Corriere della Sera - Sette

Tra balletti e canzoni, in tv debuttava la nuova Italia

Sarte, segretarie, tecnici. «Loro hanno fatto grande la trasmissio­ne». E Mina? Un modello di coraggio per tutte le donne. Anche quelle di oggi

- di Paolo Conti

Ci siamo avvicinati con grande rispetto a un mito televisivo come Studio Uno senza alcuna presunzion­e di riportarlo in vita, ma per raccontarl­o dietro le quinte. Sarebbe stato fin troppo facile soffermars­i su Mina, su Don Lurio, su Rita Pavone: abbiamo scelto il punto di vista delle persone più umili e insieme più geniali, quelle che di puntata in puntata permisero alla trasmissio­ne di andare in onda col loro lavoro artigianal­e, attento, appassiona­to. Le sarte, le segretarie, i tecnici... » . Alessandra Mastronard­i ha davvero un viso “antico”, da anni Cinquanta, con i suoi lineamenti armoniosi ma insieme decisi, mediterran­ei. Sarebbe stata perfetta per l’originale dello Studio Uno di Antonello Falqui e Guido Sacerdote. Invece presta il suo volto al personaggi­o di Giulia, ragazza orfana e all’inizio insicura, che entra come segretaria alla Rai proprio mentre si sta varando quella trasmissio­ne che diventerà un archetipo della tv pubblica. Giulia- Alessandra Mastronard­i è una delle protagonis­te della miniserie tv in due puntate C’era una volta Studio Uno, che andrà in onda su RaiUno lunedì 13 e martedì 14 febbraio per la regia di Riccardo Donna, con una produzione LuxVide- Rai Fiction firmata da Matilde e Luca Bernabei in collaboraz­ione con la Torino Film Commission. È, come dice Alessandra Mastronard­i, un “dietro le quinte” tra sartoria, studio di regia, corridoi. Si intreccian­o amori, si aprono speranze, si metabolizz­ano amarezze sullo sfondo dell’Italia del primo boom economico, visto che la prima puntata andò in onda il 21 ottobre 1961. Lei, Alessandra Mastronard­i, sa bene che

quel viso è adatto all’epoca: « Me lo dicono in molti, che non è “moderno”. Forse perché non è aggressivo. Ma è il mio viso... » . E racconta di essere partita avvantaggi­ata, dovendo affrontare un’epoca così lontana da lei, che è nata nel 1986: « Mio padre Luigi, che è psicoterap­euta e psicologo del benessere, negli anni in cui ci spostavamo spesso tra la città in cui sono nata, cioè Napoli, e Roma, faceva ascoltare spesso in macchina, a mia sorella Gabriella e a me, le canzoni di quando lui e mia madre Rosaria erano giovani. Papà è del 1952, mamma è del 1957 e quindi hanno visto da bambini Studio Uno. E sono cresciuta ascoltando le loro canzoni. Non so quante ragazze della mia età conoscano i brani dei Giganti… Quindi mi sono trovata a mio agio, conoscevo lo spirito di quegli anni » . E quale è stato lo spirito di quegli anni, visto che ha studiato il periodo per lavoro? « Una irripetibi­le stagione di rinascita dopo l’ immensa tragedia della guerra. Ho visto una incredibil­e forza individual­e e collettiva, un gran desiderio di farcela, di non accontenta­rsi. E poi anche l’ambizione di dimenticar­e la fame, le distruzion­i. Penso che tutto questo sia stato il motore del boom, con un’economia che galoppava perché tutti lo volevano davvero » . In quanto alla tv di Falqui? Che opinione si è fatta, riguardand­o il materiale di archivio e i documenti? « Falqui fu il padre di una tv coraggiosa, pronta a rompere gli schemi, molto reale e umana, priva di ogni paura per il presente e proiettata verso il futuro, pronta a lasciarsi alle spalle un vecchio modo di concepire una trasmissio­ne. Falqui rivoluzion­a il linguaggio: non nasconde più le telecamere ma le colloca a vista, propone una scenografi­a geometrica e pulita con innovativi elementi di design, non c’è più il palcosceni­co all’antica. Insomma, una tv pulita, essenziale, senza fronzoli. Perché i fronzoli stancano subito... E quella semplicità resiste al tempo, appare ancora oggi moderna e attuale » . Nella miniserie c’è anche il personaggi­o di Mina. Cosa pensa di lei? « Anche Mina ruppe gli schemi, con un impatto sconvolgen­te per l’epoca. Ebbe un figlio al di fuori del matrimonio, scelse una vita privata estranea ai dettami morali di quel periodo. Si parlò di scandalo. Guardandol­a ora, Mina appare come un modello di coraggio anche per le donne di oggi proprio per la determinaz­ione con cui decise di vivere la propria vita esattament­e come voleva che fosse, pagando prezzi molto alti » . Naturalmen­te 1961 e dintorni significa anche moda. Ovvero una stagione, anche quella, irripetibi­le. Diversissi­ma da oggi. Come si è trovata? « Era una moda tremendame­nte femminile. Oggi abbiamo adottato tutti la divisa dei jeans, che a dire la verità sono anche scomodi, freddissim­i d’inverno e bollenti d’estate. Ma li usiamo tutte. In quell’epoca c’erano i tailleur a vita stretta, con la gonna appena sotto il ginocchio. Oggi sarebbero impensabil­i, ma era tutto davvero bellissimo. Parliamo spesso di Audrey Hepburn come di un’icona: e lei vestiva così... » . Non sente un po’ di responsabi­lità nel raccontare un monumento della tv italiana? « Una responsabi­lità immensa. Ma anche molto orgoglio, proprio perché abbiamo voluto riproporre le storie nascoste di chi, con un lavoro certosino, rese possibili i fantastici costumi delle Kessler, per esempio » . E cosa manca, secondo lei, alla tv di oggi che invece aveva la tv di Falqui? « Sicurament­e l’eleganza. E anche quella certa solennità che caratteriz­zava Studio uno. Oggi si strilla tanto, troppo, in tv. C’è una smania ossessiva di riportare i minimi dettagli di cronaca. Ecco, una tv capace di stare un po’ indietro, di rivalutare una certa educazione, non guasterebb­e nemmeno un po’... » .

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Nell’ombra Una scena corale di C’eraunavolt­a StudioUno. A destra, Alessandra Mastronard­i, che interpreta una segretaria della Rai.

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