Italia sì, Italia no
Una generazione di ragazzi soli e spaesati. Ma che hanno talento ed energia. Tocca a noi dare loro un’opportunità
Mi avevano incastrato dicendomi: « La conferenza dopo la sua sarà tenuta dal professor Zygmunt Bauman » . L’argomento, su un cronista di provincia, ha una certa presa. Non saprò mai se era una millanteria o era vero: Bauman, com’è noto, è morto. Ma ormai mi ero impegnato con la professoressa Carmela D’Aronzo, e anche se Benevento non è proprio dietro l’angolo mi è toccato il terzo festival filosofico del Sannio, argomento: « Il giornalismo: la crisi della verità » . Alla fine sono stato contento di essere andato. Il pubblico era composto da 700 ragazzi, molti hanno posto domande interessanti. Non è vero ad esempio che non leggono i giornali; leggono i siti dei giornali. Ho riflettuto sulla loro condizione. Noi li pensiamo come la generazione della rete trionfante: videogame, chat, fatuità. Invece tanti si pongono il problema dell’informazione, di come si forma e si influenza l’opinione pubblica, di come si possono comunicare contenuti più profondi di quel che si è mangiato o bevuto la sera prima. Mi pare una generazione molto solidale, ma anche molto sola. Le due cose non sono in contraddizione. Tra loro sono uniti; ma sono anche spaesati. Hanno una terribile paura del futuro, che appare loro una nuvola nera. Si sono sentiti dire talmente tante volte che appartengono alla prima generazione che starà peggio dei padri e dei nonni, al punto da convincersene. Molti infatti si arrendono prima ancora di combattere. Com’è noto, abbiamo il record europeo di giovani che non si formano, non studiano, non lavorano. Ma quelli con cui mi sono confrontato non appartenevano alla categoria degli arresi. Coglievi un talento, un’energia. Certo le opportunità sono poche, in particolare al Sud. Ma le donne e gli uomini del Sud si sono fatti valere in tutto il mondo, in qualsiasi città e Paese siano andati. L’importante è che l’orgoglio, l’identità, il legame sacrosanto con la propria terra, il dialetto, il campanile, non degenerino ogni volta nel piagnisteo, nel risentimento inutile verso il Nord, nella polemica sempiterna contro lo Stato. Il giorno dopo ero a Napoli, davanti ad altri 250 ragazzi dei licei. Anche loro mi hanno fatto un’ottima impressione. Ma anche lì, accanto all’intelligenza e alla vivacità intellettuale, vedi affiorare lo scoramento, il senso di solitudine e di abbandono. Me ne accorgo anche dalla rubrica delle Lettere del Corriere: ricevo più offerte di lavoro, che non riesco a smaltire, rispetto alle domande di lavoro; e i curricula arrivano più da cinquantenni, che il lavoro l’hanno perso, che non da ventenni, che non l’hanno mai trovato. Sono i nostri figli, i nostri nipoti. Non credo allo scontro tra generazioni, ma all’incontro. La mia generazione è stata poco solidale, e infatti non contiamo nulla. I “sessantottini” coltivano il mito di se stessi, anche se hanno combinato più guai che altro. I trentenni vedremo cosa sapranno fare. Questi nostri ragazzi sono meglio di come li disegniamo. Diamo loro un’opportunità, non aspettiamo che vadano tutti a laurearsi a Londra o a fare i camerieri in Australia.