Aproposito di Isis bisogna dire ai nostri figli che le periferie possono generare mostri
«La mancata integrazione non è la sola causa del jihadismo», dice lo scrittore, «però è un elemento molto importante. I ragazzi (e soprattutto i governi) devono tenerne conto»
Bisogna dire la verità ai bambini » , dice Tahar Ben Jelloun. Le favole di Charles Perrault sono piene di crudeltà, e i racconti delle Mille e una Notte sono ancora più terribili. Anche per questo restano opere universali e moderne. Affrontano la lotta tra il bene e il male, e i bambini questo scontro lo capiscono benissimo. Nel libro Il terrorismo spiegato ai nostri figli ( La nave di Teseo), lo scrittore franco- marocchino riporta un dialogo « appena immaginario » con la figlia, nel quale parla del 13 novembre, dell’Isis, della risposta della Francia e dell’Occidente. L’impegno di dire la verità ai figli obbliga di conoscerla, o almeno cercarla, e qui sta l’interesse di un saggio rivolto anche agli adulti. Incontriamo Tahar Ben Jelloun nella sua casa parigina, tra i libri e i quadri che lui stesso dipinge.
Come le è venuta l’idea del libro?
« Avevo cercato di spiegare ai ragazzi il razzismo e poi l’islam in due libri precedenti. Il massacro del Bataclan mi ha spinto a fare lo stesso con il terrorismo. È la prima volta nella storia, io credo, che un’organizzazione terroristica arriva a convincere delle persone a cambiare il loro istinto di conservazione in istinto di morte. L’Isis ci riesce con i propri soldati in Siria e Iraq, e anche con persone lontane, in Europa » .
Questo istinto di morte ricorda gli anarchici spagnoli che gridavano « Viva la muerte » ?
« Loro davano la morte ma facevano il possibile per non morire. Invece i terroristi islamici non amano la vita in un’Europa nella quale non si sentono a loro agio, dove c’è razzismo, disagio sociale e famigliare. L’Isis dice loro “Avete fallito nella vostra vita, ma potere avere successo con la vostra morte”, promettendo qualcosa che l’Occidente non ha mai saputo offrire, ovvero un destino eroico. E questo è molto attraente » .
Che esperienza ha delle periferie di Parigi?
« Vado nelle scuole difficili, nei quartieri considerati a rischio, e vedo che c’è una popolazione in difficoltà, esposta a qualsiasi influenza: può essere la delinquenza, il banditismo o, se va bene, lo sport. Il terreno è già pronto, preparato dalle condizioni in cui vivono queste persone, e questa è una responsabilità enorme dello Stato, soprattutto in Francia » .
Colpa dello Stato?
« Non c’è solo questo, intendiamoci, il jihadismo non è solo il prodotto di una mancata integrazione, ma è uno degli elementi in gioco. È un elemento fra molti altri. C’è poi la famiglia. Conosco molte famiglie di immigrati e ce n’è sempre uno o due che è in prigione, o disoccupato. Quando tu hai gente in difficoltà, senza avvenire, che vede passare il vicino con un Suv da 100 mila euro, si può cadere nel traffico di droga, o pensare che la droga è male la guerra santa è bene » .
L’ex premier Manuel Valls ha detto che « spiegare è già un po’ giustificare » .
« Valls si è sbagliato completamente, perché bisogna capire da dove arrivano i problemi per cambiare politica. Anche il vecchio ministro dell’Interno Charles Pasqua disse “terrorizzeremo i terroristi” ma non credo che i terroristi possano essere terrorizzati, non hanno paura » .
Che cosa pensa del ruolo di Internet?
« Oltre ai video violenti, ce ne sono molti altri che mostrano la vita quotidiana nello Stato islamico, una specie di mondo fatato con la donna velata e gli uomini barbuti che vanno in combattimento. Questa immagine di virilità gioca un ruolo importante, la propaganda è studiata molto bene. I vertici dell’Isis hanno saputo ingaggiare delle persone che fanno un lavoro molto efficace » .
Come devono reagire le democrazie? È giusto decretare lo stato di emergenza e prolungarlo più volte, come ha fatto la Francia?
« Credo che lo stato di emergenza sia necessario, il nemico è invisibile, non si sa quando colpirà, è normale essere vigilanti. C’è l’esempio del Marocco che è molto interessante. L’Isis è riuscito a colpire ovunque tranne in Marocco. La polizia è molto dura e efficacema soprattutto abbiamo una vigilanza popolare, tutti sono pronti a chiamare la polizia quando c’è un dubbio. In Europa una simile mobilitazione è impossibile, tutti gli arabi diventerebbero dei sospetti. Rimane l’arma dello stato di emergenza, che estende i poteri delle forze dell’ordine » .
I politici hanno letto il suo libro, come hanno reagito?
« Il presidente Hollande mi ha spedito una lunga lettera, ma non so se poi la classe politica seguirà i miei suggerimenti. Dobbiamo provare a riparare le cose in profondità, non possiamo accontentarci di una operazione di polizia » .
Le autorità hanno da poco lanciato una « Fondazione per l’Islam di Francia » chiedendole di partecipare. In che cosa consiste?
« È una fondazione culturale, non religiosa. Per prima cosa cerchiamo di formare degli imam, per sottrarli all’influenza straniera. Ma devono essere pagati, servono soldi e lo Stato non può darli per lo stesso motivo per cui non finanzia preti o rabbini, sarebbe contro la laicità dello Stato. Abbiamo dei donatori, come la Ratp ( l’azienda dei trasporti di Parigi) e gli aeroporti di Parigi, ma alla fine la Francia è bloccata dalla laicità. Anche se il ministro dell’Economia decidesse di dare 10 milioni, non può » .
Il Qatar invece sì.
« Ma noi rifiutiamo i finanziamenti stranieri » .
Il tema dell’identità francese e dei rapporti con l’Islam avrà un ruolo importante nell’elezione presidenziale di aprile?
« La paura dell’Islam è un ottimo tema per farsi eleggere, anche François Fillon ha provato a cavalcarla. Emmanuel Macron invece fa attenzione a non cadere nel populismo e anche Marine Le Pen comincia a temerlo. Macron è un fenomeno interessante, mi ricorda il premier canadese Justin Trudeau » .