambiano i sapori, mentre la pasta secca è sempre la stessa: integrale, per ciliaci, ma sempre secca » . Slow Food, Eataly, le materie prime… « Slow Food è una gran bella roba in teoria, Carlo Petrini lo ammiro, ma mettere in pratica la sua idea fa fatica… Anche Oscar Farinetti è un grande, lui cerca tutto a km zero, però è impossibil­e. Ci riesci su alcuni prodotti, non su tutto. Qui la gente bisogna sfamarla, eh? C’è questa guerra al cibo delle multinazio­nali. Ma una grande azienda tante volte dà molta più sicurezza sotto il profi-

Non ho il computer e non ho il cellulare: internet è per quelli che stanno lì a spiare le donne nude, e io non ho quei vizi lì

lo igienico, di qualità, degl’ingredient­i » . Rana come li ordina, i tortellini: asciutti o in brodo? « La morte giusta è il brodo. Però i giovani non li mangiano in brodo, gli viene la tosse. Mia nipote Maria Sole non li tocca nemmeno. E sì che lei e suo fratello Giovannino sanno cucinare bene, una sui dolci e l’altro sul salato. Non usano la bilancia, da veri cuochi. Magari poi ti fanno una specialità con tanto di quello zucchero che ti viene il diabete, ma guardarli è uno spettacolo » . Come s’è inventato 180 tipi di ripieni? La Littizzett­o, sempre lei, la sfotte: tra un po’ Giovanni Rana ci rifilerà anche lo speck& banana o il pesce persico& genepì… « Ricotta e spinaci e prosciutto crudo sono i cavalli di battaglia. Non passano mai di moda. È lì che si fa la differenza. Adesso parto con la feta greca, poi ho esaurito tutte le idee. Il sogno mai realizzato è il tortellino col riso dentro. L’ho fatto con la paella, ma non è la stessa cosa: il riso è il mio cibo preferito, più dei tortellini, ma come ripieno non m’è mai riuscito perché il riso è un nobile e vuol andare per conto suo, non sopporta sposalizi » . Un flop? « Il ripieno al cioccolato: abbiamo chiamato un esperto cioccolata­io, creato la sfoglia

al cioccolato, era un capolavoro. Ma la gente non sapeva come mangiarlo. Mi scrivevano: l’ho preparato col ragù, ma non era tanto buono… E ci credo! È un dessert. Fallo flambé o col Grand Marnier, cosa c’entra il ragù? » . Vende in 38 Paesi, ha ristoranti da Londra al Lussemburg­o, sta già raddoppian­do lo stabilimen­to di Chicago… « Il cibo italiano va dappertutt­o. Ho faticato un po’ in Germania. Far capire qualcosa ai tedeschi sul cibo è difficile, compravano il tortellino precotto, dicevano che costava meno. Una cosa tremenda. Da un paio d’anni, l’hanno capita che il mio è un’altra cosa » . Trent’anni fa, in un’intervista, lei sbottava: ma quale Europa d’Egit- to!... « Stare in Europa per l’Italia è inevitabil­e. Con l’Inghilterr­a gli economisti sono disperati e anche noi siamo preoccupat­i. Ma vogliamo fare l’Europa unita con venti lingue diverse? In America è più facile, sei a New York e a 18 anni vai in Arizona senza problemi di lingua. In Italia purtroppo niente: posto fisso, vicino casa, aria condiziona­ta, ferie pagate, malattia facile… Non poteva durare così. Anche il Papa si lamenta perché i giovani vanno a lavorare all’estero. Ma per i ragazzi andare all’estero è una soluzione. Vanno, si svegliano e poi tornano » . C’è molta rabbia sociale. Bergoglio dice che è uno scandalo tanta ricchezza concentrat­a fra pochi. « Questo è un Papa che mi piace. Era un pezzo che non ne avevamo uno così. Parla della misericord­ia che abbraccia tutte le cose. Far ricchi tutti non si può, ma l’importante è che sia un po’ ricco anche il povero. Il comunismo non è di questa terra: quando andremo su, in Paradiso, il comunismo vero lo troveremo là » . Le sarà mica venuta la tentazione della politica? « A candidarmi ci hanno provato tutti! La Lega, il Msi, Fini… » . Fini da giovane lo chiamavano “tortellino”. E a una festa dell’Unità, fu Renzi a siglare un “patto del tortellino”… « Sì! Io sono andato alla festa dell’Unità, a quella della Lega, la politica la seguo ma non la faccio: i tortellini non hanno colore, sono super partes » . Cosa fa nel tempo libero? « Io resto sempre qui, esco di casa e voglio la mia fabbrica intorno. Il rumore delle macchine è la mia musica. Poi leggo quattro giornali al giorno. Guardo i film in bianco e nero su TeleCapri. Non ho il computer e non ho il cellulare: internet è per quelli che stanno lì a spiare le donne nude, e io non ho quei vizi. Adesso sto sistemando tutte le mie foto, guardi qua: l’udienza privata con Giovanni Paolo II, una cosa storica, per il Giubileo 2000 gli avevo fatto i ristoranti­ni per i pellegrini e l’unica cosa che avevo chiesto era un colloquio. Ci han messo sei anni a darmelo, due mesi dopo il Papa è morto: un po’ in ritardo, ma è stata un’emozione. Poi ho gli scatti con Messi, Jovanotti, Pavarotti, la Virna Lisi, una nipote dei Kennedy, Bruno Vespa, Benigni, John Elkann… Ho una collezione di rane finte, quando tornano da un viaggio me ne portano sempre una. Ballo il liscio. Vado alle sagre: zucca, culatello, broccolo, cozza, salama da sugo, domani sera se viene c’è la festa degli alpini, un salame da 15 chili. L’unico capriccio da ricco che mi son tolto è la piscina quasi olimpica con una scritta sul fondo: tortellini. Tutti i giorni, minimo venti- trenta vasche da 50 metri, metto le cuffie e canto le canzoni napoletane di Arbore. Sott’acqua, perché sono stonato come una campana. Se rinasco, faccio i tortellini o il cantante » . Perché non si compra il Verona? « Sponsor sì, presidente no. Se voglio buttar soldi, non li spendo nel calcio. Ho fatto il vicepresid­ente del Mantova, in serie C, e ho capito che cosa vuole dire » . Mangia ancora mezzo chilo di tortellini al giorno? « Ma no, un paio d’etti. Mezzo chilo ce la fa mio nipote, ma è alto 1,97 e ha il 49 di piede. A 20 anni mangiavo così anch’io e mica solo la pasta… Com’è quella famosa frase della Catherine Deneuve che mi dicevate? Gli italiani hanno in mente solo due cose, e l’altra non è la pasta… » . Ma quando vuole mangiare un tortellino fatto in casa? « Mia sorella, li fa lei. Davanti al mattarello, io m’inchino. Sarei un delinquent­e a dire che la pasta mia è migliore di quella di mia sorella. Il valore umano, il convivio… Ma scherziamo? Non c’è paragone. Dopo i suoi tortellini, però, vengono i miei » .

Francesco Battistini

Il riso è il mio cibo preferito, più dei tortellini, macome ripieno non m’è mai riuscito perché il riso è nobile e non sopporta sposalizi

 ??  ??
 ??  ?? Ricordi di famiglia Giovanni Rana accanto al Guzzino rosso con il cesto che usava per consegnare la prima pasta. Qui sopra, dall’alto, Rana bambino con Celina, una delle due sorelle; foto d’antan: da sinistra, il nipote Franco; Giovanni e il fratello...
Ricordi di famiglia Giovanni Rana accanto al Guzzino rosso con il cesto che usava per consegnare la prima pasta. Qui sopra, dall’alto, Rana bambino con Celina, una delle due sorelle; foto d’antan: da sinistra, il nipote Franco; Giovanni e il fratello...
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? con le maninella Un uomo sempre farina Giovanni Rana è nato nel 1937 a Cologna Veneta, il paese del mandorlato, da una famiglia di fornai. A 13 anni comincia a fare il pane. Nel 1961 fonda un laboratori­o a San Giovanni Lupatoto per la produzione di...
con le maninella Un uomo sempre farina Giovanni Rana è nato nel 1937 a Cologna Veneta, il paese del mandorlato, da una famiglia di fornai. A 13 anni comincia a fare il pane. Nel 1961 fonda un laboratori­o a San Giovanni Lupatoto per la produzione di...
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Il laureato 15 novembre 2006: Giovanni Rana riceve allo Iulm la laurea honoris causa in Relazioni pubbliche.
Il laureato 15 novembre 2006: Giovanni Rana riceve allo Iulm la laurea honoris causa in Relazioni pubbliche.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy