Uno scrittore, l’altro finanziere, insieme raccontano la grande crisi
Edoardo Nesi e Guido Maria Brera: la “strana coppia” di intellettuali si confronta sulla più lunga depressione della Storia
Tutto comincia, o forse finisce perché dipende dai punti di vista, con l’immenso ricevimento per cinquecento invitati organizzato dai Clinton il 31 dicembre 1999 alla Casa Bianca a Washington per celebrare il Nuovo Millennio. Le premesse per un Rinnovato Sogno ci sono tutte: una raffica di celebrità cosmopolite, il presidente Bill Clinton pronto a ricordare che gli americani non devono « aver paura del cambiamento, al contrario dobbiamo accoglierlo, abbracciarlo, e crearlo » . E poi ostriche, agnello al tartufo, i migliori vini americani. Eppure, a rivedere i filmati, qualcosa incrina quel cristallo: Bono canta per l’irripetibile parterrema è triste, chiaramente infelice, non sorride mai. Rivedendo gli sguardi di Bill, Hillary e Chelsea Clinton si capisce che « i loro pensieri corrono altrove, la loro inquietudine è evidente. Sono già l’immagine perfetta del futuro che li aspetta. E che aspetta anche noi » . È l’incipit del nuovo libro edito da La nave di Teseo, nella collana Oceani, intitolato Tutto è in frantumi e danza. L’ingranaggio celeste e firmato a quattro mani dal finanziere ( e romanziere) Guido Maria Brera, socio fondatore della casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi, e dallo scrittore ( e deputato alla Camera) Edoardo Nesi, premio Strega 2011 con Storie della mia gente. Tutto è in frantumi e danza è un diario parallelo per raccontare – anzi meglio, per incarnare in due esistenze reali – la fine del mondo rappresentato da quel ricevimento attraversato dalla certezza che il futuro ( il Nuovo Millennio) sarebbe stato migliore del passato. Le biografie dei due sono diverse ( Brera, del 1969, figlio della buona borghesia romana, Nesi, classe 1964, espressione dello scomparso mondo imprenditoriale tessile di Prato) e così gli approdi esistenziali: Brera finanziere di successo e marito di Caterina Balivo, amato dai salotti televisivi e dai rotocalchi, anche perché elegante, con una prestanza da attore; Nesi più appartato e meno glamour per fisicità e indole ( al punto, lo racconta nel libro, di essere rimproverato dall’elegantissima Luciana Castellina per l’eccessiva trasandatezza, sotto premio Strega). Solo l’incipit sui Clinton e la conclusione, imperniata sul discorso di insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, sono scritti a quattro mani. Il resto svela stili e approcci differenti, ma identici approdi.
Un futuro radioso. Nesi parte dall’universo che i suoi lettori hanno già conosciuto in Storie della mia gente. Una Prato simbolo degli anni in cui « l’Italia diventa il paese dove si vive meglio al mondo, quando al benessere condiviso e alla bellezza dei luoghi si unisce il fulgore dell’opera degli artisti » , un dopoguerra « che forse si avvicinava davvero al migliore dei mondi possi- bili » . Un mondo in cui gli operai amavano la “loro” fabbrica e costruivano un radioso futuro per i figli. Brera conferma: « Non andava bene solo a me e a te e ai tuoi operai, Edo. Erano momenti che l’Italia e l’Occidente vissero con una spensieratezza e un ottimismo e una speranza per il futuro che oggi è persino doloroso ricordare, e non c’entra nulla la nostalgia » . E poi, lo descrive Nesi in una manciata di righe, accade “qualcosa”: l’ingresso della Cina nel WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, l’ 11 dicembre 2001 e l’entrata in circolazione dell’Euro in gran parte dell’Europa il 1 gennaio 2002. Avviene che i pratesi di ritorno dalla Cina « raccontavano tutti la stessa storia: non compravano i nostri tessuti, i cinesi, perché avevano avviato a produrli per conto di quegli stessi stilisti che un tempo erano i nostri migliori clienti e ora ci voltavano le spalle per risparmiare qualche soldo sui costi di produzione dei loro cappotti che vendevano a tremila euro » . Conferma Brera: « Non è solo l’Italia a non capire. Gran parte dell’Occidente sta a guardare mentre la sua manifattura si svuota e la Cina comincia a produrre tutto ciò che il mondo consuma, per poi investire in titoli del Tesoro americano il surplus commerciale che subito si viene a creare, immenso » . Il collasso di quel mondo ha una conseguenza quasi fisica in Edoardo Nesi quando, nell’autunno 2004, vende il
lanificio di famiglia di una Prato ormai cinesizzata e si rende conto di essere un disoccupato, tallonato dalla depressione e da un interrogativo: « Come si è potuto arrivare a questo? » . Brera confessa la sua quota di senso di colpa per aver speculato, da finanziere, sulla crisi greca: « Non mi piaceva per nulla impoverire i greci. Lo facevo, certo. Perché dovevo. Lo dovevo ai miei clienti: al mandato fiduciario che mi avevano dato e che consisteva nel farli guadagnare. Se per qualche ragione avessi smesso di farlo, qualcuno avrebbe preso il mio posto » . Spiega Edoardo Nesi, a voce: « Il tema della fine della fabbrica di famiglia è stata una grande sofferenza, dunque ho provato un gran dolore a tornare sul tema dopo il mio libro. Abbiamo visto crollare un intero mondo, un sistema produttivo, buona parte dell’economia così come l’abbiamo conosciuta. L’incontro con Brera è stato straordinariamente importante. Se mai avessi voluto affrontare la storia anche dal punto di vista finanziario, avrei dovuto rubacchiare dai giornali e dai libri. Invece Gian Maria ha portato una testimonianza viva e vera: di uno che, a differenza di me, aveva vinto la sua sfida. E visto che spesso scrivere libri aiuta anche a curarsi, l’aver realizzato questo volume a quattro mani con Brera mi ha aiutato a capire bene cosa sia accaduto, quindi a rimarginare in parte la ferita di quella chiusura » . Ma come è difficile scrivere un libro a quattro mani? « Può essere complicato. Ci siamo dati come itinerario un capitolo alla volta, decidendo all’inizio dove volevamo arrivare. Ma l’esperienza è stata molto positiva: può anche servire a migliorare la propria scrittura confrontandola con quella dell’altro. Nel risultato finale penso sia evidente la differenza sostanziale, tra noi, che c’è stata nella partecipazione ai fatti che raccontiamo. Ora Guido Maria ed io siamo diventati veri amici. Da tempo conoscenti comuni cercavano di farci incontrare. Ed avevano ragione, c’è stata una fratellanza istintiva... »
«Non è solo l’Italia a non capire. Gran parte dell’Occidente sta a guardare mentre la sua manifattura si svuota e la Cina produce tutto ciò che il mondo consuma, per poi investire in titoli del Tesoro americano»