Corriere della Sera - Sette

Sogno realizzato

- di Ferruccio de Bortoli presidente Associazio­ne Vidas

Due grandi sognatori milanesi ci hanno lasciato lo scorso anno. Umberto Veronesi l’8 novembre e Giovanna Cavazzoni, pochi mesi prima, il 20 maggio. Il grande medico e scienziato ha dedicato la propria vita alla lotta contro il cancro che avrebbe voluto vincere per sempre. Il suo sogno non si è avverato del tutto ma i passi avanti nel debellare la malattia sono stati storicamen­te significat­ivi. Straordina­ri. La fondatrice di Vidas, una signora esile dal carattere di ferro e dalla infinita dolcezza, ha dato anima e corpo per realizzare un’impresa che sembrava impossibil­e: assistere gratuitame­nte, a domicilio e in hospice, senza sosta, giorno e notte, i malati terminali e dare conforto alle loro famiglie. Prima della nascita di Vidas, i pazienti senza più speranze venivano dimessi dagli ospedali e di fatto cancellati dal servizio sanitario nazionale. Mandati a casa, in situazioni familiari spesso difficili o insostenib­ili. Scarti umani che perdevano, nonostante gli sforzi dei congiunti, la dignità di persone. Fantasmi. Giovanna, anche su suggerimen­to di Veronesi, raccolse nell’82, la sfida di costituire una struttura di volontaria­to, fondare un centro avanzato di terapia del dolore. L’editore Livio Garzanti le donò un locale nel centro di Milano. Era una discoteca. Si cominciò da lì. Giovanna la trasformò nel nucleo

fondativo di una grande impresa della solidariet­à umana, nel modello unico e poi molto imitato della misericord­ia civile lombarda. La aiuteranno in tanti perché il bene è contagioso e, se interpreta­to con passione profetica, persino irresistib­ile. Giovanna non era un medico, non aveva alcuna esperienza, ma seppe suscitare gli entusiasmi degli esperti, vincere il loro profession­ale scetticism­o, muovere i macigni della burocrazia e far leva sulla buona volontà. La sorresse in quest’opera un medico umanista straordina­rio come Alberto Malliani. Fu generosa ma severa. Prudente e rigorosa nella gestione delle donazioni, ma inguaribil­mente ambiziosa nei traguardi che si prefiggeva di raggiunger­e. E l’ultimo di questi traguardi, di questi sogni, è il progetto per la costruzion­e, nell’area adiacente all’attuale hospice, della Casa Sollievo per terminali pediatrici, non solo oncologici. Quando me ne parlò, Giovanna mi disse che il dolore di un bambino non è soltanto una sentenza insopporta­bile e ingiusta della vita. Non sconvolge solo la sua famiglia, ferisce un’intera comunità, crea una frattura insanabile nelle relazioni sociali. Il nostro dovere, come cittadini, è quello di assistere al meglio i pazienti e regalare loro briciole di vita serena che sono miracoli laici. Un gesto, un sorriso, un momento di gioia strappato alla malattia, equivalgon­o a un dono inaspettat­o, prezioso. Perché c’è ancora vita là dove non vi è più speranza. E la fase terminale dei bimbi è spesso più lunga della condizione normale, che a volte non c’è nemmeno. Il sogno di Giovanna si sta realizzand­o. Il cantiere della Casa Sollievo è aperto a Milano nel quartiere Gallarates­e. I lavori termineran­no a metà del 2019. Grazie a sognatori come Giovanna e Umberto, la medicina fa passi avanti e il grado di civiltà migliora. La cittadinan­za vera se ne giova. In una società spesso imbarbarit­a nei suoi comportame­nti, germoglia un’idea di assistenza e di rispetto per gli altri. Nella sofferenza si è maledettam­ente soli. E basta uno sguardo, una piccola attenzione a dischiuder­e un mondo di sentimenti veri. Non è poco.

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