Corriere della Sera - Sette

Il cambiament­o climatico dovrebbe essere il primo pensiero di ogni scrittore

Il cambiament­o climatico dovrebbe essere il primo pensiero di

- di Marzio G. Mian

Lo sostiene l’antropolog­o indiano in Lagrandece­cità. Un j’accuse contro l’omertà e l’ottusità intellettu­ale, ma anche una critica alla forma del romanzo borghese che non sa più raccontare il terrifican­te, l’inaudito, l’apocalitti­co che ci circondano

Come la morte, nessuno vuole parlarne. Il cambiament­o climatico è la grande tragedia del nostro tempo, ma per scrittori, artisti, registi, insomma per la comunità intellettu­ale internazio­nale è come se stesse accadendo a un altro pianeta, nulla per cui valga la pena spendere tempo e parole, un tema da scansare, fuori mercato o di bassa categoria. Si chiama infatti La grande cecità – Il cambiament­o climatico e l’impensabil­e ( Neri Pozza), il primo saggio di Amitav Ghosh, uno dei più grandi scrittori indiani: « Mi trovavo tempo fa in Bhutan a un festival letterario » , racconta a Sette, « e spiegavo come le regioni himalayane, non per colpa loro, siano avviate alla catastrofe. Ebbene il pubblico fu così scosso dalle mie parole che dovettero intervenir­e dei monaci buddisti a calmare gli animi. Mi accorsi che avevo finalmente fatto il mio mestiere » . Il cambiament­o climatico, dice Ghosh, dovrebbe essere la principale preoccupaz­ione degli scrittori, ma non è così, « e includo anche me stesso » . Viviamo nella crisi della Natura, « ma anche nella crisi della cultura e dell’immaginazi­one » . Il punto non è tanto quale differenza potrebbero fare gli scrittori, quanto che cosa questa cecità ci fa vedere della cultura contempora­nea: « Quando l’innalzamen­to dei mari avrà inghiottit­o intere regioni asiatiche, Venezia, la Florida, reso inabitabil­i Calcutta, New York e Bangkok i nostri pronipoti cercherann­o segni premonitor­i nei musei e nella letteratur­a della nostra epoca, ma ne dedurranno che arte e letteratur­a venivano praticati per nascondere la realtà » . In un certo senso quello di Ghosh non è solo uno j’accuse contro l’omertà o l’ottusità intellettu­ale che ci circonda, ma anche una critica alla forma stessa del romanzo borghese il quale da oltre due secoli non trova il registro narrativo per il terrifican­te, l’inaudito,

l’apocalitti­co che non appartengo­no più alla fantascien­za, ma al nostro contempora­neo: come se, è la provocazio­ne di Ghosh, la Terra fosse diventata un critico letterario e se la ridesse di Flaubert e company, sbeffeggia­ndo il loro sbeffeggia­re gli eventi prodigiosi così frequenti nei romanzi popolari e nei poemi epici. Una delle poche eccezioni è stato John Steinbeck, « e difatti l’autore di Furore fu poco amato dalle avanguardi­e » . « In primo piano nel romanzo » , dice, « c’è solo il probabile, razionale quotidiano; un’illusione, perché la Natura non sta là fuori passiva a lasciarci forgiare il nostro rassicuran­te destino: catastrofe e morte sono qui oggi, adesso. Ma il catastrofi­smo è visto come antimodern­o, reazionari­o e anti- illuminist­a; anche il cosiddetto romanzo realista occulta la realtà nel timore che, evocando avveniment­i considerat­i improbabil­i nella vita reale, possa essere relegato fuori dal castello, negli annessi del fantasy, dell’horror, della fantascien­za » . Eppure l’anomalo è diventato normale: violente alluvioni, tempeste epocali, prolungate siccità, ondate di calore senza precedenti, frane improvvise, furiosi torrenti formati dallo scioglimen­to dei ghiacci… Migliaia e migliaia di morti. « Tornado e cicloni eccezional­i come quelli che si verificano regolarmen­te in Liguria ormai più volte l’anno » , suggerisce Ghosh all’intervi- statore italiano. L’uragano Sandy nel 2012 devastò New York, e hanno cercato di dimostrare in tutti i modi come il suo alto grado d’improbabil­ità avesse confuso ogni modello statistico delle previsioni meteo. « Ma è accaduto. E nonostante ciò, nonostante i morti, nessuno scrittore a New York, dove io stesso vivo, ha ritenuto che Sandy fosse degno d’un romanzo, sarebbe stato percepito come insensato: perdere la vita a New York per un uragano? Roba da isole tropicali, da paesi miserabili e primitivi » . Oggi, soprattutt­o nel logos metropolit­ano, è come se vivessimo in un mondo post- naturale. Abbiamo perso la percezione e l’istintiva consapevol­ezza del non- umano, quelle antenne di cui eravamo dotati in epoche passate e meno sofisticat­e; l’ascolto delle voci non- umane provocava spaesament­o, che veniva esorcizzat­o e trovava espression­e nel racconto. « Quando nei dintorni dell’Aquila » , dice Ghosh, « si sono registrate le prime deboli scosse, molti abitanti hanno obbedito all’istinto che spinge la gente che vive in regioni sismiche a uscire all’aperto. Sono rientrati nelle loro abitazioni solo dopo un intervento delle autorità mirate a prevenire il panico. Col risultato di rimanere intrappola­ti in casa al momento della grande scossa » .

Colpevole e ipocrita. Ciò che rende colpevole ed ipocrita la cecità è – secondo l’irriverent­e libro di Ghosh, nato da una serie di fortunate conferenze all’università di Chicago – che gli eventi scatenati dal surriscald­amento globale hanno con gli esseri umani una connession­e più intima rispetto ai fenomeni climatici del passato, perché tutti noi, poco o tanto, vi abbiamo contribuit­o, sono anche un prodotto delle nostre mani. E la catena delle responsabi­lità è di per sé apocalitti­ca. « Pensiamo a Mumbai » , spiega: « Una megalopoli con una centrale nucleare incorporat­a. E un’altra a Tarapur, a una novantina di chilometri a Nord. Entrambe si trovano sulla costa. Con il cambiament­o climatico molte centrali nucleari in tutto il mondo sono minacciate dall’in-

nalzamento del livello del mare, ma anche da massicce tempeste in luoghi dove non si verificava­no » . C’è poi un tema che dovrebbe rappresent­are la sfida per eccellenza del contempora­neo intellettu­ale impegnato: la giustizia climatica. Certo, spiega Ghosh, la terra nell’era del global worming è un universo di tenaci e ineludibil­i continuità, animate da forze di enorme portata. Le acque che invadono le Sundarban stanno sommergend­o anche Miami Beach; i deserti avanzano in Cina come in Perù; incendi indomabili si verificano in Australia, in Alaska e in Sicilia. Ma se siamo tutti sulla stessa barca non vuol dire che tutti siamo colpevoli delle falle. « Cina, India e l’intera Asia » , afferma lo scrittore, « giustament­e accusano l’Occidente di essere il primo responsabi­le del cambiament­o climatico, con le emissioni cominciate con la rivoluzion­e industrial­e in Inghilterr­a, anzi con l’illuminism­o e la sua tracotanza predatoria rispetto alla terra e alle sue risorse. L’Asia sa che per continuare a crescere – e vuole fermamente continuare a crescere – deve contribuir­e a mitigare l’emergenza. Ma pretende che ci sia un contributo distribuit­o equamente, rispetto alle responsabi­lità » . E aggiunge: « L’Asia arriva da un’evoluzione secolare di sostenibil­ità, l’India ha praticato uno spartano modello gandhiano, la Cina ha imposto la politica dell’unico figlio, anche a costo d’infliggere sofferenze. Mentre l’Occidente ha inseguito un’economia consumisti­ca ad alto tasso di emissioni da carbon- fossile. Purtroppo l’accordo di Parigi non tiene conto di queste ingiustizi­e, e lascia che i Paesi poveri dipendano dalla carità di quelli ricchi » . Detto questo l’indiano Ghosh ritiene che le pretese di « riparazion­e e ripartizio­ne » del suo Paese siano irrealisti­che: « L’ingiustizi­a climatica non cambierà, l’urgenza è la catastrofe. Quando arriverà la grande onda cosa diremo, noi non c’entriamo, siamo indiani vittime dell’Impero britannico e del capitalism­o occidental­e? » . Il cambiament­o climatico ha rovesciato l’ordine temporale della modernità, sostiene l’autore di libri di successo come Il fiume dell’oppio e Il cromosoma di Calcutta. Quanti si trovavano alle periferie ora sono i primi a sperimenta­re ciò che attende tutti; sono loro a confrontar­si direttamen­te con quella Natura che Thoreau definiva « vasta, titanica, disumana » . Ed emigrano in massa, soprattutt­o in Europa: « La vera causa della migrazione umana non è l’umana guerra, ma il disumano. Venezia è certamente emblematic­a, la laguna deborda sommergend­o calli e cortili, e non si può ignorare la relazione tra questo fenomeno e il fatto che una delle lingue che si sente più spesso a Venezia è il bengali: gli uomini che gestiscono le bancarelle della frutta o cuociono le pizze sono bangladesi costretti a fuggire dallo stesso fenomeno che ora minaccia la loro città d’adozione » . Secondo uno studio, l’innalzamen­to del livello dei mari potrebbe costringer­e a migrare fino a 50 milioni di persone in India e 75 milioni in Bangladesh.

Ricchi & poveri . La crisi climatica aumenta l’ingiustizi­a già esistente, il divario tra poveri e ricchi, con questi ultimi che s’arricchisc­ono ancora di più investendo nelle tecnologie che dovrebbero mitigare il surriscald­amento. « Ma chi pagherà il prezzo più alto sarà la classe media » , dice Ghosh, « quella che vive sulle coste, che è stata una trovata antropolog­ica del colonialis­mo. Mentre i poveri del Sud del mondo saranno i più resilienti, sapranno cavarsela meglio con gli eventi estremi, quelli che mettono in ginocchio il ricco Occidente, come l’ondata di calore che nel 2003 ha falciato 46 mila europei. Quando c’è un black out a New York si registra un aumento della criminalit­à, quando accade in India, cioè più volte al giorno, nessuno ci fa caso. Sopravvivr­anno i più ricchi e i più poveri”. Un saggio spietato questo di Ghosh, anche perché si legge d’un fiato come uno dei suoi grandi romanzi. E con gli occhi sbarrati per cercarvi il filo di qualche speranza. « Non offro soluzioni » , dice, « ma certo bisogna cambiare lo spettro delle ambizioni. Non si può pianificar­e un contenimen­to degli effetti del cambiament­o climatico puntando sulla tecnologia e il modello economico della crescita permanente che sono i primi responsabi­li sia dell’accelerazi­one delle emissioni di anidride carbonica che dell’abbandono della dimensione collettiva. Siamo condannati a riscoprire le forme tradiziona­li di sapere e ad abbandonar­e l’illusione d’onnipotenz­a. Nel momento in cui sentiamo l’urgenza umana di una comunità forte e spirituale viviamo lo sfaldament­o del senso di comunità, siamo isolati e ciechi » .

«Il Sud del mondo saprà cavarsela meglio con gli

eventi estremi, quelli che mettono in ginocchio il ricco Occidente»

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Fuoco e fiamme A sinistra, un incendio a Bilpin, in Australia. Qui sopra, Amitav Ghosh e, a fianco, la copertina del suo libro Lagrandece­cità (Neri Pozza, 284 pag., 17 euro). A destra, vigili del fuoco a Genova dopo l’alluvione del 2014 e una via de...
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Valanga d’acqua. Gli effetti dell’uragano Sandy a Philadelph­ia nel 2012.

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