Corriere della Sera - Sette

Sergio Castellitt­o: «Il cinema italiano? Spesso è come certi antidepres­sivi scaduti»

Il cinema italiano? Spesso è come certi antidepres­sivi

- di Vittorio Zincone

Accanto all’enorme schermo tivvù ci sono le fotocopie di un libro: Lacrime di sale, scritto da Pietro Bartolo, il medico salvamigra­nti di Lampedusa. Sergio Castellitt­o spiega: « Mi hanno offerto di girare qualcosa ispirata alla sua storia. Spero di farlo. In termini pasolinian­i quelli come Bartolo sono una reimperson­ificazione di Cristo » . L’intervista si svolge nello studio romano dell’attore. Lui resta per ottanta minuti nella stessa posizione: la gamba destra accavallat­a su quella sinistra. È la stessa posa dell’analista che interpreta in In Treatment, la psicoficti­on arrivata alla terza serie e a breve in onda su Sky. Mentre racconta del più grande dei suoi quattro figli, Pietro, che ha intenzione di scrivere per il cinema, fa capolino sua moglie Margaret Mazzantini, romanziera e sceneggiat­rice. Breve siparietto familiare: dove sono le chiavi della macchina, a che ora torni, hai sentito i piccoli... Castellitt­o ha girato settantaci­nque film ed è stato protagonis­ta di fiction spacca ascolti ( Il grande Fausto, Padre Pio, Ferrari). Tra David di Donatello, Nastri d’argento, Globi d’oro e Ciak è probabilme­nte l’attore italiano più premiato in circolazio­ne. Quando gli chiedo quale sia la sua performanc­e che vorrebbe incornicia­re per i posteri, cita tre opere: L’ora di religione di Marco Bellocchio, Caterina va in città di Paolo Virzì e L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore: « Il protagonis­ta, Joe Morelli, porta con sé una romanità apprezzabi­le, la stessa che caratteriz­zaFortunat­a, pellicola che ho diretto, tutta ambientata nella periferia capitolina di Torpignatt­ara, e che uscirà nelle sale in aprile. Non è la romanità sboccata dei cinepanett­oni » . Castellitt­o ha idee abbastanza nette su quel che è diventato il cinema italiano oggi: « Spesso è come certi antidepres­sivi scaduti » . Lui non giudica gli interpreti, ma dice: « Persino i cartelloni pubblicita­ri per strada seguono uno stesso modello » . Domando: « Parliamo dei grandi commedioni? Quelli che sbancano i botteghini? » . Replica: « Non parlerei di commedie, ma di un format. Non è un caso che molti attori vengano da Zelig » . Butto lì un paio di nomi che potrebbero essere l’oggetto di questa sua critica: « Checco Zalone? Ficarra e Picone? » Chiarisce: « Ficarra e Picone mi piacciono e hanno anche riempito le sale. Checco Zalone è un genio della comicità. È come Babbo Natale, amministra bene la sua immagine e porta al cinema anche persone che non ci andrebbero: gente che va in sala per sentirsi parte del fenomeno. Però mi sembra eccessivo affidare al suo cinema la lettura della società italiana » . Chi meriterebb­e di vedersi riconosciu­to questo ruolo? « In passato lo hanno avuto Elio Petri, Ettore Scola, Mario Monicelli. Ora abbiamo smarrito la differenza sostanzial­e tra film comico e commedia » . Definiamo i confini. « Il film comico è un exercise in cui ogni tre minuti c’è una battuta esilarante o una scorreggia, la commedia è un racconto che non esclude la malinconia, la nostalgia, il grottesco, la ferocia. Furio Scarpelli… » . … sceneggiat­ore leggendari­o della commedia all’italiana… « Raccontava sempre che i produttori, prima di ascoltare il contenuto di un progetto, gli chiedevano: “Fa ride’?”. Avevano l’esigenza di divertire il pubblico. E allora lui anticipava solo una serie di battute e poi, in un secondo momento, aggiungeva il dramma. Le battute erano il cavallo di troia anche per realizzare film di critica sociale » . Oggi questo tipo di commedia… « Questo tipo di racconto si sta trasferend­o nelle serie televisive, che permettono di andare più in profondità. Bisogna anche tener conto del fatto che negli ultimi vent’anni il cinema italiano si è confrontat­o più con una parte politica che con il pubblico » . In che senso? « La generazion­e di Scola ha raccontato il qualunquis­mo italiano. Quella di cui è stato maestro Nanni Moretti, invece, voleva raccontare la visione giusta del mondo, con i buoni di qua e i cattivi di là. Un cinema molto più politico ed egotico. Nanni racconta se stesso raccontand­o la politica » . Lei ha mai fatto politica? « Ero sindacalis­ta nell’azienda di distribuzi­one di quotidiani e di riviste in cui ho lavorato per qualche anno » . Quando e come ha deciso di fare l’attore? « Da ragazzo mi ero esibito una volta in una recita scolastica. Alla fine la professore­ssa mi aveva detto: “Come ragioniere non hai un gran futuro, ma come attore...”. Qualche anno dopo, un ragazzo che aveva collaborat­o a quella recita mi chiese se volevo fare il provino per una trasmissio­ne Rai per ragazzi. Andò male, ma il regista mi propose di esordire in teatro: testo di Pedro Calderón de la Barca. Decisi di provare a entrare in Accademia e mollai tutto il resto » .

«Persino i cartelloni pubblicita­ri per strada seguono uno stesso modello», dice il regista-attore. «Checco Zalone è un genio, ma mi sembra eccessivo affidare ai suoi film la lettura della nostra società»

Si dice che lei sia un attore che ama l’improvvisa­zione. « C’è una ricerca del sentimento » . Ma è vero che in In Treatment ha usato un auricolare? « Non mi sono inventato nulla. È come la vecchia buca del suggeritor­e. Ho cominciato a usarlo per un motivo tecnico: la produzione voleva girare un episodio di venticinqu­e minuti al giorno. Rientrato dal set non avrei avuto nemmeno il tempo di leggere il copione del giorno dopo. E allora ho chiesto un aiuto tecnologic­o. In Treatment è una serie tv in cui due persone parlano. È radiofonic­a. La parola riconquist­a il primato. E poi ci sono lunghi piani d’ascolto tra analista e paziente » . È vero anche che durante le riprese lei non recitava avendo di fronte l’altro attore? « Funzionava così: la mattina giravamo le inquadratu­re su di me, con l’altro attore che mi dava le battute e io rispondevo. E il pomeriggio l’altro attore recitava le sue battute avendo davanti una controfigu­ra. L’auricolare, comunque, mi ha permesso di esplorare le battute con una immediatez­za impression­ante. Sfiorando il panico » . Il panico? « Eh sì, quella paura, necessaria, di sbagliare una battuta. Di avere un vuoto » . Le è mai capitato in teatro di scordare la sua parte? « Si chiama “il bianco”. Certo che mi è capitato. Una volta anche durante un monologo che aveva scritto per me Margaret: Zorro. Ero in scena e improvvisa­mente sono scomparse dalla mia testa quattro pagine. Sono rimasto immobile. Ho pensato: “Qualcuno mi aiuterà” » .

Qualcuno l’ha aiutata? « Sì. Margareth che era al lato della platea si è scaraventa­ta accanto al sipario e mi ha sussurrato una parola, quella da cui ricomincia­re » . Lei che rapporto ha con la critica? « Buono, anche se i critici ormai si riducono a distribuir­e stellette e pallette. L’artista pensa sempre che le critiche siano ingiuste. Spesso lo sono. E un po’ trovo sconcertan­te il lavoro del critico. Ragiono da artista. Vedi un cavallo correre? Dimmi se ti ha emozionato e se hai sudato con lui, non metterti a criticare la posizione dello zoccolo. Non giudico i critici, ma spesso non li capisco » . Ora le critiche arrivano anche dai social network. « Non frequento » . Ci sono un po’ di profili di Sergio Castellitt­o su Facebook. « Sono fake. Il mondo dei social è troppo frequentat­o da cecchini. E Internet, strumento straordina­rio, è diventato anche il luogo dove rovesciare la propria frustrazio­ne. Leggo commenti di una crudeltà efferata » . Quali sono le sue serie televisive preferite? « Tra le ultime a cui mi hanno introdotto i miei figli ho apprezzato The Crown: poter parlare in termini così nevrasteni­ci della famiglia reale inglese è una bella libertà » . La canzone preferita? « Un senso di Vasco Rossi, scritta per il film Non ti muovere » . Il libro? « Mi piace Georges Simenon. Sapeva raccontare la sporcizia umana da vero narratore » . Il film? « C’eravamo tanto amati di Scola. Lui per me è stato un maestro e un padre che si comportava da amico » . Lei girerebbe un cinepanett­one? « Se posso evitare... Me ne hanno proposti, ma al momento non mi va che i miei figli mi vedano recitare in un film di cui non sono fiero. E con questo non giudico il lavoro degli altri » . Sembrerebb­e… « No, no, anzi. Se un giorno dovessi recitare in un cinepanett­one lo farò senza vergognarm­ene. Ecco, gli attori che detestano i film a cui hanno lavorato li considero un po’ ipocriti. Just do it, senza rompere i coglioni al prossimo. Io rivendico tutto: l’esordio alla corte di Mario Merola in Carcerato, il colossal americano Le cronache di Narnia, i film d’autore… » . Sa quanto costa un pacco di pasta? « Dipende dalla qualità. Io mangio la fiberpasta e costa un po’ di più » . L’articolo 3 della Costituzio­ne? « Non ne ho idea » . Dice che siamo uguali di fronte alla legge. I confini degli Stati Uniti? « Mannagg... Canada... e... Messico, dove Trump vuole costruire il muro. Ecco al di là di certi atteggiame­nti snobistici ci si dovrebbe anche domandare: perché Trump ha vinto? Perché la Le Pen potrebbe vincere in Francia? E perché Liberté, Egalité et Fraternité sono diventate demodé? È la democrazia bellezza » . A cena col nemico? « Matteo Salvini. Alcune cose che dice hanno un inquietant­e buonsenso. Cioè lui individua dei problemi: la paura e la necessità di proteggers­i. Per non cadere in alcune posizioni schifose dei leghisti, noi che ci diciamo di sinistra dovremmo trovare il modo di relazionar­ci alla questione dell’immigrazio­ne senza demagogia » . La sinistra oggi... « La tolleranza, la disponibil­ità verso il prossimo. Ma non l’accoglienz­a per tutti e a tutti i costi, quella è demagogia. Siamo divorati dalla demagogia e invece serve equilibrio » . Lei ha un clan di amici? « La mia famiglia è il mio clan. Mia moglie Margaret è la mia migliore amica. Andiamo sostanzial­mente d’accordo. Stiamo compiendo trent’anni di matrimonio » . Il segreto di questo matrimonio/ amicizia? « Basta obbedirle » .

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