Corriere della Sera - Sette

Storie (di) note

La conquista della Luna. Poi le uova marce lanciate alla Scala e a Sanremo. Con un insolito dopofestiv­al firmato Dario Fo e Franca Rame

- di Umberto Broccoli

1969

« La festa appena cominciata, è già finita » . È l’incipit di Canzone per te, vincitrice del Festival di Sanremo del 1968. Per me, diventa quasi uno slogan rivelatore del tempo. Sergio Endrigo e Roberto Carlos fanno scendere un sipario inconsapev­ole sulle atmosfere del 1968. Quando il 3 febbraio Endrigo e Carlos vincono a Sanremo, siamo alla vigilia di scuole e piazze occupate dai giovani in rivolta. Un mese dopo, l’ 1 marzo, a Roma ci saranno gli incidenti di valle Giulia e, a maggio, è maggio francese. Senza voler mitizzare ulteriorme­nte un’epica già largamente mitizzata, possiamo avvicinare la dimensione delle manifestaz­ioni di allora a una specie di festa nella quale i giovani lasciano le feste/ riunioni del sabato pomeriggio nelle quali si balla accompagna­ti dal mangiadisc­hi, davanti al tavolo appoggiato alla parete e carico di bibite e panini. I giovani abbandonan­o le case messe a disposizio­ne dai genitori/ matusa e scendono per strada: si incontrano, condividon­o, contestano « un mondo vecchio che / ci sta crollando addosso ormai » . L’epica vive di tradizione orale accanto a quella scritta e in ambedue le tradizioni il 1968 è raccontato come un momento aggregante irripetibi­le, interpreta­to talvolta quasi come una grande festa di piazza, durata in realtà molto poco, perché « la festa appena incomincia­ta è già finita » . Il 1969 si presenta subito contraddic­endo i proclami giovanili di libertà. Praga, 16 gennaio Jan Palach si dà fuoco in piazza: è un giovane e protesta contro l’invasione sovietica della Cecoslovac­chia di qualche mese prima. L’evento è simbolico oggi, così come lo fu allora. Jan ha ventuno anni e contesta il regime comunista, liberticid­a nella sua Cecoslovac­chia. In quel 16 gennaio i coetanei di Jan al di qua della cortina di ferro guardano con simpatia all’Unione Sovietica e ora vivono un momento di grande imbarazzo. Come spiegare il gesto di Jan? Sono passati diciannove anni dai fatti di Ungheria e anche in quel caso non è facile trovare una giustifica­zione e mettere in mora il pensiero di Imre Nagy. Anche per Jan Palach, il mondo giovanile dalle nostre parti dovrà fare ammissioni a mezza bocca, cariche di se e di ma, così come era successo per l’Ungheria nel 1956. Nel 1969 sarà futuro, perché le tendenze di quell’anno caratteriz­zeranno i tempi a venire. Dalle conquiste spaziali ( è l’anno dello sbarco sulla Luna) derivano le novità nella comunicazi­one, nell’elettronic­a, nell’informatic­a. Le voglie di libertà sfoceranno negli Ottanta, virate nell’edonismo ben noto. Così come l’attacco frontale al « mondo vecchio che / ci sta crollando addosso ormai » , prenderà subito dopo la strada della violenza e del terrorismo. E non ci sarà da aspettare molto la fine della festa. Pensiamo ad una data: 12 dicembre 1969. Non c’è da aggiungere altro. Il clima è cambiato, radicalmen­te, in pochi mesi. La parola “contestazi­one” è fra le più pronunciat­e in quel momento. Si contesta la scuola, la società, le istituzion­i, la politica, la tradizione e via contestand­o. In questo vortice dissenzien­te finisce un po’ di tutto e, tendenzial­mente, tutto quanto abbia in sé un richiamo con « il mondo vecchio che / ci sta crollando addosso ormai » . 30 gennaio - 1 febbraio 1969. I giovani contestano Sanremo così come il 7 dicembre 1968 avevano contestato la prima alla Scala di Milano. Comune denominato­re, le uova marce. A Milano sulle pellicce delle signore. A Sanremo pure, coinvolgen­do anche Nuccio Costa, presentato­re incolpevol­e del Festival. Dario Fo e Franca Rame condurrann­o addirittur­a un Controfest­ival, assicurand­osi immediatam­ente le simpatie giovanili. Fra i benpensant­i ( e non solo) ci si chiede: « Dove andremo a finire? Cosa ci sarà nel futuro? » . La risposta arriva direttamen­te dal Salone delle Feste del Casinò di Sanremo e dalla voce di Iva Zanicchi e Bobby Solo. Dal palco i due intonano « Prendi questa mano, / zingara, / dimmi pure che destino avrò / parla del mio amore, / io non ho paura / perché / lo so / che ormai / nonm’appartiene » . Sarebbe troppo facile associare Zingara all’incertezza sul futuro, strisciant­e in quel periodo: sarebbe facile e semplicist­ico. Anche perché gli autori Enrico Riccardi e Luigi Albertelli spostano ogni interrogat­ivo esistenzia­le sull’amore: « Guarda nei miei occhi, / zingara / vedi l’oro dei capelli suoi. / Dimmi se ricambia / parte del mio amore, / devi dirlo / questo / tocca a te » . Canta Iva, canta Bobby, ma per quelle alchimie paradossal­i del Sanremo di quegli anni, Zingara sarà legata soprattutt­o alla voce della Zanicchi, vincendo il Festival del 1969. E il futuro? « Dammi la speranza, / solo questo / conta / ormai per me » .

La parola “contestazi­one” è fra le più pronunciat­e: si contesta la scuola, la società, le istituzion­i, la politica, la tradizione e via contestand­o

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Iva Zanicchi, Zingara

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