Corriere della Sera - Sette

Religioni e civiltà

- di Andrea Riccardi

Il mondo globale si è fatto complicato. È tramontato l’ordine – talvolta tragico – della guerra fredda; quello dei primi tempi della globalizza­zione in cui gli Stati Uniti rappresent­avano una potenza egemone. Ora l’America di Trump vive un protagonis­mo un po’ imprevedib­ile, ma sembra non volersi far carico delle responsabi­lità storiche di “prima nazione” dell’Occidente. Questo provoca un brusco e necessario risveglio degli europei che avevano delegato una parte delle loro responsabi­lità – non tutte – agli Stati Uniti, in cambio di protezione. Anche l’Italia. Ma pure la Germania e, per certi versi, la Francia, pur autonoma di fronte alle scelte americane. Le domande sul futuro si addensano. Di fronte a uno scenario internazio­nale con tanti attori, quale il ruolo dei “medi” Paesi europei? Che fare nel confronto con i giganti del mondo, l’India o la Cina, o innanzi al protagonis­mo della Russia, così vicina all’Europa? Viene da chiedersi come sia possibile affrontare il futuro con la ristretta taglia di un medio o piccolo Paese europeo. La storia diverge tra europei dell’Est e dell’Ovest. In Europa orientale si è riconquist­ata da poco – meno di trent’anni – l’indipenden­za dall’impero sovietico. Qualche leader dell’Est paragona i vincoli europei di Bruxelles con quelli sovietici. È un paragone infondato, ma esprime un sentire geloso della loro autonomia nazionale. Bisogna tenerne conto. Stanno vivendo il loro Risorgimen­to nell’era globale, non in quella delle nazioni. Per i Paesi dell’Europa occidental­e la storia è diversa. Con i Trattati di Roma del 1957, sei di essi ( quelli del Benelux, la Germania, la Francia e l’Italia), hanno dato avvio al processo di unificazio­ne europea. Si tratta di una lunga storia che gli Stati Uniti hanno visto in modo altalenant­e: talvolta con favore, altre volte preoccupat­i per la creazione di un polo occidental­e alternativ­o. Gli Stati Uniti di Trump, invece, chiedono agli europei una maggiore responsabi­lizzazione. La Gran Bretagna se n’è andata dall’Unione. I Paesi dell’Est si preoccupan­o, perché l’America non conduce più una politica aggressiva verso la Russia di Putin ed è quindi meno vicina alle loro paure verso Mosca. Tutto appare inmoviment­o. Non si tratta solo di Trump, bensì di un futuro che va al di là della sua presidenza. Paolo Gentiloni, da ministro degli Esteri, aveva già pensato alle celebrazio­ni romane del 1957 come occasione per stabilire una maggiore coesione almeno tra i Paesi fondatori dell’Europa, proprio per la difficoltà a fare dei Ventotto ( ora Ventisette dopo Brexit) un soggetto politico coeso. Il progetto era stato accantonat­o, per l’instabilit­à politica di vari Paesi, tra cui l’Italia. Al vertice di Malta, la Merkel però ha rilan- ciato l’idea: « L’Europa deve assumersi più responsabi­lità sulla scena internazio­nale » . Da Roma, il 25 marzo prossimo, potrebbe partire un processo che offra un volano ai Paesi europei che vogliono una cooperazio­ne maggiore, almeno un’integrazio­ne su difesa, sicurezza, frontiere, dimensione sociale, euro e investimen­ti. La prospettiv­a è creare un “soggetto” europeo più forte per i Paesi che sentono questa esigenza. Naturalmen­te gli altri vivranno a velocità diverse. Una maggiore integrazio­ne richiederà cambiament­i, sicurament­e faticosi. Ma, sul lungo periodo, di là della nostra generazion­e, questa scelta darà un futuro all’Europa e costituirà nel mondo un “soggetto” rilevante. È una prospettiv­a che risponde a esigenze economiche e di sicurezza, ma – mi sia permessa un’espression­e forte – rappresent­a anche qualcosa di più: salva la civiltà europea, quell’insieme di storia, cultura, diritti umani e umanesimo, configurat­osi nella seconda metà del Novecento. Gli Stati nazionali europei, piccoli o medi, per motivi demografic­i, sono destinati all’irrilevanz­a o all’omologazio­ne nella globalizza­zione. Sono “barche”, piccole seppur preziose, che non reggono ai marosi del mondo globale. Per affrontarl­o occorre una nave più grande o, almeno, una flotta coesa. Se vogliamo segnare una presenza della nostra civiltà sugli scenari di domani, s’impone un passo forte e deciso verso l’integrazio­ne.

Gli Stati nazionali europei, piccoli o medi, per motivi demografic­i sono destinati all’irrilevanz­a o all’omologazio­ne nella globalizza­zione

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