Elogio del formaggio
Da mangiare sempre a fine pasto. Accompagnato da miele, frutta o mostarde. E servito, talvolta, anche a temperatura ambiente
MALEDIZIONE AL FRIGORIFERO E AL MATRIMONIO CON IL PANE
Temperatura, conservazione, abbinamenti e fretta sono le cause più comuni dei piccoli errori che si possono fare quando si mangiano formaggi. Ecco, secondo un grande esperto come Andreas Österreicher (diplomatosi “sommelier dei formaggi” in Austria, ora responsabile qualità della Federazione latterie di Bolzano) quattro passaggi da evitare:
1
Mangiarlo freddo. Normalmente i formaggi vengono mangiati poco dopo essere stati tolti dal frigorifero e invece si dovrebbero consumare intorno ai 1416 gradi di temperatura, quelli freschi; e addirittura a temperatura ambiente, fino a 25 gradi, gli stagionati. Solo così possono riemergere tutti i sapori, che sono ricchissimi, soprattutto per quanto riguarda i formaggi di malga provenienti da mucche allevate solo con fieno di montagna.
2
Divorarlo in fretta. Per assaporare davvero un formaggio di qualità non bisogna masticarlo in fretta, ma lasciare al palato tutto il tempo necessario per valutare la gamma dei sapori.
3
Conservarlo sottovuoto. Anche se è un’ottima tecnica di conservazione, particolarmente indicata in caso di trasporti lunghi, la sotto-vuotatura priva comunque i formaggi ai alcuni dei sapori originari: non bisogna mai dimenticare che il formaggio è un organismo vivo e delicato.
4
Abbinarlo al pane. Molti formaggi a lunga stagionatura non vanno assolutamente mangiati con il pane, i cracker o altri farinacei, che ne uccidono un po’ l’impatto. Meglio con il miele, ai millefiori soprattutto, ma anche, in casi particolari, il miele di castagno e alcune mostarde, purché in piccole dosi; per formaggi freschi va benissimo l’abbinamento con la frutta, per esempio i bocconcini di mozzarella con le fragole.
Quando si chiamava solo “mozza” era fatta per evitare guai
Cominciano a essere significative le quote di produzione al Nord anche per quanto riguarda la mozzarella di bufala, le cui origini storiche sono indiscutibilmente rintracciabili in Campania, tra il casertano e la piana del Sele, complici anche i disastri ecologici perpetrati dalle mafie in queste floride terre. Resta intatta l’etimologia dal napoletano del nome stesso. A lungo nei secoli questo delizioso formaggio filante si è chiamato solo “mozza”, antico sostantivo femminile di origine deverbale, da “mozzare”, per l’uso di legare a metà il cacio o di tagliarlo in due per ricavarci quelle che appunto, con un diminutivo che è entrato in uso già dal lontano 1400, si chiamano mozzarelle. Secondo l’agronomo Ottavio Salvadori Del Prato, autore di alcuni libri di riferimento in materia di formaggi (insegna alla scuola superiore di specializzazione lattiero casearia di Lodi), la mozzarella sarebbe nata per trasformare subito, con la filatura a caldo, che ne riduce subito l’acidità, il latte munto dalle bufale in Campania, dove le alte temperature
medie ne rendevano impossibile la conservazione.
Sorpresa, la mozzarella è un prodotto chiave del Nord!
A proposito di mozzarella, è quasi da non credere che i principali produttori e distributori italiani siano ormai al Nord: il marchio italiano che ha scalato le classifiche di vendita negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda il consumo professionale nelle pizzerie, è la Brimi, acronimo dal tedesco Brixen Milch, la latteria cooperativa di Bressanone. Quest’azienda che ha sede ai piedi di un comprensorio sciistico tra i più importanti, Plan de Corones, realizza ormai l’80 per cento del fatturato con le varie tipologie di mozzarella. Combinazione, per quota di mercato, l’altra azienda italiana che copre grandi quote di mercato nella mozzarella è nata a Bologna, ed è la Granarolo. Per non dire della Santa Lucia, Galbani, che viene prodotta nel più grande stabilimento europeo di mozzarelle, in quel di Corteleone, provincia di Pavia, ed è ormai solidamente sotto il controllo dei francesi del Groupe Lactalis, con base a Laval, nel dipartimento della Mayenne, Loira del nord.