I film raccontati parola per parola
La rivista Trafic celebra l’uscita numero 100: solo testi e niente foto, come sempre. Un paradosso, per riflettere su critici e cinefili
Curiosa scommessa quella di Trafic, la rivista fondata nel 1991 da Serge Daney e Jean- Claude Biette: parlare di cinema senza mai far ricorso alle immagini, ma solo alle parole perché « la realtà intrinseca dei testi prevarrà sempre sulla relativa occasionalità dei loro soggetti » . Dietro questa affermazione c’era evidentemente la riflessione del grande critico francese che, conscio del poco tempo che gli restava da vivere ( Daney sarebbe morto nel giugno del 1992 di Aids, a quarantotto anni), voleva sottolineare con questo suo ultimo impegno la lotta contro un cinema che stava perdendo la sua anima e cedeva alle lusinghe della spettacolarizzazione, dell’apparenza, della superficialità. Una scommessa rischiosa ma vinta se Trafic ( www. pol- editeur. com) si è imposta nel panorama internazionale come uno degli ambiti più autorevoli di riflessione sul cinema, dove l’analisi, estetica o storica che sia, esiste solo « attraverso la capacità che ha la scrittura di evocare, rivedere, pensare i film e le sue immagini » . Così, arrivati dopo venticinque anni ( e la scomparsa dei due fondatori) al numero 100, la redazione ha pensato che il modo migliore per festeggiare l’anniversario e insieme ribadire le proprie scelte fosse quello di chiedere ai principali collaboratori un testo su un testo, di scrivere cioè quale era stato l’articolo, il libro o l’intervista « sul cinema » che più aveva segnato la loro formazione cinefila. Un numero di ben 208 pagine, aperto e chiuso dalle lettere di due filosofi, Jean Louis Schefer e Jean- Luc Nancy, che confessano la difficoltà a trovare un testo su cui riflettere ( il che la dice lunga su una certa autoreferenzialità della critica cinematografica, che fatica a travalicare i limiti della propria