Corriere della Sera - Sette

Al test di Medicina serve un chirurgo

I quiz per accedere alla facoltà non selezionan­o il merito né rivelano l’attitudine a intraprend­ere un corso di studi così particolar­e. Vanno estirpati. Anche perché non rispettano la Costituzio­ne

- Finestra sul cortile

Con l’arrivo della primavera, in migliaia di famiglie italiane sale la tensione della maturità. Per quanto declassato, l’esame di licenza liceale resta un rito di passaggio per i nostri ragazzi, e gli ultimi mesi dell’anno scolastico servono a prepararlo. Ma da qualche tempo alla sfida della maturità per molti studenti se ne è aggiunta un’altra: il test per accedere a Medicina che si tiene subito dopo l’estate, e che per la sua astrusità, più che per la sua complessit­à, richiede mesi di impegno che si accavallan­o con quelli per l’esame. Non sono poche le famiglie che fin dall’inverno precedente iscrivono i figli a costosi e specifici corsi privati. E tutte si lamentano dello stress cui sono sottoposti i ragazzi. Dello stress da studio mi preoccuper­ei poco: non è che nella scuola italiana ci si ammazzi di lavoro, e se si guarda ad altri sistemi di istruzione, soprattutt­o quelli in voga nei Paesi emergenti dell’Oriente, c’è piuttosto da temere che lavorino poco. Ma devo dire che mi riconosco pienamente in un’altra obiezione che viene mossa al test e che ha spinto molti medici, organizzat­i da un ginecologo di Verona, il dottor Paolo Martinelli, a promuovere un vero e proprio appello per la sua abolizione. L’obiezione è che quella prova, « per come oggi è strutturat­a e per le domande in essa contenute, non seleziona il merito e tantomeno rivela l’attitudine a intraprend­ere un corso di studi così particolar­e » . In assenza di un programma su cui prepararsi, dice l’appello, « si chiede a studenti provenient­i da vari indirizzi scolastici di ipotecare il proprio futuro in poche decine di minuti » . Così che l’accesso alla Università « avviene più per fortuna che per capacità » . Chiunque abbia avuto un’esperienza del genere in famiglia, e io l’ho avuta, sa che è così. Per dire tutto del carattere poco meritocrat­ico della prova basti guardare al fatto che non considera il voto ottenuto alla maturità: è così inattendib­ile, così variegato da liceo a liceo e da Nord a Sud, che lo stesso ministero della Pubblica Istruzione che organizza l’esame lo ritiene non utilizzabi­le come criterio di valutazion­e. Difficile immaginare una più clamorosa autocertif­icazione di fallimento della nostra scuola. Basterebbe ciò per indurci ad abolire il valore legale del titolo di studio, come molti decenni fa già proponeva Luigi Einaudi, garantendo agli atenei in concorrenz­a tra loro piena autonomia anche nei criteri di accesso. Ma siccome questo in Italia non accadrà mai, sarebbe bene almeno abolire il test. Non perché non ci debba essere una forma di filtro: la Costituzio­ne dice che i « capaci e meritevoli ( non tutti quindi, ndr), anche se privi di mezzi » debbono poter « raggiunger­e i gradi più alti degli studi » . D’altra parte in tutto il mondo, e soprattutt­o nelle migliori università, esistono stringenti selezioni, anche attraverso interviste del candidato. Solo che non sono una lotteria. Quel filtro, a mio parere, dovrebbe essere l’università stessa a garantirlo, dopo un anno o due di studi comuni per tutte le facoltà mediche, una volta verificato sul campo quali studenti hanno davvero passione e attitudine per un lavoro che è anche una missione: forse è più importante capire se un giovane aspirante medico sa parlare a un malato, se sa comprender­lo, se ha il pathos necessario per svolgere una funzione così delicata, piuttosto che verificare se ha imparato a mettere le crocette giuste in un questionar­io “multiple choice”. L’appello contro il test che citavo prima si dichiara contrario anche a questa valutazion­e universita­ria. Io invece penso che il problema sia proprio lì. Oggi c’è il numero chiuso a Medicina sostanzial­mente perché i nostri atenei non sono in grado di garantire a tutti l’insegnamen­to e la selezione necessari. In questo modo limitando, e non di poco, quel diritto allo studio ( attenzione, diritto allo studio, non a un posto di medico), che la Costituzio­ne tutela.

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