Il senso vero dell’amicizia
Tra le pagine dedicate all’amicizia, quelle di Montaigne occupano un posto speciale. Non solo per l’originalità dell’analisi e per la capacità di penetrare nelle pieghe dell’anima, ma anche perché sono la viva testimonianza dell’indissolubile legame che, a partire dal 1558, aveva unito la sua vita a quella di Étienne de La Boétie, autore del famoso Discorso sulla servitù volontaria. I due si considerano “fratelli” ( « è un bel nome e pieno di dilezione il nome di fratello, e perciò ne facemmo, lui e io, il nostro legame » p. 335), non per imposizione di sangue ma per libera scelta: « E al nostro primo incontro [...] ci trovammo così presi, così conosciuti, così legati da mutuo obbligo, che da allora niente ci fu tanto vicino quanto l’uno all’altro » ( p. 343). In poco tempo, questa amicizia, fondata sulla reciprocità e non sull’interesse, si rafforza a tal punto da diventare assoluta ( « non ha altra immagine che se stessa, e non può paragonarsi che a sé » ) : la volontà dell’uno si perde nell’altro, generando una straordinaria unità ( « Le nostre anime hanno camminato così unite, si sono considerate con affetto tanto ardente, e con pari affetto si sono scoperte l’una all’altra fin nel più profondo delle viscere, che non solo io conoscevo la sua come la mia, ma certo mi sarei più volentieri affidato a lui che a me stesso » p. 345). Ma a differenza di altre tipologie di “amicizia” ( in cui la solidarietà implica comunque una serie di obbligazioni, come accade nei legami familiari o in quelli amorosi), questa fa provare l’esperienza sublime e gratuita della gioia del dare: « se [...] l’uno potesse dare all’altro, sarebbe quello che riceve il beneficio a far cortesia al suo compagno » ( p. 347). E, soprattutto, fa capire che « la perfetta amicizia [...] è indivisibile: ciascuno si dà al proprio amico tanto interamente che non gli resta nulla da spartire con altri » . Ecco perché alla precoce morte di Étienne, dopo soli cinque anni di sodalizio, Michel avverte un colpo terribile che stravolge la sua esistenza: « Non c’è azione o pensiero in cui non senta la sua mancanza, come egli avrebbe sentito la mia » ( p. 353). In nome di questa eccezionale amicizia verranno poi alla luce, a cura del filosofo, i manoscritti ereditati dall’amico scomparso e i suoi stessi Saggi. Per Montaigne si tratta « di cose inimmaginabili per chi non le ha provate » ( p. 349): perciò « sapendo come una tale amicizia sia lontana dalla norma comune, e quanto sia rara, non mi aspetto di trovarne alcun buon giudice » ( p. 351). Un sentimento che Michel riesce a racchiudere in una formula diventata proverbiale per la sua sublime semplicità: « Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: “Perché era lui, perché ero io” » ( p. 341). Una spiegazione che nel “non detto” racchiude il mistero di quella « forza inesplicabile e fatale » che può unire, liberamente e senza costrizioni, due esseri umani. Pagine esemplari che potrebbero essere un ottimo antidoto contro le banali semplificazioni del presente: no, un clic su una pagina Facebook non ci fa acquistare un “amico”!
‘‘ «Quelli che chiamiamo abitualmente amici e amicizie, sono soltanto dimestichezze e familiarità annodate per qualche circostanza o vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono insieme. Nell’amicizia di cui parlo, esse si mescolano e si confondono l’una nell’altra […]. Se mi si chiede ’’di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: “Perché era lui; perché ero io”»