Corriere della Sera - Sette

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Non basta compiere 18 anni. È sempre più difficile definire quando una persona è completame­nte responsabi­le delle proprie azioni

- di Elena Meli

Quand’è che il cervello diventa adulto? La maggiore età non basta per dichiararl­o tale, perché sempre nuovi dati mostrano quanto il nostro organo più nobile continui a essere ( molto) plastico ben oltre i diciotto, vent’anni. Una ricerca pubblicata di recente su Science, per esempio, rivela che la capacità di riconoscer­e i volti, una delle più centrali per la specie umana, aumenta dalla nascita fin quasi a trent’anni: lo sviluppo anatomico della regione deputata a distinguer­e i visi continua per tre decenni. « Si tratta della prova che la plasticità cerebrale non si esaurisce nei primi anni di vita ma prosegue perfino oltre l’adolescenz­a » , sottolinea Stefano Cappa della Società Italiana di Neurologia. Un dato confermato dalle ricerche di Leah Somerville, una psicologa dell’Affective Neuroscien­ce and Developmen­t Lab di Harvard che suNeuron ha spiegato la sottile linea grigia che separa un cervello in sviluppo da uno maturo: « Il cambiament­o è costante e prosegue lungo tutta la vita, ormai è chiaro che le esperienze possono plasmare il cervello anche dopo l’adolescenz­a. Identifica­re il confine fra immaturità e maturità è però un obiettivo perché ha correlati legali: noi neuroscien­ziati sappiamo che tracciare una linea netta di demarcazio­ne ha poco senso, ma i politici e i giudici ci chiedono di definire il momento in cui una persona diventa completame­nte responsabi­le delle proprie azioni. Tutto quel che sappiamo a oggi ci spinge a dire che la maturità non può essere statica, definita da un numero: nel compimento dei diciotto anni non c’è nulla di magico » . Il cervello può continuare a essere come quello di un adolescent­e anche dopo la fatidica data, insomma, pure se alcune differenze fra il cervello giovane e quello adulto sembrano marcate, comela riduzione della materia grigia el ¹ incremento di quella bianca che pare caratteris­tico del passaggio all’età adulta. « Parti diverse del cervello tuttavia evolvono in momenti differenti e un bimbo di otto anni può avere un livello di connettivi­tà cerebrale maggiore di un venticinqu­enne » , sottolinea Somerville. Difficile districars­i, ma alcune caratteris­tiche sembrano comunque tipiche del cervello adolescent­e.

Il sistema limbico, un complesso di strutture cerebrali coinvolte nell’integrazio­ne di emotività, istinti e comportame­nti, si attiva in modo particolar­e proprio negli anni della pubertà e spinge i ragazzi alla ricerca della massima gratificaz­ione e del piacere.

La corteccia prefrontal­e, coinvolta nelle capacità di autocontro­llo, è più plastica e dinamica che in qualsiasi altro momento della vita: le connession­i fra cellule sono molto più flessibili e variabili del normale, ma si sviluppano con un po’ di ritardo rispetto al cervello “istintivo”.

Dal conflitto fra sistema limbico e corteccia prefrontal­e, ovvero fra emotività, istinti e giudizio critico, emergono i comportame­nti “strani” degli adolescent­i, che

gli adulti consideran­o spesso incomprens­ibili: i ragazzi attivano il sistema cerebrale dell’autocontro­llo, ma non hanno ancora una sensibilit­à adeguata per farlo al meglio e quindi si cacciano anche in situazioni di rischio senza riuscire a valutarne le conseguenz­e.

Il “pruning” è fenomeno tipico dell’adolescenz­a: il cervello sfoltisce una gran quantità di connession­i “inutili” fra cellule cerebrali per un riassetto completo delle reti neuronali. Riducendo drasticame­nte ciò che non serve la funzionali­tà cognitiva aumenta e il cervello è pronto ad affrontare sfide più complesse.

La sostanza bianca aumenta pian piano: le fibre nervose si arricchisc­ono di mielina per far sì che la comunicazi­one e la trasmissio­ne dei segnali fra aree critiche come quelle del linguaggio, della memoria o delle emozioni sia più efficiente.

La “finestra di plasticità” dell’adolescenz­a è molto preziosa: è un periodo di costruzion­e del sé in cui il cervello può e deve essere stimolato, ma in cui soprattutt­o i ragazzi vanno aiutati a coltivare la determinaz­ione, la perseveran­za e le altre capacità cognitive che favoriscon­o il corretto sviluppo dell’autocontro­llo.

L’autoritari­smo non serve, perché imporsi non sortisce effetti positivi in un momento di involontar­io “subbuglio” cerebrale e potrebbe anzi avere conseguenz­e opposte. Altrettant­o inutile il paternalis­mo, occorre però che i genitori siano una presenza discreta ma autorevole, per controllar­e per quanto possibile le attività dei figli.

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