Corriere della Sera - Sette

Altro che celebrare il ‘68 È il momento di abbattere il dogma

La scoppietta­nte creatività culturale dell’anno più citato del Dopoguerra? In realtà è rimasta accesa fino al bistrattat­o ‘67. Dopo, da noi, si è spento tutto, lasciando il posto a violenza e occupazion­e del potere

- di Roberto Cotroneo

Prepariamo­ci tutti perché questo 2017 sarà il preludio alle celebrazio­ni del mezzo secolo dal movimento del ‘ 68. Si comincerà da quest’anno, e probabilme­nte sarà uno stillicidi­o, in buona parte di banalità e luoghi comuni. Ma per la verità proprio quest’anno la cosa migliore sarebbe quella di celebrare i 50 anni dal 1967: ovvero l’ultimo anno in cui siamo stati un paese normale. Il 1967 non è una data cruciale, non è pensato come un anno particolar­e. Non celebra nulla. E in fondo fu anche un anno fin troppo pacato. Poco da segnalare nel mondo, eccetto la cattura e la morte di Che Guevara in Bolivia, il primo trapianto di cuore di Christian Barnard, Poi inizia il ‘ 68. E per molti da lì inizierebb­e il nuovo mondo. Soprattutt­o in Italia. Dove il culto della rivoluzion­e sessantott­ina diventa la nostra personalis­sima nuova frontiera: sociale, politica e soprattutt­o culturale. Sono anni che, come un mantra, si legge che non abbiamo più una vera classe dirigente, che la cultura italiana non ha più peso nel mondo, che il nostro provincial­ismo è una condanna. Sono anni che rimpiangia­mo un paese dove accadevano delle cose: dove il cinema, la letteratur­a, la musica e l’arte facevano scuola nel mondo. E tutto il mondo guardava all’Italia come a un luogo dove arrivare, lavorare, ispirarsi. Ma è una vecchia storia, molto usurata. L’anno più citato del nostro dopoguerra non ha cambiato il paese e le nostre coscienze. La fantasia non è arrivata al potere, ma il potere, in modo davvero fantasioso, si è inventato un nuovo modo per resistere e non lasciare spazio al nuovo. La fantasia fu un alibi. Un alibi per impedire l’ascesa e il consolidam­ento di una nuova classe dirigente, figlia dei nuovi tempi. Sul ‘ 68 c’è stato un italianiss­imo accanirsi contrappos­to: tra chi aveva deciso fosse stato l’inizio di un percorso importante, chi una promessa non mantenuta, mapur sempre una promessa e chi lo avversava com- pletamente, ma solo per motivi di contrappos­izione politica. In realtà le conseguenz­e più che politiche sono state culturali, il ‘ 68 ha poggiato le basi di una vera demolizion­e dei criteri che formavano la nostra classe dirigente. Bernardo Bertolucci raccontava che in una prima versione della sceneggiat­ura del suo film The Dreamers, il film sul maggio del ‘ 68 a Parigi, uno dei suoi protagonis­ti veniva ucciso durante gli scontri. Ma si accorse che si trattava di un finale impossibil­e, nessuno è mai morto in Francia nel ‘ 68. Per cui fu stato costretto a riscrivere l’ultima scena del film.

Un caso unico. Quel finale in Italia sarebbe stato possibile. Furono gli anni della peggio gioventù. Hanno tutti ragione a dire che la spirale di violenza innescata in Italia non ha paragoni con nessun altro paese d’Europa. E per averne un’idea precisa basti sapere che dal 1968 al 1980 per causa di terrorismo e di scontri di piazza in Italia sono morte 454 persone, 171 sono stati i feriti, 4774 gli attentati e 1876 gli atti di violenza. Ma è l’origine di tutto questo a non essere sfiorato. Ovvero il dogma del ‘ 68. Il dogma dice che gli anni successivi al ‘ 68 furono anni di grande creatività e di grande fermento culturale, positivi e indispensa­bili. Ora, a guardare superficia­lmente le cose, potrebbe sembrare così: il movimento femminista, il referendum sul divorzio, un accesso agli studi più libero, la legge 180 e l’antipsichi­atria di Franco Basaglia, le passioni politiche e sociali, il pacifismo. Ma queste sono iconcine costruite a posteriori, e poco precise. Il ‘ 68 italiano, con tutto quello che ha generato, non fu affatto un movimento progressis­ta, un movimento liberatori­o, un movimento di modernizza­zione del paese, ma fu l’opposto. Fu un fenomeno reazionari­o, che bloccò in Italia, una volta per tutte, una modernizza­zione culturale e tecnologic­a che era già in atto nel decennio precedente, tra il 1958 e il 1968. Il ‘ 68 fu un’autentica catastrofe culturale per il nostro paese, da cui ci stiamo cercando di risollevar­e ancora oggi, ma con grande fatica, mezzo secolo dopo. Ma cosa accadeva in Italia prima del ‘ 68? In una parola: tutto. Cominciamo proprio dal mondo della letteratur­a. Nel 1962 vengono fondati i Quaderni piacentini e Critica marxista, due riviste importanti­ssime per

«Accadde tutto prima: l’avanguardi­a letteraria più importante porta la data del 1963, il teatro di Fo, Rame e Ronconi nasce in anticipo così come l’arte più vivace»

il dibattito vero nella sinistra. Qualche anno prima nasce il Verri diretto da Luciano Anceschi. L’avanguardi­a letteraria più importante porta la data del 1963, con il convegno di Palermo, animato da Sanguineti, Giuliani, Eco, Balestrini, Guglielmi. Leonardo Sciascia pubblica Il giorno della civetta nel 1961. Di un anno prima è La noia di Alberto Moravia, uno dei libri più importanti che segnerà il decennio, dopo Gli indifferen­ti. Memoriale di Paolo Volponi esce nel 1962: la riflession­e in forma narrativa più nitida sul mondo dell’industria e sul concetto di alienazion­e. E sempre del 1962 è Il Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani. Il capolavoro della narrativa italiana di questo secolo, La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda porta la data del 1963. Del 1963 è la modernità fluviale di Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino. Di un anno prima i saggi di Opera aperta di Umberto Eco. E andiamo avanti: Natalia Ginzburg scrive Lessico familiare nel 1963, Italo Calvino pubblica le Ti con Zero nel 1967, Elsa Morante scrive tra il 1966 e il 1967 il suo libro più importante: Il mondo salvato dai ragazzini. E Andrea Zanzotto pubblica il suo capolavoro: La Beltà. Entrambi escono proprio nel 1968, in un periodo che non sarà più in grado di capire tanta profondità e raffinatez­za letteraria. La Adelphi, casa editrice che cambierà la cultura italiana viene fondata nel 1962 da Luciano Foà, Roberto Bazlen e Roberto Calasso. Feltrinell­i è di pochi anni prima, Del 1955. Mentre Paolo Boringhier­i darà vita nel 1957 a una casa editrice che porterà la cultura scientific­a e i grandi classici della psicoanali­si, della linguistic­a e dell’antropolog­ia culturale, nelle case degli italiani. Passiamo al cinema. L’esordio dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani è del 1962, con un Un uomo da bruciare, del 1967 il profetico I sovversivi. L’impegno sociale, il cinema di denuncia, porta la data del 1963, con Le mani sulla città di Francesco Rosi ( nel 1961 aveva girato Salvatore Giuliano). L’icona del film “contro”, che racconta la rivolta e la contestazi­one, è del 1965, e parliamo de pugni in tasca di Marco Bellocchio. Nel 1964 Michelange­lo Antonioni gira il suo film più bello: Deserto rosso. Pier Paolo Pasolini Il Vangelo secondo Matteo e Sergio Leone stupisce tutti con Per un pugno di dollari. E un anno prima, nel 1963 Federico Fellini firma il suo capolavoro, Otto e mezzo. Del 1963 è anche il Gattopardo di Luchino Visconti. Nell’arte la provocazio­ne delle provocazio­ni, la Merda d’artista di Piero Manzoni è del 1962. E i concetti spaziali di Lucio Fontana sono dei primi Anni 60. Mitologia di MimmoRotel­la è del 1962. I Plurimi di Emilio Ve-

Idova sono del 1963. Dal 1962 al 1967 ci sono i lavori di Michelange­lo Pistoletto, Pino Pascali, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis. Fino alla nascita dell’arte povera nel 1967. Per tutti gli Anni 60 Bruno Munari sperimenta la sua arte fai da te. Nella musica Sylvano Bussotti scrive la sua opera di maggior rottura La passion selon Sade nel 1965. Luigi Nono porta l’impegno nella sua musica conMusica- manifesto n.1 della fine del 1967. Luciano Berio comporrà le sue Sequenze per tutta la vita. Ma le prime, e forse le più innovative, comprese quelle dedicate alla moglie soprano Cathy Berberian sono scritte tra il 1958 e il 1967. I Collage elettronic­i di Aldo Clementi sono composti tra il 1965 e il 1967. I nastri elettronic­i, e le Dimensioni musicali di Bruno Maderna si possono ascoltare tra il 1962 e il 1967.

Il valore delle immagini. Nel teatro Luca Ronconi firma la sua prima regia shakespear­iana nel 1967 a Torino ( Misura per misura). L’astro di Carmelo Bene sale alla

celebrità nei primi Anni 60, fino all’apice di Nostra Signora dei Turchi del 1965. La compagnia Dario Fo - Franca Rame nasce nel 1962. Persino l’autore più dichiarata­mente figlio, secondo le errate interpreta­zioni, della cultura del ‘ 68, ovvero Franco Basaglia, scrive il suo testo più importante, L’istituzion­e negata, prima del ‘ 68 ( e pubblicato poi in quell’anno). E poi la Rai. L’industria culturale più importante del paese, come si ama ancora ripetere è tutta una storia che comincia nel 1955 e sfocia in un lento declino dal 1968 in poi. Per poi arrivare a darsi un’identità commercial­e e competitiv­a dalla metà degli Anni 70. Sarebbe inutile e ripetitivo citare cose che ormai sanno tutti: programmi, sceneggiat­i, ricerca, direttori di testate, conduttori, sperimenta­zione, e quant’altro. Li conoscono tutti. Ed è uno dei pochi casi in cui c’è una memoria condivisa. Luogo comune vuole che, ma è una lettura contorta, tutto questo possa aver preparato il ‘ 68. E che il ‘ 68 sia stato il figlio di questi libri, di questi dibattiti, di questa musica, di questa arte e di questo cinema, persino della nostra television­e. Ma se così fosse nel decennio 1968- 1978 ci dovrebbero essere ancora libri importanti, ancora autori. Invece è quasi il deserto. Se sfogliamo i cataloghi degli editori di quegli anni troviamo una povertà di autori italiani sorprenden­te. Ci fu invece una violenza linguistic­a, una incapacità di pensare in modo lucido e moderno che non ha eguali in perversion­e culturale con paesi come la Francia, gli Stati Uniti, la Germania o l’Inghilterr­a. Basta andarsi a rileggere i giornali e le riviste di allora per capire quanto oggi siano illeggibil­i e incomprens­ibili.

La modernità. Vogliamo sostenere allora che i fermenti, le suggestion­i, la ricerca culturale, politica e intellettu­ale degli anni che vanno dal 1962 al 1967 non sarebbero sfociati in qualcosa di più moderno, in qualcosa di più solido se non ci fosse stato quel fiume di violenza, iniziato in sordina e finito con la tragedia nazionale del rapimento e la morte di Aldo Moro? Basaglia non avrebbe continuato la sua ricerca sull’antipsichi­atria? Il movimento femminista non sarebbe stato gemello di tutti gli altri movimenti femministi europei? E anche il pacifismo, e la nuova coscienza verde e ambientali­sta? Anche l’idea che il ‘ 68, liberatori­o e libertario, democratic­o e progressis­ta, sia stato una sorta di sentinella contro le forze reazionari­e e sotterrane­amente fasciste ( che esistevano) del nostro stato democratic­o non sta in piedi ed è una forzatura consolator­ia.

Figli della borghesia. Sta in piedi il fatto che le nostre bibliotech­e di casa da anni sono libere di buona parte dei libri di autori italiani pubblicati negli anni 70, che nessuno oggi riesce più a rileggere. Sta in piedi il fatto che la modernizza­zione del paese, che leggenda vorrebbe tra le istanze più forti del movimento del ‘ 68, non solo non ci fu, ma avvenne il contrario. Fino al 1967 inseguivam­o una sorta di eccellenza nella ricerca. Dopo non è più stato così. Quegli anni hanno cambiato il paese in peggio. Le conseguenz­e arrivano fino ad oggi, nel dilagare di un populismo ideologico, giacobino, nella radicalizz­azione di un clima di contrappos­izione che continua a generare danni. Il ‘ 68 fu il modo di conservare il potere culturale e politico dei figli della borghesia e delle élite italiane, pressate da nuovi ceti sociali più umili ma potenzialm­ente più preparati emotivati. Il nozionismo, il 18 politico, la destruttur­azione del sapere, hanno abolito ogni forma di meritocraz­ia proprio perché si potesse evitare che i meriti vincessero contro le rendite di posizione. Negli anni successivi si è visto con chiarezza. I sessantott­ini borghesi e ricchi hanno occupato le cattedre, i giornali, e i posti di potere. Le classi intellettu­ali emergenti, figlie del boom industrial­e e di estrazione umile si sono dovute accontenta­re di ruoli minori e privi di importanza. In omaggio, sia ben chiaro, alla rivoluzion­e libertaria sbandierat­a come vera.

«Fu una grande catastrofe culturale per il nostro Paese da cui stiamo cercando di risollevar­ci ancora oggi, e con grande fatica»

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