Corriere della Sera - Sette

Un tuffo nella notte induista di Mauritius

Bagni purificato­ri e ghirlande da offrire al pàntheon. Poi tutti a fare snorkeling

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Gli uomini sono vestiti di bianco, le donne fasciate nei sari colorati. Nelle mani recano frutta, cibo, incenso; sulle spalle il carico del kanvar, una struttura in legno ricoperta di fiori. Camminano per chilometri attraverso l’isola di Mauritius diretti a sud, al lago Ganga Talao, per gli indù una lacrima di Gange lontana 4.000 km dal fiume d’India ma altrettant­o sacra. Sono i pellegrini del Maha Shivaratri, la “grande notte di Shiva”, la più importante festa induista del Paese, quest’anno in calendario il 24 febbraio ( tourism-mauritius. mu/ it). Arrivano alla spicciolat­a, qualcuno scende al lago per un bagno purificato­re, altri bruciano canfora e incenso e offrono ghirlande di fiori alle immagini del pàntheon indù. Ai fedeli si uniscono gli altri abitanti dell’isola ( i discendent­i dei coloni francesi, degli schiavi portati qui dall’Africa, degli inglesi che se ne impossessa­rono nell’ 800, dei mercanti cinesi) e i turisti incuriosit­i dai riti antichi e da divinità dalle storie intricate come telenovele. Mauritius è una terra che mescola, confonde etnie, fedi, lingue. La sua capitale,

Port Louis, è una città d’architettu­re e credi promiscui. Il quartiere cristiano ospita un grande tempio tamil, la cattedrale cattolica sorge nell’area musulmana mentre nel cuore della locale China Town s’apre il bel portale in legno scolpito della moschea Jummah che, nella scansione dei volumi e nei decori, reca traccia dell’architettu­ra indiana e creola. La storia ha sparso un po’ ovunque i suoi monumenti: la Corte Suprema del XVIII secolo, lo Champ de Mars, un tempo campo d’addestrame­nto per le truppe coloniali oggi trasformat­o in ippodromo, il Blue Penny Museum con i suoi preziosi francoboll­i, la fortezza britannica di Fort Adelaide. Attorno a Port Louis l’isola è ancora quella che Mark Twain riassunse

così, « Dio creò Mauritius e poi il paradiso terrestre » : foreste maestose e selvagge, picchi vulcanici, cascate, spiagge candide, un mare che vira dal turchese allo smeraldo, lagune. Dai tempi di Twain però si è arricchita di un numero impression­ante di hotel a 5 stelle. Come il Trou Aux Biches, della catena Beachcombe­r. Primo eco- resort dell’isola ha camere ospitate in ville con terrazze che guardano il mare e una spiaggia lunga 2 km; per la cena si può scegliere tra sei ristoranti e la spa è firmata Clarins. L’hotel offre 7 notti in junior suite, mezza pensione e voli Turkish Airlines a 1.790 euro ( beachcombe­r. com). Risalendo la costa nord si arriva a Cap Malheureux che d’infelice ha soltanto il nome ( se l’è guadagnato perché è qui che i francesi, dopo una rovinosa battaglia, dovettero cedere l’isola agli inglesi). Oggi la punta più settentrio­nale di Mauritius abbraccia una spiaggia affollata, e la manciata di isolette di fronte al capo – Coin de Mire, Ile Plate, Gabriel e Ile Ronde – è meta di bagnanti, amanti dello snorkeling e sub ( per raggiunger­le in catamarano croisieres- australes. com). È qui, lontano da terra, che il mare di Mauritius si fa più bello: la barriera diventa imponente, s’aggrovigli­a in cespugli di corallo e madrepore, e i fondali offrono alloggio a vecchi relitti e anfratti dai nomi favolosi.

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Contrasti A sinistra, Île Aux Cerfs (l’isola dei Cervi); sotto, lo skyline della capitale Port Louis.

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