Convive con il digitale restando la carta vincente
Giunta in Europa, Dante la preferì al "vello". Ancora oggi è prodotta in enormi quantità e all'orizzonte non se ne vede ancora il declino
C'è una via della carta, accanto a quella della seta, su cui corrono le nuove tecnologie che offrono alle civiltà svolte decisive. Dalla Cina in cui viene inventata duemila anni fa la carta conquista l’India, poi l’Islam, e attraverso la Spagna araba arriva in Europa. Non soppianta gli antichi supporti, come il papiro o la costosa pergamena ( erano necessarie 225 pecore per ospitare una Bibbia), e anzi, ci convive a lungo. La pergamena non scompare: diventa uno status symbol, destinato ai sovrani, ai documenti e testi fondativi, al lusso. Sem-
bra preferirla anche Dante, che aveva un gran concetto della propria opera, sembra preferirla, anche se la parola "carta" compare nove volte nella Commedia, ben più della parola "vello", che designa la pergamena ( « Con altra voce omai, con altro vello/ ritornerò poeta… » ) . Ma via via che la produzione diventa più efficiente e meno costosa, le fortune della carta sono progressive, anche se bisogna arrivare ai primi decenni dell’ 800 perché il chimico francese Anselme Payen scopra che la cellulosa contenuta negli alberi offre la materia prima più conveniente. Sino ad allora si erano usati prevalentemente gli stracci, ma era difficile procurarseli in misura sufficiente, e la lavorazione causava gravi problemi di inquinamento, odori nauseabondi, rumori intollerabili. La carta da stracci o tessuti resta insuperabile, a dimostrarlo bastano i “tascabili” cinquecenteschi di Aldo Manuzio, perfetti ancora oggi, tuttavia la produzione è restata per secoli di gran lunga inferiore alla richiesta, cresciuta esponenzialmente con l’invenzione gutenberghiana della stampa a caratteri mobili. Il divulgatore americano Mark Kurlansky, che ce ne racconta la storia ( Carta. Una storia da sfogliare, Bompiani, pp. 560, euro 24,00), ci ricorda che per stampa- re il voluminoso romanzo di Cervantes il suo editore madrileno dovette penare quattro anni per raccogliere i 550.000 fogli che gli servivano. Le trenta pubblicazioni che Lutero diede alle stampe vendettero qualcosa come 300.000 copie, su una popolazione di 13 milioni di abitanti. In Italia il primo e più importante centro produttivo è Fabriano. C’è chi sostiene che nell’ XI secolo i suoi abitanti abbiano appreso e perfezionato l’arte cartaria dagli arabi, impegnati ad assediare la vicina Ancona, come proverebbero certi termini come “risma”, derivato da razmah, che stava a indicare il pacco standard di 500 fogli.
I "fogli" di Leonardo. Vengono rapidamente riconvertiti i mulini della zona, già utilizzati per la lana. La battitura degli stracci è operata con una serie di martelli azionati idraulicamente, che producono una polpa a costi assai inferiori a quella d’importazione. Il prodotto veniva poi patinato con gelatina animale, che migliora l’impermeabilità e la resistenza agli insetti. Altre innovazioni furono il telaio metallico e la filigrana, realizzata con un tratto di filo intrecciato in un telaio. La filigrana restava di proprietà del singolo cartaio che l’aveva realizzata, e una cartiera poteva offrirne un’intera gamma. Nel XIV sec. Fabriano contava una quarantina di cartiere e una produzione sino a 5.000 fogli al giorno, esportati a Bologna, Amalfi, Foligno, Lucca, in Lombardia e a Venezia. I suoi artigiani erano richiesti anche oltralpe, in Germania ( dove la prima cartiera apre a Norimberga nel 1390), Francia ( verso la metà del ‘ 400), Austria e Svizzera. La Bibbia di Gutenberg, prodotta tra il 1452 e il 1456, 1.200 pagine su due colonne per due volumi, tecnicamente perfetta e incredibilmente bella, era impressa su carta di Fabriano, ideale per ricevere gli inchiostri. Non tutti apprezzavano le nuove tecnologie, proprio come accade oggi. Ogni avanzamento comporta l’emarginazione della vecchia manodopera, che non accetta un destino di disoccupazione. I volumi a stampa sembrano rigidi, freddi, meccanici. Secondo l’esigente Federico da Montefeltro, duca di Urbino, non potevano competere con la divina eleganza delle pergamene, impreziosite dalle miniature. Ma non esistono solo i libri. La carta apre nuove prospettive e nuovi mercati agli artisti. Sommo disegnatore e incisore, Dürer vara una vera industria, vendendo stampe singole con tanto di data e firma. Di Leonardo si conoscono quindici dipinti e due affreschi, ma il grosso del suo lavoro è concentrato in trenta taccuini rilegati con apposite istruzioni su come do-
vessero essere stampati i suoi disegni. Michelangelo ha lasciato 600 fogli di disegni, molti dei quali, tra cui una stupefacente Resurrezione, intercalati da poesie, lettere, annotazioni, conti della spesa. La tecnica della xilografia, derivata dal tessile, impreziosiva i volumi ( vedi la grande fortuna delle edizioni illustrate dell’Orlando furioso) e godeva di larga fortuna, almeno sino all’arrivo dell’acquaforte, che trova il suo insuperabile maestro in Rembrandt. Oltre a 600 dipinti, produce con una pressa tutta sua 300 acqueforti ( di cui possedeva un’importante collezione) e 1.400 disegni. Anche se a partire dal ‘ 600 gli olandesi erano in grado di produrre una carta di ottima qualità, grazie anche all’invenzione di uno speciale cilindro rotante, Rembrandt preferiva la carta giapponese, importata dalla Compagnia delle Indie orientali, perché particolarmente adatta a fissare l’inchiostro, la stessa carta che nell’ 800 conquistava Degas, Gauguin e Manet. Con l’abbondanza dei suoi ruscelli e mulini, la Gran Bretagna diventa dalla fine del ‘ 400 un buon posto per produrre carta. La persecuzione degli Ugonotti in Francia portava oltre Manica esperti cartai e Elisabetta I incoraggiava la produzione. Per ingraziarsela, il poeta Thomas Churchyard scrive nel 1584 un poema in lode della carta, e celebra « l'uomo che per primo la carta fece,/ l'unica cosa da cui procedono tutte le virtù » . Così nell'Enrico VI di Shakespeare diventa ridicolo il personaggio di Jack Cade che, arrivato al potere, vuole tornare al vecchio sistema di trasmissione orale e si lancia in una veemente accusa contro quanti insegnano ai giovani la grammatica, incoraggiando il consumo di carta e stampa. La costruzione di una cartiera per lui diventa addirittura un attentato alla dignità reale.
Foreste a rischio. Gli inglesi si specializzano presto nei derivati: cartone, cartapesta, carte da parati ( anche Dürer disegnava tappezzerie), carte ignifughe e idrorepellenti, impermeabilizzate con pece e catrame per le coperture dei tetti; e, nel ‘ 700, la marmorizzazione, che prendeva il posto della pelle. Non soltanto: dalla fine del ‘ 700 la speciale carta da disegno detta wove paper, dotata di una speciale collatura che tratteneva in superficie la pittura, favoriva la grande fortuna, presto diventata mania, degli acquerelli, che Joseph Turner, “il pittore della luce”, faceva assurgere a forma di grande arte. Nel suo viaggio italiano del 1820 aveva riempito di paesaggi ben 23 album, ognuno fornito da un cartaio differente. Suo consiglio: « Prima di tutto bisogna rispettare la carta che si ha » . Benjamin Franklin, che aveva vissuto a lungo in Inghilterra, tornava in patria convinto dell’importanza strategica di carta e stampa. Commerciava in stracci, aveva partecipazioni in tredici cartiere, promuoveva la nascita di nuovi giornali, decisivi nel sostenere le rivendicazioni dei coloni di fronte alla rapacità della madre patria. Portare stracci alle cartiere era considerato un gesto patriottico. In North Carolina ci furono appelli affinché le giovani donne cedessero ai mulini i loro vecchi fazzoletti « non più adatti a coprire il loro candido seno » . Diventata bene strategico, la carta serviva anche come rivestimento per le cartucce e per sigillare la polvere da sparo nella camera di scoppio dei moschetti. La produzione continuava a restare largamente inferiore alla richiesta. In mancanza di carta, la solenne dichiarazione d’ indipendenza fu scritta a mano su pergamena. Nel ‘ 700 la fame di carta e di libri diventa parossistica. Anche i 28 volumi dell’Enciclopedia di Diderot devono scontare le solite difficoltà produttive. Nascono la litografia, i dagherrotipi, i torchi in ferro mossi da motori a vapore che soppiantano quelli idraulici, le presse a cilindro rotativo che in un giorno possono stampare milioni di copie di una pagina, la macchina da scrivere ( Remington, 1873), la composizione linotype. La carta da cellulosa, scoperta nel 1838 dal chimico francese Anselme Payen, diventa d’uso corrente solo a fine secolo e libera le cartiere dalla servitù degli stracci. Tuttavia l’acqua acida usata per bagnare la polpa del legno ha il grave difetto di continuare ad agire nel tempo distruggendo i fogli. Si tentano procedimenti per contrastarne l’azione disgregatrice. Ormai da anni è allarme per la distruzione delle foreste. Il WWF stima che nel 2050 il consumo di carta sarà triplicato, in Brasile si tenta di introdurre la coltivazione su larga scala dell’eucalipto, in Indonesia si prova l’acacia. La Cina torna ad essere il primo produttore mondiale, anche se deve importare la polpa e l’energia. Il dominio della carta, dagli imballaggi ai pannolini e alle buste, non è intaccato nemmeno dall’avanzata del digitale. La carta tiene, la carta resiste. È flessibile, sicura, non ha bisogno di elettricità, all’occorrenza persino facile da distruggere. Quella che si annuncia tra carta e digitale non è una guerra, ma una civile convivenza. Come sempre, conclude Kurlansky, cambiamento e opposizione al cambiamento avanzano dandosi la mano, vecchio e nuovo coesistono proficuamente.
(2. fine)