Finestra sul cortile
Nessuno usa più questa parola perché le diseguaglianze tra Sud e Nord, a cominciare dal diritto alla salute, sono così insopportabili che facciamo di tutto per nasconderla
Il Mezzogiorno non esiste più. Fateci caso: nessuno chiama più così quella parte dell’Italia che sta sotto il Garigliano. Non è una perdita semantica da poco. Lo nota Ernesto Galli della Loggia, autore, insieme con il giovane regista Manfredi Lucibello, di un documentario per Rai Cinema che si intitola Il Paese perduto, e che ripercorre la storia d’Italia degli ultimi settant’anni, dalla fine della guerra ai giorni nostri, con una vena malinconica e polemica per tutto quello che abbiamo perduto in un arco temporale che pure ha segnato tanti progressi e tanti successi. In quanto a sentimento nazionale - ecco la denuncia - siamo infatti più poveri adesso di quando abbiamo cominciato la ricostruzione post- bellica. Non è un caso dunque se oggi tutti, anche i meridionali, lo chiamano Sud ( Gente del Sud, Made in Sud, Profondo Sud), come si conviene a una mera espressione geografica. Mentre invece Mezzogiorno era il termine con cui definivamo una parte diversa sì, ma integrante del corpo della Nazione. Così che la “questione meridionale”, e cioè la discussione su come assicurare un progresso e uno sviluppo adeguati a quelle terre, è stata per decenni considerata una questione nazionale, se non addirittura ” la” questione nazionale, senza la cui risoluzione il processo di unificazione non poteva dirsi compiuto. Si è dunque avverata, come dice Galli della Loggia in quel documentario, la profezia di Giustino Fortunato, secondo il quale « l’Italia sarebbe diventata quello che il Mezzogiorno sarebbe diventato » ? Non lo so, non do un giudizio così radicalmente negativo sulla modernizzazione dell’Italia e neanche su quella del Sud. Però è fuor di dubbio che ormai la Madre Patria, la Repubblica, non riserva più ai suoi figli meridionali lo stesso trattamento di cui godono i fratelli del resto d’Italia. A cominciare da quella che dovrebbe essere la prima e la più scontata delle uguaglianze: il diritto alla salute. Ho letto in queste settimane dati raccapriccianti. La sopravvivenza media di uomini e donne è di 79 anni al Sud e di 82 al Nord: tre anni di vita in meno. L’assistenza sanitaria al Nord è il meglio d’Europa, quella al Sud il peggio ( con le dovute eccezioni, naturalmente). Cinque Regioni del Sud sono sotto il livello minimo dei servizi garantiti. La Campania è l’ultima. È la seconda Regione d’Italia per popolazione, e mi è cara perché ci sono nato. Conoscendola, so benissimo che le colpe delle classi dirigenti locali, come in tutto il Sud, sono enormi: soldi pubblici sperperati mentre altrove venivano ben usati. Ciò nonostante non penso che si possa accettare senza battere ciglio il disastro civile che è in corso. In Campania si registrano: due anni di vita in meno rispetto alla media nazionale, il record nazionale di fumatori e di persone in sovrappeso, il record di tagli cesarei ( quasi il doppio della media nazionale), la spesa pro capite più bassa d’Italia nel 2015, il record del consumo di farmaci contro l’ipertensione, per pazienti colpiti da ischemia e per l’asma bronchiale, il record di mortalità da tumori. Soprattutto, il record di casi di morte riconducibili alla prestazione sanitaria ottenuta ( la cosiddetta malasanità): i decessi per cure inappropriate sono più di 91 ogni centomila pazienti, mentre nel Centro- Nord sono solo 73. Leggo questi dati sul Corriere del Mezzogiorno ( preciso che quelli sulla malasanità riguardano gli ultimi anni disponibili, 2012 e 2013). E penso inorridito: se un mio parente viene ricoverato in un ospedale campano ha molte più probabilità di morire di un mio conoscente che vive a Milano. Ora è più chiaro perché nessuno dice più Mezzogiorno. Questo scandalo nazionale è così insopportabile da guardare, che facciamo di tutto per nasconderlo, e dimenticarcene.