Cinema
Clint Eastwood, John Wayne, Gary Cooper. Il duello tra indiani e cowboy torna protagonista nel libro del jazzista Gaetano Liguori
« Il jazz e il western sono gli unici contributi artistici originali che l’America abbia dato al mondo » . La dichiarazione di Clint Eastwood fa bella mostra nella prima pagina del libro in cui Gaetano Liguori ha concentrato le sue due grandi passioni. Al jazz ha dedicato praticamente tutta la vita, da quando si è diplomato in Pianoforte e composizione elettronica al Conservatorio di Milano, dove – non a caso – continua a insegnare Pianoforte e Storia del jazz, quando non suona in giro per il mondo; sul western ha appena scritto un libro, Non sparate sul pianista ( Skira, pp. 224, 16 euro), che prima di affrontare la storia del cinema « di cowboy e indiani » attraverso temi e protagonisti, si concede
una rapida introduzione di ricordi personali, dove il contagioso esempio del padre, grande amante del genere, si intreccia alla ricostruzione della Milano delle terze visioni ( Liguori abitava al Corvetto, allora « estrema periferia della generosa Milano » ) e soprattutto con lo spirito emulativo che lo conquistava dopo ogni visione. Lui ricorda il duello tra Gary Cooper e l’indiano Seminole in Tamburi lontani, rifatto nei giorni seguenti con il « malcapitato fratello » costretto al ruolo di Seminole, ma al lettore serve da introduzione propedeutica a quella che forse è la qualità maggiore del cinema e ( per il giovane spettatore maschile) del western in particolare e cioè la capacità di coinvolgimento e di empatia, oltre che di costruzione di un universo mitico in cui trovare e far propri quei valori ( di giustizia, di amicizia, di coraggio) che poi possono guidarti anche nella realtà. E proprio questa traccia “morale” è quella che innerva tutto il resto del volume che alterna capitoli dedicati agli eroi dei film ( Billy the Kid, Jesse James, Wyatt Earp e Doc Holliday), agli attori che li hanno incarnati ( a cominciare da John Wayne, talmente grande che il progressista Liguori arriva alla fine quasi a « perdonargli » la
scivolata reazionaria di Berretti verdi) e cui dedica alla fine un veloce dizionarietto finale sui “giganti” del genere ( dove innalza a livello dei grandi anche Audie Murphy, con qualche ragione dobbiamo ammettere), ai registi ( dove sembra non fare distinzioni tra Ford, Hawks, Peckinpah, Eastwood e… Leone. Cosa su cui avremmo da ridire), ai momenti forti delle narrazioni cinematografiche ( con un interessante capitolo sul mito del « ritorno » ) , alle donne, agli indiani, agli accadimenti storici. E naturalmente alla musica. Insomma, a tutta quella mitologia che ha fatto la forza e il fascino di un genere e che nonostante le reiterate dichiarazioni di morte, continua a rinascere dalle sue ceneri. Alla fine, non può mancare la confessione in pubblico: la lista dei dieci western preferiti, seguita però da una « lista di scorta » con altri dieci titoli, a conferma che l’amore e la passione la vincono sulla razionalità e che di fronte a troppi oggetti di desiderio ogni scelta finisce per essere molto dolorosa. Perché in fondo è proprio la passione quella che rende particolare questo libro. Ne esistono molti altri sull’argomento, certamente più documentati e “completi” ma spesso molto più “freddi” e impersonali. Quello di Gaetano Liguori è invece attraversato da una carica di energia e di amore che non si nasconde dietro nessuna maschera di scientificità ( anche se le sue notazioni sono impeccabili, a cominciare dal divertente florilegio di citazioni che introducono i singoli capitoli) per arrivare invece diritto al cuore dell’appassionato: di fronte a certi film western non è questione di esegesi, ma di amore. E Liguori l’ha capito benissimo.