Dentro le stanze segrete dove un tempo si respiravano storie di sangue e di amori
Dentro le segrete stanze dove un tempo si respiravano storie di sangue e di Un maniero che trasuda passato, ma che è diventato un luogo dal sapore di casa. Ed è proprio ciò che ospiti e turisti apprezzano. Insieme al cibo e alla nobiltà dei padroni
Al castello non si sta mai fermi. Quando qualcuno della famiglia arriva viene subito messo a fare la prima cosa che serve, magari sgranare la lavanda nella cucina medievale. I bambini alzano il naso dall’iPad e vengono mandati nel prato a raccogliere prugne selvatiche e albicocche per le marmellate. E quando ci sono i matrimoni nonno Giacomo, il patriarca di 88 anni, raccoglie dal roseto la rosa più bella del momento, preferibilmente rossa, e aspetta la sposa ai piedi della scalinata ricolma di fiori, o fiammeggiante di luci se la cerimonia è serale. Privilegio sì, ma sempre operoso. Il castello – vera fortezza feudale, con torri e torrioni, smerli, fossato, scuderie, borgo sottostante dove un tempo c’erano le servitù del castello dal fabbro ferraio al sarto al falegname – è lì, a sorvegliare la valle sopra Tabiano Terme e Salsomaggiore e i pozzi del sale da quasi mille anni, a lungo regno dei Pallavicino, da poco più di un secolo della famiglia Corazza, che dopo gli splendori feudali e postfeudali cerca una nuova via per rivitalizzare e, se possibile, fare da volano all’economia del territorio, e ai nuovi flussi turistici di chi vuole scoprire un’Italia insolita, meno da cartolina. Un destino che accomuna molte dimore storiche, ora riunite nell’Associazione Adsi presieduta da Gaddo della Gherardesca e voluta proprio per rivitalizzare questi giacimenti nascosti del tessuto italiano ( vedi riquadro nella pagina seguente) che sperimentano ricette diverse per una nuova giovinezza.
Solida borghesia. Nel caso del castello di Tabiano il fulcro di tutto è il sostegno allargato della vasta famiglia Corazza, quattro fratelli, sei nipoti e, in cima, il patriarca Giacomo quinto, 88 anni. Perché se non è da tutti ereditare un castello, poi bisogna farlo funzionare e il segreto potrebbe anche essere semplice, come ha detto ai figli la mamma andandosene: « I beni ve li ho già dati, adesso vogliatevi bene » . Famiglia di solida borghesia, anche se qualche tratto di nobiltà si è insinuato nell’albero genealogico, con una nonna trentina che portò in dote una stemma con dentro tre apine operose, i Corazza sono insediati a Tabiano dal 1880. Vedendolo svettare nella campagna parmense se ne innamorarono subito, Rosa Gatti e il suo secondo sposo, Giacomo Corazza,
e lo vollero per la numerosa figliolanza, costretta perlopiù nelle brume londinesi: le acque e l’aria della zona, Tabiano è detta città del respiro, sarebbero state ottime per loro. Il padre di Rosa, Carlo Gatti, aveva fatto gran fortuna a Londra dove era diventato il re del ghiaccio e la figlia, donna di polso e di carattere, ne seguiva le orme. Sotto la coppia il castello venne ristrutturato e arricchito di smerli e rifiorì di nuovo: nel caseificio, la vasta zona dove erano conservate le maxi forme di parmigiano ancora oggi, che è vuota da quasi trent’anni, c’è eco di profumo reggiano. E a breve si pensa di installare proprio lì un piccolo museo di vita agricola. Oggi Giacomo quinto fa postume congratulazioni a quei bisnonni che non vollero imitare molti altri castellani del tempo che trasformarono i loro castelli in tante piccole regge, ma la vollero piuttosto come una villa settecentesca, con camere vaste e saloni e con un sapore di casa: « Ed è quello che apprezzano le persone oggi, quando vengono a visitare il castello » . C’è da vedere la stanza dei nonni, quella dei genitori, la sala dei giochi dei bambini – il cui pavimento si è miracolosamente conservato perché era stato saggiamente ricoperto con uno spesso strato di parquet –, la grande cucina con una stufa di cent’anni fa che ora viene di nuovo accesa e messa in uso, le stanze abitate e vissute grazie a un ingegnoso sistema di riscaldamento ad aria calda e di dieci camini perfettamente funzionanti. Nella sala degli stemmi c’è un soffitto affrescato con sedici blasoni di famiglie che hanno dominato o solo sfiorato la vita della fortezza, i Pallavicino, i Della Casa, i Visconti, i Canossa, annegati in un albero multirami e multifoglie, una delle tante copie di quella di Leonardo da Vinci a Castello Sforzesco a Milano. Fu un regalo di matrimonio del fratello per Carlo ( padre di Giacomo quinto, l’attuale patriarca), che lo trovò al ritorno dal viaggio di nozze, e oggi gli esperti vengono da Milano a studiarlo, incuriositi dal fatto che fra le tante copie sia quella la meglio realizzata e vorrebbero scoprirne la mano che ne fu autrice.
Storia di famiglia. Giacomo quinto, economista agrario ( ha lavorato a lungo a Roma all’Irvam), europeista convinto ora fortemente preoccupato, ha raccontato con gran passione in una serie di libri storici, per Gangemi editore, la storia della famiglia e del castello, dal quale nei giorni limpidi la vista spazia dalle Alpi al Lago di Garda, ai colli Euganei. Nei libri si raccontano le figure di Oberto il Grande Pallavicino, alleato dell’Imperatore Federico II, di Rolando il Magnifico, di Delfino che assassinò il fratello Tancredi, in un luogo che ancora oggi chiamano Porta Rossa, per il ricordo del sangue versato. E la storia di Isabella, detta l’Angelo di Tabiano per la sfolgorante bellezza, cantata dai menestrelli di corte in corte. Una Giulietta locale che non coronò la storia d’amore con il suo Romeo, il nobile Riccardo d’Orange arrivato dalla Provenza per conoscerla.
La famiglia anche qui si oppose al loro amore: Riccardo si uccise e Isabella non si sposò mai, e ogni giorno andava a curare la tomba di Riccardo. Amore forte, solidale e fortunato fu invece quello fra la bisnonna Rosa e il suo Giacomo, che sempre il nipote Giacomo quinto racconta attraverso le centinaia di lettere che i coniugi si scrivevano, quando lei stava a Londra ad occuparsi delle fortune del suo ghiaccio e lui a Tabiano a seguire la ristrutturazione del castello e la nascita delle fortune termali, da lui sostenute e sponsorizzate con anticipatoria intuizione. Stessa intuizione che ha avuto il Giacomo di oggi rispetto alla coltivazione biologica che ha introdotto già vent’anni fa, « vuoi perché il contributo europeo per il bio era superiore, vuoi per motivi di passione per la natura » . Oggi solo nonno Giacomo e un altro nipote, anche lui Giacomo, figlio di Cristina la maggiore dei quattro fratelli, giornalista, abitano a Tabiano tutto l’anno. Il nonno scrive i suoi libri e sovrintende, e Giacomo che a 29 ha già un curriculum di alta gamma nell’hotel management è la persona di fiducia della famiglia in loco. Una specie di coppia di fatto, nonno e nipote, che va d’accordo su tutto, eccetto sul punto di cottura della pasta, stracotta per il primo, al dente per il secondo. Gli altri fratelli si dividono fra il castello e l’Europa: Chiara è sposata in Francia, ed è direttore generale del Women’s Forum; Anna Maria ha incontrato in Bosnia, dove ha svolto a lungo opera di peacekeeping, suo marito, l’ex premier svedese Carl Bildt, e oggi lei è eletta dagli svedesi per il partito moderato al Parlamento europeo, in prima linea sui diritti umani e le donne; Carlo è il portavoce e vice capo di gabinetto del nuovo presidente del Parlamen- to europeo Antonio Tajani. Ma un weekend sì e uno no sono tutti al castello: la rinascita di Tabiano è ricominciata nel 2006 quando i due fratelli minori, Anna Maria e Carlo decisero di restaurare l’antico Borgo sotto il castello in chiave green, puntando su tetti solari, caldaie a legna, centro benessere in grotta, orto e frutteto, con suite e appartamenti per 150 persone, sale riunioni per oltre 400 ospiti. Poi è venuta la trasformazione dei Casali in ville di campagna, cui ha partecipato tutta la famiglia coinvolgendo artigiani, tecnici e piccole imprese del territorio, infine l’apertura del Castello al pubblico. Da maggio scorso sono già stati circa 5 mila i visitatori, arrivati anche dall’Australia e dal Giappone ( per un matrimonio sono arrivati addirittura dalla nuova Zelanda), 70 per cento ospiti stranieri che reclamano un diverso e più stimolante Viaggio in Italia alla scoperta di sentieri non ancora battuti e di luoghi con atmosfera e alta ospitalità. « Il nostro è un insieme unico, castello, camere del borgo e casali di campagna, in grado di ospitare anche grandi eventi, ma al quale vogliamo dare uno stile tutto nostro, far sentire le persone non come turisti ma ospiti. Nonostante la crisi e mille difficoltà, continuiamo a crederci, a investire, ad assumere personale, fieri di dare lavoro e un indotto positivo, valorizzando questo bellissimo territorio, le eccellenze della cultura, dell’arte, del cibo » , racconta Anna Maria. Da quest’anno nell’ Antico Caseificio del parmigiano reggiano, trasformato in ristorante, ci saranno le verdure bio a chilometro zero, e specialità fatte in casa e inedite come i tortelli con le ortiche. O le marmellate cui sovrintende nonno Giacomo, dopo aver recuperato le ricette di famiglia. Per il nocino, invece, fa di testa sua: solo noci « raccolte la notte di San Giovanni » e messe a macerare con alcol a 95 gradi, poi, dopo mesi, tutto colato con rito amoroso.