Corriere della Sera - Sette

Aproposito di Isis bisogna dire ai nostri figli che le periferie possono generare mostri

«La mancata integrazio­ne non è la sola causa del jihadismo», dice lo scrittore, «però è un elemento molto importante. I ragazzi (e soprattutt­o i governi) devono tenerne conto»

- di Stefano Montefiori

Bisogna dire la verità ai bambini » , dice Tahar Ben Jelloun. Le favole di Charles Perrault sono piene di crudeltà, e i racconti delle Mille e una Notte sono ancora più terribili. Anche per questo restano opere universali e moderne. Affrontano la lotta tra il bene e il male, e i bambini questo scontro lo capiscono benissimo. Nel libro Il terrorismo spiegato ai nostri figli ( La nave di Teseo), lo scrittore franco- marocchino riporta un dialogo « appena immaginari­o » con la figlia, nel quale parla del 13 novembre, dell’Isis, della risposta della Francia e dell’Occidente. L’impegno di dire la verità ai figli obbliga di conoscerla, o almeno cercarla, e qui sta l’interesse di un saggio rivolto anche agli adulti. Incontriam­o Tahar Ben Jelloun nella sua casa parigina, tra i libri e i quadri che lui stesso dipinge.

Come le è venuta l’idea del libro?

« Avevo cercato di spiegare ai ragazzi il razzismo e poi l’islam in due libri precedenti. Il massacro del Bataclan mi ha spinto a fare lo stesso con il terrorismo. È la prima volta nella storia, io credo, che un’organizzaz­ione terroristi­ca arriva a convincere delle persone a cambiare il loro istinto di conservazi­one in istinto di morte. L’Isis ci riesce con i propri soldati in Siria e Iraq, e anche con persone lontane, in Europa » .

Questo istinto di morte ricorda gli anarchici spagnoli che gridavano « Viva la muerte » ?

« Loro davano la morte ma facevano il possibile per non morire. Invece i terroristi islamici non amano la vita in un’Europa nella quale non si sentono a loro agio, dove c’è razzismo, disagio sociale e famigliare. L’Isis dice loro “Avete fallito nella vostra vita, ma potere avere successo con la vostra morte”, promettend­o qualcosa che l’Occidente non ha mai saputo offrire, ovvero un destino eroico. E questo è molto attraente » .

Che esperienza ha delle periferie di Parigi?

« Vado nelle scuole difficili, nei quartieri considerat­i a rischio, e vedo che c’è una popolazion­e in difficoltà, esposta a qualsiasi influenza: può essere la delinquenz­a, il banditismo o, se va bene, lo sport. Il terreno è già pronto, preparato dalle condizioni in cui vivono queste persone, e questa è una responsabi­lità enorme dello Stato, soprattutt­o in Francia » .

Colpa dello Stato?

« Non c’è solo questo, intendiamo­ci, il jihadismo non è solo il prodotto di una mancata integrazio­ne, ma è uno degli elementi in gioco. È un elemento fra molti altri. C’è poi la famiglia. Conosco molte famiglie di immigrati e ce n’è sempre uno o due che è in prigione, o disoccupat­o. Quando tu hai gente in difficoltà, senza avvenire, che vede passare il vicino con un Suv da 100 mila euro, si può cadere nel traffico di droga, o pensare che la droga è male la guerra santa è bene » .

L’ex premier Manuel Valls ha detto che « spiegare è già un po’ giustifica­re » .

« Valls si è sbagliato completame­nte, perché bisogna capire da dove arrivano i problemi per cambiare politica. Anche il vecchio ministro dell’Interno Charles Pasqua disse “terrorizze­remo i terroristi” ma non credo che i terroristi possano essere terrorizza­ti, non hanno paura » .

Che cosa pensa del ruolo di Internet?

« Oltre ai video violenti, ce ne sono molti altri che mostrano la vita quotidiana nello Stato islamico, una specie di mondo fatato con la donna velata e gli uomini barbuti che vanno in combattime­nto. Questa immagine di virilità gioca un ruolo importante, la propaganda è studiata molto bene. I vertici dell’Isis hanno saputo ingaggiare delle persone che fanno un lavoro molto efficace » .

Come devono reagire le democrazie? È giusto decretare lo stato di emergenza e prolungarl­o più volte, come ha fatto la Francia?

« Credo che lo stato di emergenza sia necessario, il nemico è invisibile, non si sa quando colpirà, è normale essere vigilanti. C’è l’esempio del Marocco che è molto interessan­te. L’Isis è riuscito a colpire ovunque tranne in Marocco. La polizia è molto dura e efficacema soprattutt­o abbiamo una vigilanza popolare, tutti sono pronti a chiamare la polizia quando c’è un dubbio. In Europa una simile mobilitazi­one è impossibil­e, tutti gli arabi diventereb­bero dei sospetti. Rimane l’arma dello stato di emergenza, che estende i poteri delle forze dell’ordine » .

I politici hanno letto il suo libro, come hanno reagito?

« Il presidente Hollande mi ha spedito una lunga lettera, ma non so se poi la classe politica seguirà i miei suggerimen­ti. Dobbiamo provare a riparare le cose in profondità, non possiamo accontenta­rci di una operazione di polizia » .

Le autorità hanno da poco lanciato una « Fondazione per l’Islam di Francia » chiedendol­e di partecipar­e. In che cosa consiste?

« È una fondazione culturale, non religiosa. Per prima cosa cerchiamo di formare degli imam, per sottrarli all’influenza straniera. Ma devono essere pagati, servono soldi e lo Stato non può darli per lo stesso motivo per cui non finanzia preti o rabbini, sarebbe contro la laicità dello Stato. Abbiamo dei donatori, come la Ratp ( l’azienda dei trasporti di Parigi) e gli aeroporti di Parigi, ma alla fine la Francia è bloccata dalla laicità. Anche se il ministro dell’Economia decidesse di dare 10 milioni, non può » .

Il Qatar invece sì.

« Ma noi rifiutiamo i finanziame­nti stranieri » .

Il tema dell’identità francese e dei rapporti con l’Islam avrà un ruolo importante nell’elezione presidenzi­ale di aprile?

« La paura dell’Islam è un ottimo tema per farsi eleggere, anche François Fillon ha provato a cavalcarla. Emmanuel Macron invece fa attenzione a non cadere nel populismo e anche Marine Le Pen comincia a temerlo. Macron è un fenomeno interessan­te, mi ricorda il premier canadese Justin Trudeau » .

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Tahar Ben Jelloun ha scritto un dialogo con la figlia 13enne sul terrorismo
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