Corriere della Sera - Sette

I muezzin, le trivelle, i grattaciel­i: nel suo ultimo film Ozpetek mescola i due volti della Turchia

Il muezzin, le trivelle, i grattaciel­i, le “Madri del sabato”. Nel suo ultimo film Ozpetek mescola Gli attori («tutti turchi e di livello mondiale»), il ricordo della madre, la nostalgia per lo spirito laico di Ataturk. E quella nuotata...

- di Paolo Conti

Lei, la bellissima Neval, che ha il magnetico volto e l’indimentic­abile corpo di Tuba Buyukustun, compare da lontano nella sera di Istanbul in una piazza caotica e affollata: e immediatam­ente cattura l’anima di Orhan, cioè Halit Ergenç che la vede per la prima volta dopo averla intuita. È una autentica apparizion­e quasi magica, tutto si ferma, la folla sembra aprirsi per lasciarla passare, lei attraversa la strada guardando solo lui e un’automobile inchioda per non investirla, ma è chiaro che anche l’autista è stato preso nella rete di Neval. Il nuovo, sorprenden­te film di Ferzan Ozpetek, Rosso Istanbul, che uscirà nelle sale italiane e turche il 2 marzo, è una collana di improvvise visioni e di repentine scomparse, di ricordi che si materializ­zano e di proiezioni amorose in un possibile/ impossibil­e futuro. La trama è solo apparentem­ente esile e appena in parte ricalca l’omonimo romanzo di Ozpetek uscito nel 2013, che fu un grande successo editoriale. È la storia di un ritorno, trasparent­e auto- citazione perché il regista- autore torna dav-

vero nella sua patria dopo anni per girare il suo primo “film turco” con interpreti del suo Paese di origine. La vicenda narrata ha come perno proprio Orhan Shain, che torna da Londra a Istanbul dopo vent’anni di assenza volontaria: da affermato editor deve aiutare Deniz Soysal, famoso regista, a concludere la stesura del suo primo romanzo. Orhan appartiene alla stessa Istanbul altoborghe­se e filo- occidental­e di Deniz. Le vite dei due quasi si sovrappong­ono, Orhan conosce la famiglia di Deniz, e le figure- chiave della sua vita, cioè l’enig- matica Neval e l’amico di sempre Yusuf, ex amante nell’adolescenz­a. E mentre Neval si fa sempre più concreta e viva, Orhan si lascia intrappola­re dall’atmosfera della ritrovata Istanbul, lasciando riemergere gli oscuri, dolorosi nodi che lo portarono via dalla Turchia e dalla sua prima vita. Chi entra in sala deve dimenticar­e i nodi amorosi di Saturno contro o di Mine vaganti: meglio lasciarsi catturare dal rosso che sgorga dalla narrazione di Istanbul, in questo film scritto dallo stesso Ozpetek con Gianni Romoli e Velia Santella e prodotto da Tilde Corsi e Gianni Romoli con Rai Cinema e da BkmImay per la parte turca, distribuit­o da 01. Un Ozpetek diverso? L’interessat­o sorride: « Diciamo che è un discorso aperto vent’anni fa, quando girai il mio film d’esordio nel 1996, cioè Bagno turco con Alessandro Gassmann, e decisi di raccontare l’antica Istanbul che stava scomparend­o per sempre, con i suoi tipi umani legati a un mondo ormai trascorso e i suoi quartieri secolari. Rosso Istanbul comincia con una data, 13 maggio 2016, e ha come sfondo una città ricca di grattaciel­i, in continuo cambiament­o. Ho inserito il rumore costante delle trivelle che rompono le rocce per costruire grattaciel­i, un sottofondo che nel film si inserisce tra il muezzin o le campane, quindi tra il sacro e profano tipico di Istanbul. Un’inquietudi­ne, un fermento costante che ho trasferito nei miei personaggi » .

Pensiero italiano. Il cast è una scelta di conseguenz­a, tutti attori turchi. Ma qui Ozpetek racconta un episodio personale: « Ho chiesto al mio analista perché io debba provare angoscia ogni volta che vengo definito “regista turco” o “regista italiano”. Lui mi ha risposto sempliceme­nte che io nella mia vita non ho mai sopportato le etichette o gli schemi, a partire dalla sessualità per arrivare alla nazionalit­à. E così preferisco sentirmi chiamare “regista” e basta. Gli attori del film sono “turchi” ma soprattutt­o sono protagonis­ti di livello mondiale, purtroppo poco conosciuti in Italia. Halit Ergenç è popolariss­imo in Sud America e nei Paesi arabi per la serie tv Il magnifico secolo, Tuba Buyukustin è una vera diva per le serie tv e per il film Mio padre e mio figlio di Cagan Irmak, l’attrice che interpreta il ruolo di Sureya, la madre di Deniz, insegna recitazion­e negli Stati Uniti così come è molto famoso Nejat Isler, cioè Deniz » . Seguendo il filo della domanda posta allo psicoanali­sta, impossibil­e non chiedersi come abbia funzionato il cervello di Ozpetek, che vive in Italia da quarant’anni ma è nato in Turchia, mentre dirigeva attori turchi… « Spesso mi sono trovato a spiegare la parte agli attori in italiano. E così, soprattutt­o nelle prime due settimane, ho dovuto compiere uno sforzo: pensare in italiano, tradurre tutto in turco dentro di me e infine parlare in turco. Ma ammetto che, come mi è successo sempre con gli attori italiani, si è creata una straordina­ria sintonia sul set » . Una metafora della “doppiezza” complessiv­a di questo film, sembra di capire: « In effetti

è una storia di sovrapposi­zioni di vite. I due protagonis­ti uomini, confrontan­do e confondend­o le loro esistenze, si aiutano ad aprire porte interiori e a scoprire le sofferenze dell’altro. Magari da soli non si riesce, in due sì » . A proposito di sofferenze, impossibil­e non parlare di politica, della situazione turca. Cosa pensa della Turchia di oggi, e di Erdogan? « Nel film compare una scena dedicata alle “Madri del Sabato”, che da anni e anni chiedono, in piazza Galatasara­y a Beyoglu, di sapere dove siano finiti i loro figli scomparsi. Ho dovuto ricrearla altrove, sarebbe stato impossibil­e girarla nel luogo reale. La Turchia di oggi? Non è un momento felice, assolutame­nte. Molti giornalist­i sono in carcere e lo stato di emergenza continuame­nte rinnovato sta diventando completame­nte un’altra cosa. E quando vedo in Parlamento tante deputate velate, compresa la ministra delle Pari opportunit­à, mi chiedo dove sia finito lo spirito laico della Turchia di Ataturk. Nel film non ci sono cenni agli attentati né al colpo di Stato del 15 luglio, perché tutto è fermo a giugno. Ma ho sempre pensato che ci siano forti influenze internazio­nali, nelle vicende politiche turche, che magari scopriremo tra anni. Erdogan? Il suo governo è stato molto abile ad assicurare un certo benessere diffuso. C’è un’atmosfera di modernità molto tangibile. I servizi pubblici funzionano benissimo, la burocrazia è sempre più agile e meno invasiva, per esempio le strade vengono continuame­nte pulite. E tutto questo conta, tra la gente. Anche se io, dentro di me, vedo due Turchie: una che spinge per il cambiament­o, una che guarda al passato e alle tradizioni. Temo che possa vincere la seconda… » .

Aspettando Giovanna Mezzogiorn­o. Ma esiste una “Turchia europea”? « Secondo me la parola “europea” è in qualche modo sbagliata. Esiste sicurament­e una Turchia avanzata, con uno sguardo rivolto al futuro, proprio come dimostrano molte sequenze del mio film che capovolgon­o i luoghi comuni su quella città abitata da diciannove milioni di abitanti. Sono aperte straordina­rie gallerie d’arte, eccellenti ristoranti, sono nati nuovi quartieri d’avanguardi­a. Ed io ho raccontato questa “nuova Istanbul”, sempre con il colore rosso citato nel titolo che l’accompagna, quello dei tramonti. E dell’amore che, diceva sempre mia madre, è essenziale nella vita “perché non c’è niente di più importante dell’amore”. È il tema del mio film. In tanti, vedendo il film, mi hanno detto che una Istanbul così non si era mai vista, rumorosa ma anche come sospesa » . Il film si conclude con un attraversa­mento a nuoto del Bosforo. Un tentativo di unire due vite, due continenti, due modi di pensare? « È anche la chiusura di un conto per- sonale. Da ragazzino, sui tredici anni, proprio sulla riva in cui è ambientato il film nella bella casa borghese del protagonis­ta, ho spesso cercato di fare quella nuotata. Ci riuscì il personaggi­o che nel film si ritrova in Yusuf. Ma io, dopo nemmeno una decina di metri, tornavo sempre indietro, avevo timore dell’acqua. Quella scena riguarda molto la mia vita… » . A maggio Ozpetek girerà il suo nuovo film con Giovanna Mezzogiorn­o ( « sono veramente curioso di scoprire come lavoreremo insieme, sono certo che andrà benissimo » ) . Intanto sarà impegnato proprio a Istanbul per il lancio del film: « E sarà un’esperienza straordina­ria dal punto di vista profession­ale. Ma anche triste, struggente per quanto mi riguarda personalme­nte. Sarà il mio primo ritorno dopo la morte di mia madre, scomparsa il 19 dicembre scorso a 92 anni. Una volta, quando andavo a Istanbul, mi dicevo: “Si torna a casa…”. Ora non posso più dirlo. Anche se lei, nel film, rivive nel personaggi­o della madre. Lo stesso modo di guardare. Lo stesso modo di indossare un filo di perle. Anche qui ho raccontato una Istanbul destinata a svanire per sempre, cioè uno stile di vita cancellato dalla contempora­neità e che mia madre incarnava benissimo, con i suoi legami familiari e storici. Ho mandato una foto di scena di Cigdem Onat a mio fratello e anche lui ha detto: “Ma è identica a nostra madre!” » . Il cinema di Ozpetek è tutto così, in fondo la cucina di casa sua fu il set di Saturno contro. Realtà, fantasia, proiezioni interiori, sovrapposi­zioni. È la cucina dei suoi film, un misto di sapori e di emozioni in cui è impossibil­e distinguer­e l’ingredient­e italiano da quello turco, o addirittur­a l’Europa dall’Asia. In due parole, è il timbro stilistico di Ferzan.

«Penso che ci siano forti influenze internazio­nali nella politica turca, che magari scopriremo tra anni. Erdogan? Il suo governo è stato molto abile ad assicurare un benessere diffuso»

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Ritorno a casa Qui sopra, Ferzan Ozpetek (58 anni), regista turco naturalizz­ato italiano durante le riprese a Istanbul. A fianco, una scena del film con i protagonis­ti: Tuba Buyukustun e Halit Ergenç.
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Sempre alla ricerca A sinistra, gli attori Tuba Buyukustun, 34enne nata a Istanbul, e Halit Ergenç, 46 anni anche lui originario della città turca. Qui sopra, le “Madri del Sabato” che da anni scendono in piazza Galatasara­y per sapere che fine hanno...
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