Così il Ghislieri è diventato una scuola di vita
Fondato nel 1567, il collegio di Pavia si è ispirato fin da subito alla meritocrazia. Ogni anno vengono ammessi circa 30 studenti, che qui imparano a confrontarsi con tutti. E su tutto
In questo Collegio eravamo ben nutriti e alloggiati benissimo, avevamo la libertà di uscire per andare all’Università e noi andavamo dappertutto. L’ordine era di uscire a due a due e di rientrare allo stesso modo, ma noi ci lasciavamo alla prima svolta di strada dandoci appuntamento per rientrare. Anche se rientravamo soli, il portiere intascava la mancia e non ne faceva parola (…). Là appresi la scherma, la danza, la musica, il disegno; e là appresi pure tutti i giochi possibili di società e d’azzardo. Questi ultimi erano proibiti, ma non per questo si giocavano meno (…). A Pavia i Collegiali sono considerati dai cittadini come gli ufficiali nelle guarnigioni: gli uomini li detestano, ma le donne li ricevono (…) » . Non esiste, probabilmente, una descrizione del collegio Ghislieri più divertita e piena di affetto di quella tratteggiata da Carlo Goldoni nella sua prosa brillante. Il grande commediografo, che dal
collegio venne espulso per una satira irriverente nei confronti delle donne pavesi, fu infatti uno dei suoi alunni più illustri. Tutt’oggi il Ghislieri resta una vera e propria istituzione e festeggia i suoi 450 anni con « la consapevolezza e l’orgoglio di essere un ente così antico e, al tempo stesso, con lo sguardo rivolto al futuro » , spiega Andrea Belvedere, rettore del collegio e professore emerito dell’Università di Pavia. Saranno molti, infatti, gli appuntamenti aperti a tutti per celebrare l’importante anniversario: dal Festival Letterario Scrittori in Collegio, durante il quale romanzieri, letterati, filosofi e scienziati si confronteranno sul tema “Amore e odio”, fino alla mostra L’esperienza che mi cambiò forse più di ogni altra, che racconta la storia del Ghislieri a partire dalle biografie rappresentative di 32 suoi alunni ( vedi box) – da Carlo Goldoni a Giuseppe Zanardelli, ministro di Grazia e Giustizia, presidente del Consiglio dei Ministri e autore del Codice penale del 1889; da Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Ezio Vanoni, ministro delle Finanze, fino al filologo Gianfranco Contini. Fondato nel 1567 da Papa S. Pio V, al secolo Antonio Ghislieri, il collegio si è ispirato sin dalla sua fondazione a principi meritocratici e ospita oggi circa 200 fra alunni e alunne ( ogni anno ne sono ammessi una trentina) selezionati attraverso un concorso pubblico per esami al quale si accede con un voto di maturità di minimo 80/ 100 ( per la laurea specialistica, 110/ 110). Le rette sono diversificate in base al reddito familiare ed è prevista la gratuità per tutti gli studenti con reddito ISEE inferiore a 17 mila euro. Soprattutto, in controtendenza in un Paese dove il merito conta poco o nulla, qui si riconosce e si coltiva il talento.
Svolta fondamentale. « Il collegio, alla sua fondazione, era espressione della reazione della Chiesa alla Riforma protestante. Dietro, però, c’era un disegno di largo raggio, quello di creare una classe dirigente cattolica e di alto livello intellettuale, consentendo l’accesso agli studi a giovani di ingegno ma di non agiate condizioni economiche, che altrimenti ne sarebbero rimasti esclusi » . Via via, già dalla fine del Settecento, con l’arrivo del primo Rettore laico, l’appena trentenne professore di medicina Giovanni Rasori, s’iniziò a respirare un clima ben diverso che porterà, nel corso dei secoli, alla graduale perdita dell’impronta confessionale. « Vogliamo contribuire alla formazione di questi ragazzi che entrano già bravi ma devono uscirne ancora di più. Li indirizziamo a coltivare discipline di cui, magari, non avevano colto da soli l’importan-
za. Cerchiamo, insomma, di arricchire la loro preparazione secondo linee per noi importanti e di offrire loro opportunità, dai corsi di lingua alle esperienze all’estero. Il bello è che le iniziative, come i seminari o i corsi, oggi non nascono solo dall’alto, ma vengono richieste e delineate dai ragazzi stessi in base ai loro interessi » , continua Belvedere. « Inoltre, una delle ragioni del successo degli alunni è proprio la convivenza tra formazioni e discipline diverse, e lo stesso vale per l’estrazione sociale e la provenienza geografica » .
Attività perenne. Una conferma indiretta di queste parole arriva da Gian Arturo Ferrari, presidente del Consiglio di Amministrazione del Ghislieri, presidente di Rizzoli Libri e vicepresidente di Mondadori Libri, che dei suoi anni da collegiale conserva un eccellente ricordo. « Molto di quello che sono diventato lo devo al collegio. Innanzitutto perché è grazie al Ghislieri che ho potuto frequentare l’università. Forse l’avrei fatta lo stesso, ma nel frattempo avrei dovuto lavorare. E non è poco. Poi perché è una scuola di vita: ci si abitua a relazioni costanti notte e giorno, si impara a confrontarsi su tutto e con tutti. Per me è stato fondamentale. Non ho quasi mai avuto problemi relazionali nella mia esistenza e in gran parte è merito del collegio » . E poi c’è il risvolto professionale: « Qui si impara che cos’è la cultura vera e alta – il che, per chi fa il mio mestiere, è un ottimo insegnamento. Per saper fare cose molto popolari bisogna avere studiato cose colte. Così ci si prepara anche a professioni non elitarie. Uno deve sapere che cos’è la vera cultura per non confondersi e fare il resto con piacere e divertimento. Se uno arranca e confonde i prodotti con la cultura, non capirà mai niente. Stare qui è come entrare in un tempio: vi si soggiorna e poi si vede il resto del mondo in modo più completo » .