Piace (ma non convince) il ritorno al musical
Anche sul titolo avrei da ridire. Il gioco di parole a filastrocca mi suona lezioso, quasi antipatico. E l’idea di resuscitare il musical all’antica maniera mi lascia freddo, forse per colpa di insuperati traumi infantili: tutta quella gente a cantare e ballare mi faceva un po’ di senso (persino Debbie Reynolds, la vispa biondina di Cantando sotto la pioggia, era una donna cattiva, che amarezza). Insomma la prima tentazione è di rifiutare la gentile offerta. Poi ci rifletto: La La Land sarà il film più premiato dell’anno. I Globe li ha già presi, gli Oscar arriveranno a pioggia, la maggior parte dei critici si è entusiasmata arrivando a due passi dal delirio («un film che segna la differenza tra chi ama il cinema e chi il cinema non lo ama», mamma mia). Forse sono io che sbaglio. Daminen Chazelle, sopravvalutato per Whiplash, è tecnicamente bravo ed erudito. La storia d’amore fra il suonatore di jazz e l’aspirante attrice gli serve per scatenarsi in un gioco di brillanti citazioni e rimandi. I due attori si impegnano con passione: però Ryan Gosling, così bello e bravo quando guida una macchina con la pistola nel cruscotto, è a disagio nei passi di danza (come Marlon Brando in Bulli e pupe). La salita dei due verso il successo è scontata: ma lentamente la tensione cresce e colpisce il lampo finale. La vita non è un fiume tranquillo. La felicità non esiste più neppure nei sogni di Hollywood.