Maria Luisa Agnese
Giacomotti, dal crescente “potere dei blogger”
Cos’è la moda? Un intermezzo frivolo e quasi fuorviante, come già la liquidò quel moralista di Seneca, criticando nel primo secolo dopo Cristo i giovani patrizi romani, bellimbusti e impomatati « che passavano ore a disquisire intorno alla posizione di un ricciolo » ? O invece è piuttosto un male oscuro, una passione segreta che può prendere anche uno scrittore raffinato come Marcel Proust che si fece reporter mondano di alta gamma e con grazia maliziosa e puntigliosa osservanza rendeva conto nelle sue cronache di ogni dettaglio delle toilettes delle signore, dalle preziose pervinche ai golf maleodoranti? Nel suo nuovo libro, La moda è un mestiere da duri, Rizzoli editore, Fabiana Giacomotti non si schiera ma va oltre tutto ciò, oltre il dileggio oltraggioso o la passione divorante che la moda può suscitare, e non solo ne riconosce il peso specifico nel mercato, nel Pil e nella società, ma la colloca anche in una specie di superempireo, unmondo che sotto l’apparenza di trattar di frivolezze, gestisce con ferrea determinazione, a tratti con pragmatica crudeltà, la sua principale ossessione, quella per i numeri e i risultati economici. Regina e schiava della propria apparente fatuità, la moda diventa così, secondo Giacomotti, paradigma universale della contemporaneità, delle sue ansie da prestazione, delle smanie culturalartistiche, delle fragilità psicologiche, delle performance finanziarie. Insomma dietro, e sotto, il lusso c’è di più. « A chi la osserva in prospettiva, la moda continua ad apparire un’allegra carovana di pastorelle e pastorelli Ancien Régime in transumanza perenne fra New York, Londra, Milano e Parigi con le parrucche incipriate nel trolley.