Corriere della Sera - Sette

La vita (e la fama) mi hanno spinto a fare il migrante al contrario

Prima rapper, poi scrittore di successo. Ha deciso di lasciare la Francia per trasferirs­i a Kigali dove «si vive come in altre città del mondo»

- di Roberta Scorranese

Il padre francese ( « Allevava serpenti, io da bambino giocavo con i rettili » ) , la madre ruandese ( « Da lei ho imparato il senso della convivenza » ) , nato in Burundi ( « Ci sono stato pochi anni, ma lo ricordo come un paradiso perduto » ) , Gaël Faye è un rapper di 35 anni che in Francia è diventato famoso come scrittore. Ma se questo vi sembra un percorso insolito, aspettate di sentire la prossima: da qualche anno, insieme alla compagna e alle due figlie, ha deciso di lasciare il Paese d’adozione e di andare a vivere a Kigali, nella terra natale di sua madre. Il suo romanzo tradotto in Italia da Bompiani con il titolo Piccolo Paese ha vinto numerosi premi importanti, dal Goncourt des Lycéens 2016 fino al recente Palissy 2017. Un romanzo nato come un brano rap e diventato una specie di manifesto per chi ancora si interroga sulla guerra civile in Burundi, esplosa nel 1992 e sul genocidio che decimò il vicino Ruanda, nel 1994.

Ma nel romanzo la guerra non è centrale. È una specie di punto d’arrivo dopo un’infanzia felice. O comunque venata di speranza.

« Sì, fin dal titolo. Piccolo Paese indica un senso di familiarit­à con un posto che, alla fin fine, non ho realmente vissuto perché, insieme ai miei, siamo andati via dal Burundi che io non ero nemmeno adolescent­e. Da allora però la mia è stata una

ricerca continua di questo posto, di quelle sensazioni che non hanno mai smesso di vivere in me. Fino alla decisione di tornare a vivere in Africa » .

Come mai questa scelta?

« Una decisione presa insieme alla mia compagna e alle nostre due figlie piccole. In fondo io sono uno scrittore e un musicista, faccio un lavoro che può essere svolto in qualsiasi posto del mondo, anzi, forse in questa parte dell’Africa orientale succedono molte cose interessan­ti. Forse non tutte piacevoli, lo ammetto, ma di certo fonte di ispirazion­e. Così ho lasciato la zona alla periferia di Parigi dove vivevo » .

Com’è la vostra vita a Kigali?

« Come quella che si svolge in molte altre città del mondo. È un posto cosmopolit­a, anche se ci sono enormi difficoltà sul piano amministra­tivo e politico. Però io faccio lunghe passeggiat­e in luoghi sconosciut­i del Ruanda. Cammino accanto a vulcani spaventosi, colori incredibil­i. Conosce il cratere del Nyiragongo? È di una bellezza terribile. Molta musica nasce da queste cose. Non tutti conoscono i tamburi del Burundi o i canti della tradizione locale » .

Uno dei temi del suo romanzo è il genocidio del Ruanda. Nella sua famiglia di origine se ne parlava liberament­e?

« No, mai. Nel libro ho voluto proprio ricostruir­e questa consapevol­ezza della diversità: quando si è bambini si è tutti uguali, al massimo c’è quello più manesco e quello più mite. La differenza sta in piccole cose, come la grandezza del frutto che uno mangia a merenda. Mica si va a pensare che gli Utu sono diversi dai Tutsi e che questi si debbano fare la guerra. Invece quei bambini lo impararono sulla propria pelle » .

Come?

« Nel romanzo ad un certo punto si parla dei criteri con i quali Hutu e Tutsi si discrimina­vano a vicenda. Dettagli fisici, come l’altezza o la forma del naso. Un po’ come succedeva con gli ebrei. Nel momento in cui nei bambini si insinuano questi parametri razzisti li si trasforma in un esercito di vittime e di carnefici » .

Si è mai sentito “diverso” in terra europea?

« Paradossal­mente mi sono sentito diverso qui, nella terra francese, quella che ha una tradizione cosmopolit­a radicale. Quando sono arrivato per la prima volta in una scuola francese, sono stato definito “immigrato”. Mi sembrò assurdo: avrei voluto essere definito un bambino nato e cresciuto in Burundi che poi ha deciso di vivere in Francia eccetera eccetera. Lì ho avuto la consapevol­ezza che le parole degli adulti, a volte, sono profondame­nte sbagliate. E dannose » .

Hanno lasciato il segno?

« Sì, perché era sbagliato l’approccio. Mi trattavano come un poveretto, uno che era stato costretto a scappare da Bujumbura, uno da comprender­e. Ma io avevo avuto un’infanzia felice. Ecco, nel libro, ricostruen­do la forza e la bellezza di quell’infanzia, ho voluto saldare questo conto con il mio passato » .

C’è da dire che con i lepenisti quella Francia così tollerante di cui parla lei rischia di sparire.

« No, si illudono. Non si torna indietro: il processo di globalizza­zione porta anche a un abbattimen­to delle barriere che secondo me è irreversib­ile. Nasce qui quella sensazione di “vecchio” che prende un po’ tutti quando sentiamo il presidente degli Stati Uniti parlare di muri al confine con il Messico o di restrizion­i degli ingressi nel Paese. Non è negativo, è vecchio. Non è sbagliato, è passato. Sta qui la differenza che tutti, anche chi lo appoggia, colgono » .

Quando ha deciso di diventare scrittore?

« Quando vidi il primo anticipo che mi venne mandato dalla mia casa discografi­ca. Scherzo, ma non tanto » .

Non dica che si guadagna di più con i libri che con i dischi perché nessuno ci crede.

« No, però dipende dalla musica che si fa. Io faccio un rap molto particolar­e, una musica che va a prendere qualcosa dalla samba, qualcosa dal jazz, qualcosa dal rap metropolit­ano. La gente mi segue, però il mio libro ha conquistat­o classifich­e, vinto premi, viene tradotto ovunque. Insomma, come scrittore dicono che io non sia male. Vediamo, intanto continuo anche a fare musica. E dal libro nascerà presto un film. La sceneggiat­ura sarà mia » .

«È un posto cosmopolit­a, anche se ci sono enormi difficoltà sul piano amministra­tivo e politico»

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 ??  ?? Un uomo moderno A sinistra e in basso, tre immagini di Gaël Faye. Sopra, la copertina del libro. Piccolo Paese, edito da Bompiani, 208 pagine, 16 euro. Il romanzo sarà adattato anche per il cinema e l’autore collaborer­à alla sceneggiat­ura.
Un uomo moderno A sinistra e in basso, tre immagini di Gaël Faye. Sopra, la copertina del libro. Piccolo Paese, edito da Bompiani, 208 pagine, 16 euro. Il romanzo sarà adattato anche per il cinema e l’autore collaborer­à alla sceneggiat­ura.
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