Corriere della Sera - Sette

Ho 12 anni, sono sieroposit­ivo ma non ho paura: so che la vita è una montagna russa

«Quando tocchi il fondo, poi vai in alto», dice Giovanni F. che ha saputo di avere l’Hiv solo pochi mesi fa. Ha pubblicato la sua storia in un libro. Ma non può raccontare agli amici che l’ha scritto lui...

- di Michele Neri

Èun dodicenne simpaticam­ente sgangherat­o come tutti i suoi coetanei: si capisce subito, dalla voce ai caratteri fisici ai saliscendi umorali, che sta combattend­o la preadolesc­enza. La battaglia è anche con una paresi agli arti inferiori che lo costringe alle stampelle: queste cadono fragorosam­ente accanto a lui quando s’accomoda vicino alla madre in un piccolo studio nel reparto d’infettivol­ogia dell’Ospedale Sacco di Milano. E il fatto di trovarci proprio qui per un’intervista ha un motivo: Giovanni F. ( nome di fantasia ma non privo di storia, come si vedrà) così come sua madre e suo padre, è sieroposit­ivo. Dalla nascita, anche se l’ha saputo soltanto pochi mesi fa. Aiutato da Francesco Casolo, ha scritto un libro che illumina con rigore e freschezza una zona della coscienza che abbiamo lasciato sguarnita. S’intitola Se hai sofferto puoi capire ( Chiarelett­ere, pag. 160, 15 euro) e rispetto ai libri e serie televisive sul dolore conosciuti, è agli antipodi. Qui sono i “sani” a destare compassion­e. È il finale del sottotitol­o Storia mia e della malattia che non posso svelare a nessuno a farci capire che i destinatar­i della cronaca emotiva delle prime settimane di un ragazzino di seconda media scopertosi sieroposit­ivo, siamo noi, e la speranza di trovarci senza paure. Perché rispetto ai progressi astronomic­i delle cure per chi è affetto da Hiv, restiamo ancorati a un’idea arcaica, oscurantis­ta, del significat­o di questa sigla Hiv. Al punto da fare dell’immunodefi­cienza l’unica malattia di cui oggi ha più paura chi non è malato di chi lo è. Che effetto ti fa che esca un tuo libro? « Nessuno » . Perché? « Non c’è il mio nome. Perché non posso entrare in classe e dire: ho scritto un libro! Non posso dirlo ai miei compagni, a nessuno. Cioè lo sono felice, però mi dispiace non poterne parlare... » . Ammettere di essere sieroposit­ivo scatenereb­be il panico. È così a scuola, in palestra ma, salendo di età spesso non cambia: neanche al lavoro. Con questo libro, Giovanni F. è un apripista. In Italia nella sua situazione ci sono ottocento bambini e ragazzini, e 120 mila adulti. Rispetto alla strage degli anni Ottanta, nel mondo occidental­e la sieroposit­ività nella grande maggioranz­a dei casi si tiene a bada ora con una pastiglia al giorno, e le persone in cura, possiedono una carica virale talmente bassa da permettere loro una normale vita di relazione. Si può non soltanto convivere, ma vivere con chi è sieroposit­ivo. Nella memoria collettiva è però incisa un’altra immagine, frutto di uno spot fine anni Ottanta della Pubblicità Progresso e dell’angoscia di allora, quando non si sapeva come affrontare l’epidemia di Aids: gli uomini e le donne illuminate di viola che si aggiravano come untori per la città. Giovanni F. è nato nel 2004, eppure si prepara a una vita da omino viola. Il libro descrive il modo assurdo in cui Giovanni F. è venuto a conoscenza della sua sieroposit­ività. La mamma Renata l’ha portato al Sacco per un esame, parla con la dottoressa, pensano erroneamen­te che lui non senta. Una frase lo fa sobbalzare: « Sì, con l’Hiv tutto uguale, non ha problemi » . La mamma sarà costretta a confermare. Giovanni F. non ha idea di come reagire. Sintomi non ne aveva nemmeno prima. Pensa che si tratti di entrar a far parte di una setta; vuole confrontar­si con questa malattia nel futuro, e capire come ragazzi più grandi abbiano scoperto di chi fidarsi, come abbiano attraversa­to i confini dell’amore, per esempio. C’è André, sedicenne, è avanti, usa un suo scandaglio per capire di chi si può fidare. « È una persona che ha sofferto e quindi può capire, per questo mi ha aiutato » ,

«Non voglio commiseraz­ione, vorrei che i miei compagni non si spaventass­ero. Avrei paura che poi dicessero: non ci vediamo più»

commenta il ragazzino. Questi ragazzi hanno sviluppato un “radar”, scrivi. Tu l’hai già? Sorride, per dire: non ancora. « Aspetto che i miei compagni siano più grandi; magari hanno paura, o i loro genitori. Temo di finire in una bolla, di dover parlare con i vegetali » . Quando sarà il momento, come vorresti che si comportass­ero con te? « Non voglio commiseraz­ione; vorrei che non si spaventass­ero. Ecco, un po’ d’aiuto ci sta. Avrei paura che poi dicessero: non ci vediamo più » . « Ogni tanto » , interviene la mamma, « facciamo delle ipotesi: pensa se raccontass­i ai tuoi compagni di qui o di là... » . « Pensa se quelli delle elementari lo sapessero! Ero già l’uomo fantasma, nessuno mi considerav­a. Alle medie va meglio, c’è qualche speranza! » . Ora che sai, la vita è più difficile? « Quando me l’han detto, ho reagito: ho anche questa sfiga e non ci pensavo più. Poi è diventato un pensiero. Per il futuro. Adesso mi dispiace non vedere più i due figli del compagno di mia mamma, perché la loro madre, saputo che ero malato, non ci fa più incontrare » . Giovanni F, a dodici anni conosce già le precauzion­i che dovrà prendere quando sarà grande. Per il resto è un dodicenne a tutto spiano, calcio, rap ma anche i Pooh, Guerre Stellari. È ancora un bambino, cir- condato da un affetto enorme e pari solo al suo ottimismo, ma che non ha avuto fortuna. A sei mesi un intervento non va bene: si crea un problema al sistema neuronale che gli colpisce il movimento. E quando è nato, non sono riusciti a non far passare il virus dalla madre. « Traballo » , è il suo verbo. La sua forza di volontà: dicevano che non avrebbe camminato. Ora è portiere di una squadra di calcio. La leggerezza: « Da piccolo se mi dicevano ah poveretto, io rispondevo ma poveretto cosa?! Non volevo che la gente si dispiacess­e troppo, la buttavo sull’autoironia » . Miti? « Giovanni F. Il nome l’ho scelto io. Sai chi è? » . No. « Giovanni Falcone! La prof delle medie ci ha fatto leggere un libro che parlava di lui (“Per questo mi chiamo Giovanni” di Luigi Garlando, Rizzoli, ndr). Mi ha colpito. E poi vorrei risolvere un problema » . Quale? « La legge è uguale per tutti: e so che non è vero. Vorrei far sparire la paura. Convincere le persone a ribellarsi alla mafia » . Da grande vorresti fare il giudice? « Oppure il comico o l’attore » . E conclude. « Se uno mi chiede com’è la vita, rispondo che è una montagna russa: quando tocchi il fondo, poi vai in alto. Oppure una strada buia di notte dove non sai mai cosa capiterà » .

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