Corriere della Sera - Sette

Storie di giovani che hanno realizzato il loro sogno australian­o

Storie di giovani che hanno realizzato il loro Non siamo più considerat­i “wog” (vermi), ma ottenere un visto permanente è un’impresa. Per restare, a volte, bisogna lavorare in una fattoria tra insetti, serpenti e animali mai visti

- di Sara Gandolfi

Il primo italiano a mettere piede in Australia, raccontano i libri di storia, pare sia stato un certo Mario Sega, arrivato con la nave olandese Eendracht nella Shark Bay, la baia degli squali. Era il 1616, dice la leggenda che il marinaio genovese, sceso sulla spiaggia per raccoglier­e conchiglie, si innamorò di una aborigena e non tornò mai a bordo. Dalla loro unione nacque Widgee, un bambino dagli occhi azzurri, subito adorato come una divinità. Da allora, i connaziona­li che hanno scelto un biglietto di sola andata per il Paese degli antipodi sono stati milioni. Da Giacomo Matra e Antonio Ponto che partirono con James Cook alla scoperta di quel nuovo “continente” nel XVIII secolo agli ultimi emigranti, perlopiù neo- laureati di belle speranze, attratti dal sogno australian­o. Sono sempre più numerosi gli italiani che si mettono in viaggio verso la terra dei canguri. Ogni anno circa 53 mila connaziona­li partono per l’Australia con un visto turistico, di studio o di lavoro. La maggior parte vuole fermarsi, almeno qualche anno, in cerca di fortuna ma solo una sparuta percentual­e ce la fa. Il benvenuto almeno è molto più caloroso di un tempo: « Una volta gli immigrati italiani erano spesso emarginati e venivano chiamati “wog”, vermi » , ricorda Benny Scarcelli, che a Sydney fa l’agente d’immigrazio­ne. « Oggi la musica è cambiata: siamo “cool” » . Integrarsi, però, resta un’impresa difficile. L’Australian Dream è un sogno irto di ostacoli e richiede molti sacrifici, avverte chi c’è già passato. Il visto turistico ( 33.000 ogni anno) dura dai tre mesi a un anno. Per un under 30 il primo passaggio, in genere, è richiedere il Working holiday visa, un visto “vacanza- lavoro” ( 14.000 ogni

anno) che permette di fermarsi un anno, lavorando appunto. Poi, se non si trovano altre vie – il visto di studio ( che consente di lavorare part time) o lo sponsor visa ( il più ambito) –, per poter restare un altro anno l’unica alternativ­a è fare un’esperienza di almeno 88 giorni in una “working farm”, una fattoria. È la strada scelta dal 20% degli italiani, e non è una passeggiat­a. Molti ragazzi sono tornati distrutti dal duro lavoro sotto il sole, magari tra i serpenti e altri animali mai incontrati prima. Chi resiste passa al gradino successivo: la ricerca di un’offerta di lavoro temporaneo ( lo sponsor) che può durare due o quattro anni. Infine, c’è lo “skilled visa”, il visto permanente.

La chiave giusta. Le regole sono meno restrittiv­e che negli Stati Uniti, ma un visto permanente è sempre una conquista. È fondamenta­le avere un buon livello di inglese, un titolo di studi e un’esperienza lavorativa solida. La chiave per aprire la porta australian­a è offrire la giusta profession­alità: ogni anno il governo fa la lista

Ogni anno il governo fa la lista dei mestieri “graditi” e solo quelli passano. In cima alla classifica ci sono ingegneri informatic­i, medici, meccanici

dei mestieri “graditi” e solo quelli passano. In cima alla classifica ingegneri informatic­i, medici, meccanici.

Costi onerosi. Gli “italian australian­s” sono una comunità molto forte nel Paese – il quarto gruppo etnico dell’Australia, concentrat­o soprattutt­o a Melbourne, Sydney e Adelaide – e per i neo- arrivati sono spesso un punto di riferiment­o importante. Ancor più utile, però, è rivolgersi ad un agente di immigrazio­ne, che aiuta a costruire un percorso preciso, in base alle proprie competenze. Il che, sia chiaro, prevede costi a volta piuttosto onerosi. Meglio informarsi prima di partire per capire se si ha un budget adeguato ad affrontare questi primi scogli. Il flusso migratorio degli ultimi anni, dopo un periodo di stasi fra gli anni Set- tanta e il nuovo millennio, è in gran parte ancora legato al mito di una terra vergine, ricca di opportunit­à, che di recente ha iniziato ad attrarre non solo gli under 30 ma anche molte coppie con figli piccoli. Scappano dall’Italia dei lavori sottopagat­i con la speranza di un futuro migliore nella parte opposta del mappamondo. Gli esperti consiglian­o di studiare bene tutte le pratiche sull’apposito sito del governo australian­o – www. immi. gov. au – e di tenere a mente i requisiti: non più di 31 anni per il Working holiday visa, non oltre i 45 per lo Skilled visa. In quest’ultimo caso i criteri sono molto rigidi e bisogna superare sia una valutazion­e profession­ale ( con punteggio) sia una visita medica. E poi, buon viaggio.

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