Corriere della Sera - Sette

La guerra celebrata in chiesa

Non deve stupire, perché il convento di San Domenico fu per molti anni caserma. Ma di chi è questo affresco? Azzardo un’ipotesi

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Avviandoci a nuove e ridicole guerre, che fanno regredire i potenti a bambini, in un crescendo di follia, per dimostrare chi è il più forte tra i deliranti Kim, Trump, Assad, Putin, non sconviene qui presentare una porzione di affreschi nascosti in uno dei luoghi sacri di Perugia, la basilica di San Domenico. E non mi riferisco alle cappelle del nome di Gesù, di San Tommaso o di Santa Caterina, con i mirabili interventi di Francescuc­cio Ghissi, di Cola Petrucciol­i e di Benedetto di Bindo; ma a un misterioso sacrario militare sotto la sacrestia, in uno spazio sotterrane­o, delle dimensioni di una cripta, con bandiere e stendardi dipinti che celebrano le azioni eroiche, durante la Prima guerra mondiale, del 129° reggimento di Fanteria Perugia, del 51° reggimento di Fanteria Brigata Cacciatori delle Alpi, del 16° reggimento Brigata Tevere. Questa celebrazio­ne della guerra in un tempio religioso non deve stupire, perché il convento di San Domenico fu caserma dall’unità d’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale. Oggi quell’ambiente appare isolato, fra sotterrane­i, depositi e cucine del sommariame­nte ripristina­to convento. E la stanza sembra un omaggio alla guerra vittoriosa, una celebrazio­ne, in epoca fascista, del 1915- 1918. Ne scrivo subito, in assenza totale di dati certi, per l’emozione della scoperta non di una decorazion­e illustrati­va e didascalic­a, ma di un ciclo raro e prezioso, con la stessa sorpresa che si prova davanti a un ignoto maestro trecentesc­o, dalle forme originali e inconsuete. Si tenta qui di individuar­ne la scuola, di indicarne la cronologia, come si farebbe con gli affreschi ritrovati di un valoroso allievo di Giotto. L’episodio, dei due nelle lunette sulle grandi pareti, che qui si riproduce, il meglio conservato, mostra una squadra di soldati, armati di fucili e pistole, che avanza verso il fronte, lanciando bombe per aprire il cammino al reggimento. Mirabile il ritmo dei gesti elastici, ampi, dei militi in corsa, nelle aderenti divise verdi. Fanti atletici come in uno slancio verso l’ignoto, il primo colpito, costretto a inginocchi­arsi, mentre sta per cadere. La composizio­ne è entusiasma­nte, nel suo ritmo incalzante, negli allungamen­ti, nel dinamismo delle forme monumental­i, ben oltre gli esercizi del futurismo, che a Perugia ha la semplice grammatica di Dottori, nella invenzione paesistica della aeropittur­a. Qui è tornata una questione di corpi, di anatomie, una danza ditirambic­a alla Pollaiolo della fiorentina Torre del Gallo. Nell’assenza temporanea di elementi documentar­i, azzardo: non scuola umbra, ma scuola romana, nell’ambito di Romano Dazzi, figlio di Arturo, scultore, e grazie a lui così sensibile ai valori plastici. Esercitato nelle tematiche militari, e a quella altezza nel disegno, per l’opportunit­à offertagli, nel 1923, dal governo italiano, di documentar­e la spedizione militare in Libia, al seguito del maresciall­o Graziani, Romano potrebbe essere l’autore degli affreschi di Perugia. I mesi trascorsi nel deserto avevano lasciato in lui una memoria indelebile. E la qualità del lavoro parla di quest’esperienza, di assoluta, incorrotta figurazion­e, aliena da tentazioni d’avanguardi­a, nella scia di Valori plastici ( 1918- 1923), in una concezione equivalent­e a quella del russo Alexander Deineka. Una proposta, lanciata a Perugia, in attesa che il mistero di San Domenico si sveli, con le dovute ricerche d’archivio. Qui un azzardo. E una sfida.

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Romano Dazzi Affresco nel sacrario militare sotto la sacrestia della basilica di San Domenico, Perugia.
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