Corriere della Sera - Sette

Detenuti imprendito­ri: una “start up” per recuperare vite perdute

Chi sta per uscire dal carcere viene addestrato con corsi “online” e avviato verso carriere nel mondo delle tecnologie digitali

- di Massimo Gaggi

Icapi delle gang e gli spacciator­i hanno molto in comune con gli amministra­tori delegati di imprese di successo: sono imprendito­ri nati » . Affermazio­ne scioccante, magari discutibil­e, ma è da qui che è partita Catherine Hoke per costruire una “start up” molto particolar­e e che sta dando risultati eccellenti: “Defy Ventures”, una società che si occupa del recupero dei detenuti che escono dal carcere e lo fa in modo inedito. Li avvia verso carriere imprendito­riali nel mondo delle tecnologie digitali e lo fa iniziando l’addestrame­nto già nei penitenzia­ri con corsi “online” e in loco tenuti da manager della Silicon Valley di società come Google e SAP: volontari che vanno a fare lezione in queste prigioni. Un tentativo che Catherine aveva già fatto oltre dieci anni fa e che era finito in modo drammatico. Manager di una società di “private equity”, nel 2004 la Hoke si appassionò alla causa del recupero dei detenuti visitando un penitenzia­rio nel Texas. In America la popolazion­e carceraria è enorme ( poco meno dell’ 1 per cento della popolazion­e, compresi i condannati in libertà vigilata) e il tasso di ricadute elevatissi­mo: un detenuto liberato su due torna dietro le sbarre entro un anno. Autorizzat­a all’esperiment­o, Catherine si licenziò e, usando i suoi soldi, mise in piedi, insieme a suo marito, corsi di recupero per detenuti del Texas. Buoni risultati: la Hoke fu elogiata e premiata dal governator­e dello Stato, Rick Perry, e anche dal presidente di allora, George Bush. Poi lo scandalo: venne fuori che la manager aveva avuto rapporti sessuali con più di un detenuto. Nel 2009 Catherine fu costretta a chiudere la sua società. Abbandonat­a anche dal marito, tentò di suicidarsi. Ma l’America, terra per certi versi feroce, è anche il Paese che offre a chi fallisce una seconda chance. Anche in casi estremi come questo. La Hoke stavolta ha messo in piedi una “start up nonprofit” con un programma gestito da docenti volontari: 20 ore di formazione profession­ale ogni settimana - lezioni nelle quali si insegna di tutto: come costruire un’azienda, come mettere in piedi un sistema contabile e anche come fare il nodo della cravatta - offerte ai detenuti che non hanno commesso reati gravissimi ( ad esempio i condannati per omicidio) di 11 penitenzia­ri americani sparsi in vari Stati: California, New York, Nebraska e New Jersey. Sta funzionand­o: tra i detenuti che hanno seguito i corsi “Startup 101” il tasso di recidive ( ritorno in carcere dopo un anno) è crollato al 3 per cento e 350 ex detenuti in libertà vigilata hanno trovato un lavoro. Alcuni, dopo gare come quelle che si fanno per selezionar­e le migliori idee per una “start up”, ottengono un contributo per aprire una loro attività imprendito­riale. Come Coss Marte, uno spacciator­e divenuto il “testimonia­l” di questa iniziativa: obeso, chiuso in una cella di tre metri per due, è riuscito a perdere 35 chili di peso. Scontata la pena, coi soldi di “Defy Ventures” ha aperto a Manhattan “ConBody”, una palestra pubblicizz­ata come “prison style fitness center”.

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L’idea Catherine Hoke ha messo in piedi la “start up nonprofit” con un programma gestito da docenti volontari.

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