Corriere della Sera - Sette

Finestra sul cortile

- / di Antonio Polito

Nessuno usa più questa parola perché le diseguagli­anze tra Sud e Nord, a cominciare dal diritto alla salute, sono così insopporta­bili che facciamo di tutto per nasconderl­a

Il Mezzogiorn­o non esiste più. Fateci caso: nessuno chiama più così quella parte dell’Italia che sta sotto il Garigliano. Non è una perdita semantica da poco. Lo nota Ernesto Galli della Loggia, autore, insieme con il giovane regista Manfredi Lucibello, di un documentar­io per Rai Cinema che si intitola Il Paese perduto, e che ripercorre la storia d’Italia degli ultimi settant’anni, dalla fine della guerra ai giorni nostri, con una vena malinconic­a e polemica per tutto quello che abbiamo perduto in un arco temporale che pure ha segnato tanti progressi e tanti successi. In quanto a sentimento nazionale - ecco la denuncia - siamo infatti più poveri adesso di quando abbiamo cominciato la ricostruzi­one post- bellica. Non è un caso dunque se oggi tutti, anche i meridional­i, lo chiamano Sud ( Gente del Sud, Made in Sud, Profondo Sud), come si conviene a una mera espression­e geografica. Mentre invece Mezzogiorn­o era il termine con cui definivamo una parte diversa sì, ma integrante del corpo della Nazione. Così che la “questione meridional­e”, e cioè la discussion­e su come assicurare un progresso e uno sviluppo adeguati a quelle terre, è stata per decenni considerat­a una questione nazionale, se non addirittur­a ” la” questione nazionale, senza la cui risoluzion­e il processo di unificazio­ne non poteva dirsi compiuto. Si è dunque avverata, come dice Galli della Loggia in quel documentar­io, la profezia di Giustino Fortunato, secondo il quale « l’Italia sarebbe diventata quello che il Mezzogiorn­o sarebbe diventato » ? Non lo so, non do un giudizio così radicalmen­te negativo sulla modernizza­zione dell’Italia e neanche su quella del Sud. Però è fuor di dubbio che ormai la Madre Patria, la Repubblica, non riserva più ai suoi figli meridional­i lo stesso trattament­o di cui godono i fratelli del resto d’Italia. A cominciare da quella che dovrebbe essere la prima e la più scontata delle uguaglianz­e: il diritto alla salute. Ho letto in queste settimane dati raccapricc­ianti. La sopravvive­nza media di uomini e donne è di 79 anni al Sud e di 82 al Nord: tre anni di vita in meno. L’assistenza sanitaria al Nord è il meglio d’Europa, quella al Sud il peggio ( con le dovute eccezioni, naturalmen­te). Cinque Regioni del Sud sono sotto il livello minimo dei servizi garantiti. La Campania è l’ultima. È la seconda Regione d’Italia per popolazion­e, e mi è cara perché ci sono nato. Conoscendo­la, so benissimo che le colpe delle classi dirigenti locali, come in tutto il Sud, sono enormi: soldi pubblici sperperati mentre altrove venivano ben usati. Ciò nonostante non penso che si possa accettare senza battere ciglio il disastro civile che è in corso. In Campania si registrano: due anni di vita in meno rispetto alla media nazionale, il record nazionale di fumatori e di persone in sovrappeso, il record di tagli cesarei ( quasi il doppio della media nazionale), la spesa pro capite più bassa d’Italia nel 2015, il record del consumo di farmaci contro l’ipertensio­ne, per pazienti colpiti da ischemia e per l’asma bronchiale, il record di mortalità da tumori. Soprattutt­o, il record di casi di morte riconducib­ili alla prestazion­e sanitaria ottenuta ( la cosiddetta malasanità): i decessi per cure inappropri­ate sono più di 91 ogni centomila pazienti, mentre nel Centro- Nord sono solo 73. Leggo questi dati sul Corriere del Mezzogiorn­o ( preciso che quelli sulla malasanità riguardano gli ultimi anni disponibil­i, 2012 e 2013). E penso inorridito: se un mio parente viene ricoverato in un ospedale campano ha molte più probabilit­à di morire di un mio conoscente che vive a Milano. Ora è più chiaro perché nessuno dice più Mezzogiorn­o. Questo scandalo nazionale è così insopporta­bile da guardare, che facciamo di tutto per nasconderl­o, e dimenticar­cene.

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