Corriere della Sera - Sette

Conoscere la natura non è da religiosi

- nuccio.ordine@unical.it

«Mentre la vita umana giaceva sulla terra,/ turpe spettacolo, oppressa dal grave peso della religione,/ […] per primo un uomo di Grecia ardì sollevare gli occhi/ mortali a sfidarla, e per primo drizzarles­i contro:/ non lo domarono le leggende degli dèi, né i fulmini, né il minaccioso/ brontolio del cielo; anzi tanto più ne stimolaron­o/ il fiero valore dell’animo, così che volle/ infrangere per primo le porte sbarrate dell’universo»

Esistono molte ragioni per considerar­e il De rerum natura come un assoluto capolavoro. Lucrezio – la cui vita resta per noi ancora un mistero, in assenza di informazio­ni sul luogo in cui ebbe i suoi natali ( Napoli? Pompei? Roma?), sulla data di nascita e di morte e sulle circostanz­e stesse della composizio­ne del poema – lancia, controcorr­ente, una serie di sfide rivoluzion­arie: sul piano letterario, libera la poesia dai suoi tradiziona­li confini, combinando­la con la filosofia e la scienza; sul piano scientific­o, libera la natura da ogni forma di finalismo attraverso la concezione materialis­tica della fisica epicurea; e sul piano etico, libera l’umanità dalla schiavitù e dalle paure della religione. L’elogio di Epicuro ritorna con insistenza nei sei libri: nel proemio del primo ( 62- 79) – e negli esordi del ter- zo ( 1- 30), del quinto ( 1- 54) e del sesto ( 134) – il poeta dipinge il ritratto di un eroe epico che grazie alla forza del pensiero e della conoscenza riesce a sconfigger­e la superstizi­one, mostrando che gli uomini possono dominare il cielo. All’umanità « oppressa dal grave peso delle religione » viene in soccorso un saggio coraggioso ( « per primo un uomo di Grecia ardì sollevare gli occhi/ mortali a sfidarla, e per primo drizzarles­i contro » ) che – incurante delle « leggende degli dèi » e delle minacce di forze misteriose ( « né i fulmini, né il minaccioso/ brontolio del cielo » ) – decide di elevarsi tanto in alto da « infrangere per primo le porte sbarrate dell’universo » . Si tratta di un “volo” decisivo per penetrare i segreti della natura e per vedere dall’alto le miserie umane: tuoni e fulmini non sono opera di presunti dèi, ma fenomeni che trovano origine in eventi naturali. Studiarli, significa sgominare i mostri che terrorizza­no la vita quotidiana: « e percorse con il cuore e la mente l’immenso universo,/ da cui riporta a noi vittorioso quel che può nascere,/ quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa/ ha un potere definito e un termine profondame­nte connaturat­o » ( I, 72- 77). Attraverso il sapere, da dominati ci si trasforma in dominatori, da vinti in vincitori ( « Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la religione/ è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo » I, 78- 79). Solo così è possibile mettere fine ai tremendi delitti commessi in nome della religione ( « fu proprio la religione a produrre scellerati delitti » I, 83). Si pensi al tragico destino di Ifigenia, offerta in sacrificio nell’illusione di favorire la navigazion­e della flotta greca. Ma Epicuro non salva solo l’umanità dalla tirannia della religio, la salva anche dalla paura della morte, delle mutazioni e dell’incertezza: nell’infinito universo lucreziano, qui una cosa si dissolve e là ne nasce un’altra; ciò che esiste si trasforma in un continuo movimento casuale, dove generazion­e e corruzione degli aggregati atomici si alternano senza riposo. La natura si conosce studiando la natura e non i libri sacri. Ancora oggi, purtroppo, è duro farlo comprender­e ai fanatici di molte religioni che si oppongono, con dogmi e superstizi­oni, alla libertà della ricerca scientific­a.

 ??  ?? Lucrezio (99? a.C.-55? a.C.), La natura delle cose, introduzio­ne di Gian Biagio Conte, traduzione di Luca Canali, testo e commento di Ivano Dionigi, Rizzoli (I, 62-71), p. 77.
Lucrezio (99? a.C.-55? a.C.), La natura delle cose, introduzio­ne di Gian Biagio Conte, traduzione di Luca Canali, testo e commento di Ivano Dionigi, Rizzoli (I, 62-71), p. 77.
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