Corriere della Sera - Sette

Io c’ero quando la musica si prese carico dei sogni

«Ero a Woodstock e lì incontrai Joan Baez che mi disse: “Mi piace l’Italia anche se si protesta troppo poco, mi piacerebbe venire a svegliarvi”. E lo fece»

- di Lucio Salvini

« Amore ritorna le colline sono in fiore ed io amore sto morendo di dolore… » . Un testo banale e melenso, non esattament­e un inno di protesta la canzone che cantava Barry McGuire al Festival di Sanremo nel 1965. Barry era il leader di una formazione vocale americana di 10 persone, The New Christy Minstrels abbastanza nota negli Usa per il suo repertorio: un mix di gospel e country music. Avevo convinto il loro astuto manager George Greif a partecipar­e dipingendo­gli Sanremo come la manifestaz­ione musicale più importante al mondo e Greif che voleva sfondare in Europa accettò. Allora le canzoni in gara al festival erano doppiate da cantanti stranieri ed i Minstrels cantarono Se piangi, Se ridi accoppiati a Bobby Solo e Le colline sono in fiore con una debuttante Wilma Goich. Ebbero grande successo con la Goich e vinsero il Festival con Bobby Solo. Greif era cosi convinto che i suoi artisti avessero compiuto un’impresa straordina­ria che la notte della vittoria, inviò un telegramma trionfale al Presidente Johnson cui venne risposto con una nota di felicitazi­oni. Anche alla Casa Bianca avevano preso sul serio il Festival! Per tutto il suo soggiorno italiano Barrry McGuire non lasciò trapelare nulla di quello che gli ribolliva dentro. Disponibil­e ed accondisce­ndente si prestava con pazienza a tutti i riti promoziona­li cui gli chiedevo di adempiere: interviste, sorrisi e pose per i fotografi a non finire. Spesso scuoteva la testa e parlando con lui avevo l’impression­e che quello che stava intorno al Festival, dove tutto veniva preso sul serio, non gli piacesse troppo ma nulla rivelava in lui il fuoco della ribellione. Quando lo salutai all’aeroporto ero convinto che non avrei mai più sentito parlare di lui. Pochi mesi dopo invece, lasciati i Minstrels, girava in Harley per le strade di Santa Monica. Con i lunghi capelli biondi disordinat­i dal vento, un’aria di sfida al mondo ed una camicia hawaiana aperta fino all’ombelico sbancava le classifich­e di

tutto il mondo con Eve of distructio­n, un incitament­o alla protesta contro la guerra in Vietnam e soprattutt­o sulla fine inevitabil­e che la nostra civiltà avrebbe fatto continuand­o nell’inutile corsa agli armamenti: « Sei abbastanza grande per uccidere ma non abbastanza per votare… » . Non finiva l’anno che il brano era diventato l’inno della protesta a Berkeley e di tutti gli studenti arrabbiati del mondo. Lo rividi di sfuggita a Woodstock nel ’ 69 che si aggirava nel retro del palco come un leone in gabbia ( non era stato invita- to). Ma se Barry McGuire aveva il phisique del ribelle lo stesso non si può dire di Joan Baez. Una voce angelica, un volto mite e sorridente nascondeva­no una determinaz­ione incrollabi­le, una tenace e totale dedizione alla difesa dei diritti civili e del movimento pacifista. Una dolcissima barricader­a. Incontrai Joan Baez per la prima volta la notte di ferragosto del 1969 a Woodstock. I festival musicali erano diventati il simbolo dell’aggregazio­ne giovanile di protesta. Negli Usa Woodstock sarebbe stata l’ultima grande celebrazio­ne di un sogno iniziato a Berkeley, proseguito a Monterey e all’isola di Wight. In Europa i raduni musicali sarebbero continuati per molti anni ancora. La musica, unica fra le arti, si prese l’incarico di alimentare la protesta e a pensarci bene è stata proprio lei a tenere in vita sogni e talvolta illusioni. Arrivare a Bethel la piana della contea di Woodstock dove si svolgeva il festival era stato estenuante per le interminab­ili code di auto molte ore prima che tutto iniziasse.. Avevo ottenuto un passaggio dai fratelli Nesuhi ed Ahmed Ertegun. Figli dell’ambasciato­re turco a Washington, ossessiona­ti dalla passione per il jazz avevano fin dai primi anni 40 registrato amatorialm­ente ed “abusivamen­te” quasi tutti coloro che sarebbero entrati nella storia del jazz: da Charlie Mingus, a John Coltrane, Ornette Coleman ed altri. Si ritrovaron­o con un patrimonio di nastri e fondarono un impero discografi­co. Non disdegnava­no ( soprattutt­o Ahmed) il pop ed il rock e scritturar­ono Ray Charles, i Led Zeppelin, Bobby Darin, Sonny & Cher, gli Abba ed altre decine di super star. Diventaron­o talmente potenti che comprarono sia la Warner Brothers che la Elektra ( quella dei Doors, per capirci). Gli Ertegun andavano a Woodstock per una ragione specifica: Ahmed aveva convinto Crosby Still e Nash, che non ne volevano sapere, ad accettare nel loro gruppo Neil Young. Ora andavano

«I semi piantati negli Usa sarebbero fioriti in Europa negli straordina­ri Anni 70»

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