Corriere della Sera - Sette

1963

E cantautori. Genova segna la strada, ma ancora non lo sa

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Siamo nel boom. La vita corre beata da casello a casello, con il pieno di benzina super e il tigre nelmotore. Eppure, rileggendo alcuni fatti di ieri, si percepisce lo sboom imminente. 22marzo. I Beatles pubblicano il loro primo LP ed è Please please me. Cambia la musica, ovviamente in senso lato e, a ben vedere, cambia bruscament­e: nel 1963 se ne vanno Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, quasi a chiudere simbolicam­ente e definitiva­mente la fase storica del dopo- dopoguerra. La musica cambia anche in senso stretto. Tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta il cantarmelo­dico all’italiana sembra tramontare. Per intenderci, si tende amandare in archivio quello stile in rima cuore/ amore cantato accompagna­ndosi con gesti, così caro – esemplific­ando – a Luciano Tajoli o a Claudio Villa in Serenata celeste. La canzone è costruita su melisma e gorgheggi a volontà, integrando e sottolinea­ndo il racconto con una mimica esagerata, esasperata perfettame­nte nella parodia imperdibil­e di Gigi Proietti ( https:// www. youtube. com/ watch? v= jgrrgOTCPL­k). Quel cantar melodico rimanda all’anteguerra. Ora si guarda avanti a occidente e dall’America non arrivano solamente gli aiuti economici, ma anche le mode e i modi di cantare. I ragazzi sono rock, si vestono di jeans e giubbotti di pelle e dilagano gli urlatori. Niente più melisma e gorgheggi, ma voci in libertà sgangherat­a, più adatte ai juke- box e certamente lontane dalle fioriture colorate alla Serenata celeste di Luciano Tajoli, con l’orchestra diretta da Nello Segurini. Non solo, ma nello stesso periodo arrivano i cantautori, neologismo inventato proprio allora da Ennio Melis e Vincenzo Micocci della Rca, per il lancio di Gianni Meccia. Come sempre, quindi, la società si riflette nella canzone e la prima metà dei Sessanta propone superament­o di schemi, spensierat­ezza con sguardi sul futuro, ancora esistente nell’orizzonte dei giovani. A Genova, un gruppo di musicisti si frequenta, non immaginand­o nemmeno per un attimo di essere identifica­ti in seguito come una vera e propria scuola. Sono i fratelli Reverberi, Giorgio Calabrese, Umberto Bindi, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Gino Paoli, Bruno Lauzi con qualche incursione di Paolo Villaggio, legato a De André. Oggi è mito, come tutto il passato di quei giorni, spesso trasformat­o in epica. 1963. « Alla sera al caffè con gli amici / si parlava di donne e motori / si diceva “son gioie e dolori” / lui piangeva e parlava di te » : è l’inizio de Il poeta di Bruno Lauzi e descrive bene gli artisti, poi Bruno Lauzi, Il poeta diventati Scuola genovese a loro insaputa. L’epica narra di intellettu­ali pensosi, di riunioni fumose e affumicate di idee e sigarette, di clima creativo eccetera. Tutto questo sarà certamente esistito, ma la quotidiani­tà avrà avuto senza dubbio tempi emodi differenti, più riconoscib­ili nelle parole di Lauzi « Se si andava in provincia a ballare / si cercava di aver le più belle / lui restava a contare le stelle / sospirava e parlava di te. / Alle carte era un vero campione / lo chiamavano “il ras del quartiere”, / ma una sera giocando a scopone / perse un punto parlando di te » . Atmosfere del genere sono più simili al vero, accanto amaglioni neri a collo alto, sigarette, letteratur­a maledetta, tendenzial­mente francese, discussion­i interminab­ili, litigate, piccole rivalità mai sopite nella riscoperta di unmondo rinnovato e ricostruit­o alla fine degli anni Cinquanta. Bruno racconta tutto nella dimensione più quotidiana delle donne emotori, delle balere nelle quali si va alla ricerca dell’avventura del bacio rubato ballando ( massimo della trasgressi­one), delle carte piegate come tegole giocando a scopone, per poi tornare a casa avendo svoltato un’altra serata. Lauzi e Tenco sono compagni di scuola, forse compagni di banco, al ginnasio Andrea Doria di Genova. Hanno un professore di latino e greco, l’anarchico Faralli che insegna con il suo fiocco nero al collo, facendo appassiona­re i ragazzi sulla bellezza dei lirici greci e latini. È incredibil­e rileggere gli ultimi versi della canzone, immaginand­o il legame dialettico tra Bruno e Luigi: « Ed infine una notte si uccise / per la gran confusione mentale / fu un peccato perché era speciale / proprio come parlava di te. / Ora dicono, fosse un poeta / e che sapesse parlare d’amore / cosa importa se in fondo uno muore / e non può più parlare di te » . Luigi Tenco si ucciderà quattro anni dopo, nella notte tra 26 e 27 gennaio del 1967 nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo.

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