Contro Tempo
Due studiosi hanno dimostrato che gli choc storici di generazioni precedenti lasciano traccia duratura nelle culture nazionali. Un monito per certi politici di oggi
Da quando il presidente degli Stati Uniti minaccia di far costruire un muro lungo il confine con il Messico e di farlo pagare ai messicani, improvvisamente sembra di essere tornati a un tempo passato. Il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha cancellato il suo incontro con Trump previsto nella prima settimana del suo mandato alla Casa Bianca ( salvo magari rinviarlo a più tardi). Il presidente americano ha risposto con i suoi soliti tweet pieni di maiuscole e di punti esclamativi. Il mondo occidentale è tornato ai rancori di confine o di passaporto che sperava di essersi messo alle spalle. Be’, sarebbe ingiusto sostenere che è Trump ad averli riportati fra noi. In un recente articolo pubblicato suvoxeu. com, l’economista greca Vasiliki Fouka e il suo collega tedesco Joachim Voth mostrano un aspetto sorprendente della crisi dell’euro di questi anni: la quota di mercato delle auto tedesche in Grecia è calata e il declino della popolarità di quei modelli è stato particolarmente sensibile nelle regioni elleniche dove il ricordo delle atrocità naziste durante la seconda guerra mondiale resta particolarmente vivo. In altri termini, la traccia di un’esperienza di oltre 70 anni fa influenza il comportamento delle famiglie greche anche oggi, non appena trovano ragioni di risentimento verso la Germania. Ma i leader politici che alimentano il rancore e il nazionalismo potrebbero trarre insegnamento oggi da uno studio anche più illuminante condotto da due ricercatori italiani: Gaia Narciso del Trinity College di Dublino e Battista Severgnini della Copenaghen Business School. I due hanno trovato prove impressionanti della traccia duratura che lasciano nelle culture nazionali degli choc storici di generazioni precedenti. Chiunque soffia sul fuoco della conflittualità fra i popoli trova nel lavoro di Narciso e Servergnini la prova dei danni duraturi che può provocare per la coesistenza pacifica nei decenni a venire. I due economisti, in sostanza, dimostrano che i ribelli irlandesi che dettero vita alla rivolta anti- inglese del 1916 furono in buona parte influenzati dalle proprie storie familiari segnate dalla carestia del 1845- 1850. In Italia la si conosce poco, ma quella fu una delle tragedie della denutrizione più gravi della storia europea: a causa di una malattia della patata, che mandò in rovina i raccolti, si stima che un milione di irlandesi sia morto di fame o di stenti e un altro milione sia emigrato negli Stati Uniti. Nella nazione celtica in quegli anni si diffuse un risentimento fortissimo verso gli inglesi, allora sovrani dell’isola, accusati di aver reagito con soccorsi e viveri troppo tardi e di aver ritirato ogni sostegno troppo presto. Severgnini e Narciso incrociano milioni di dati sulle origini di 709 ribelli di cui arrivano a selezionare i nomi e le storie personali e familiari. E scoprono un dettaglio impressionante: fra loro, sono sovrarappresentati i discendenti di famiglie che abitavano nelle aree più colpite dalla carestia di 70 anni prima. I dati dei due economisti lasciano pochi dubbi sul fatto che uno choc storico subito dai nonni o dai bisnonni abbia determinato l’attitudine culturale dei nipoti o dei bisnipoti verso un’altra nazione. La rivolta degli anni della Grande Guerra avrebbe poi portato alla proclamazione dello Stato libero d’Irlanda nel 1921. E oggi non è percepibile alcun risentimento degli irlandesi verso gli inglesi, dunque c’è uno happy ending evidente in questa vicenda. Ma c’è anche una lezione più generale: soffiare sul fuoco del nazionalismo e del risentimento può sempre provocare incendi che sembrano spenti, ma le loro braci continuano ardere sotto la cenere per un tempo che a volte supera anche quello delle nostre vite.