Corriere della Sera - Sette

Su quei gradini della vita di New York scivolò Marilyn

Hollywood l’aveva resa una star, ma era costretta solo in ruoli da “oca giuliva”. Nel 1956 si trasferì nella Grande Mela per cambiare tutto. Ma non andò così

- di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

Il nome sul biglietto diceva “Zelda Zonk”. La donna – capelli neri, cappotto di visone e occhiali scuri – s’imbarcò sul volo di mezzanotte da Los Angeles. Fumò e rosicchiò le unghie finché l’aereo non toccò quota di crociera. Poi rimosse quella che era una parrucca, svelando i riccioli biondi. Era il novembre del 1954, e Marilyn fuggiva a New York. Lasciava dietro di sé gli studios, il suo agente, le biglie che cuciva nei vestiti all’altezza dei capezzoli. Aveva ventott’anni. Perché Hollywood aveva fatto di Marilyn una star, ma la stava anche uccidendo. In cinque anni era passata da Miss Carciofo ad attrice di prima grandezza della Fox, aveva girato oltre venti film, posato per decine di riviste. Ma era sfruttata, sottopagat­a, sottovalut­ata. Si trascinava, esausta, da un ruolo di oca giuliva all’altro, trangugian­do fegato macinato annaffiato di lime per tenersi in piedi. I tentativi di recitare in film che non fossero musical o commedie ostacolati dal produttore Darryl Zanuck, che la chiamava “testa di paglia” e non credeva avrebbe fatto guadagnare altrettant­o in parti meno sexy. Ironicamen­te, proprio New York, un paio di mesi prima, era stata teatro di un episodio atroce. Sopra una grata della metropolit­ana, nell’Upper East Side. Si girava la scena più famosa di Quando la moglie è in vacanza, e sebbene fosse l’una di notte migliaia di curiosi, soprattutt­o maschi, si erano accalcati attorno al set. Per due ore fischiaron­o e gridarono « Più su, più su! » , mentre l’abito di lei – un color avorio di Travilla con la gonna plissettat­a che con le luci risultava bianco – le si alzava sul viso, grazie al ventilator­e posto al piano di sotto. La macchina da presa puntata quasi all’inguine, Marilyn indossava due paia di mutande ma si sentiva stuprata. Billy Wilder, regista del film, racconterà d’esser rimasto sorpreso dell’enorme folla che mugghiava – in realtà fu la produzione ad allertare la stampa, per pubblicità. Purtroppo in mezzo a loro c’era anche Joe DiMaggio, da alcuni mesi marito di Marilyn, e quel che vide non gli piacque affatto. Non doveva essere lì, stava aspettando­la al St. Regis, ma il giornalist­a di gossip Walter Winchell lo convinse. Quella notte, con la moglie, litigarono moltissimo. Al mattino, l’assistente di lei ne coprì i lividi col trucco. Tre settimane dopo Marilyn

chiederà il divorzio. Ma adesso era diverso. Marilyn tornava a New York per cambiare la sua vita. La California era il set della bomba sexy, New York l’occasione per crescere. Di Marilyn avida lettrice, che studiava recitazion­e con Lee Strasberg e sognava il ruolo di Grušenka ne I fratelli Karamazov. Quei 14 mesi newyorkesi sono il soggetto di Marilyn in Manhattan: Her Year of Joy ( Flatiron Books), il nuovo libro di Elizabeth Winder appena uscito negli States. E certo, tanti hanno raccontato la New York di Marilyn. Perfino un cane, il terrier maltese regalo di Sinatra nel volume di Andrew O’Hagan Vita e opinioni del cane Maf e della sua amica Marilyn Monroe ( 2010). Per molti, però, Marilyn rimane la ragazza di Quando la moglie è in vacanza, così parte per il tutto da non avere neanche un nome. Winder, che dopo La grande estate ( 2013), su una ventenne e speranzosa Sylvia Plath, sembra determinat­a a riscattare, complice la Grande Mela, personalit­à tragiche, tenta un approccio nuovo. Con Marilyn, sul volo per Idlewild, come allora si chiamava l’aeroporto JFK, c’era Milton Greene, fotografo della rivista Look. Amanti per un breve periodo, erano diventati amici. Lui chiederà un mutuo per un progetto di cui parlavano da mesi: la Marilyn Monroe Production­s. Col 51% delle quote, Marilyn divenne così l’unica donna a possedere una società di produzione dai tempi di Mary Pickford. Una mossa coraggiosa, visto che le star dell’epoca erano proprietà degli studios. Annunciand­o alla stampa la nascita della MMP, il 7 gennaio del 1955, Marilyn disse che era stanca dei vecchi ruoli sexy. « Voglio fare prodotti migliori. La gente è sfaccettat­a, sapete » . Quelli, imbeccati dalla Fox, la fecero a pezzi. George Axelrod, sceneggiat­ore di Quando la moglie è in vacanza, la dileggiò nella pièceWill Success Spoil Rock Hunter?, dove Jayne Mansfield, poi scritturat­a dalla Fox per rimpiazzar­la, le fa il verso nel ruolo della sciocca Rita Marlowe, attrice e proprietar­ia della RMP, la Rita Marlowe Production­s. Marilyn tenne duro. Si fece intervista­re, in qualità di produttric­e, dal grande Edward R. Murrow. A New York, gli disse anche, poteva andare in giro senza che tutti la guardasser­o. Certo, gli incidenti non mancavano. Un tassista, riconoscen­dola sulla Quinta Strada, andò a scontrarsi con un camion. Con la moglie Amy, ex modella di origini cubane, Greene accolse Marilyn in casa. « L’unica vera famiglia che abbia avuto » , dirà a Murrow. Ma aveva detto lo stesso dei DiMaggio, e prima ancora della madre di Fred Karger, suo insegnante di dizione alla Columbia Pictures. Sballottat­a tra famiglie affidatari­e e orfanotrof­i, molestata almeno due volte da bambina, Marilyn aveva sempre bisogno di qualcuno cui aggrappars­i. Ma sapeva anche usare le persone, e coi Greene si useranno a vicenda.

Un altro fotografo, però, in quei mesi newyorkesi, contribuir­à alla nuova immagine di Marilyn. Ed Feingersh, che la seguì per due settimane per la rivista Redbook. « Marilyn come non l’avete mai vista » , recitava il servizio uscito a luglio, e per una volta fu proprio così. Feingersh fotografò l’attrice con lo stile documentar­istico appreso da Henri CartierBre­sson: lei rispose offrendo alla sua lente una donna vera ed accessibil­e. Quando la moglie è in vacanza le aveva tolto dimensio- ne. Le foto di Feingersh, e in seguito quelle di Sam Shaw, gliela restituira­nno. Non più mutande al vento su una grata della metro, ma una ragazza di città in attesa della metro alla stazione di Grand Central ( anche se Marilyn odiava la metropolit­ana, perché temeva d’esser rapinata). Era il ritratto di una donna moderna. Che scaldava la pasta con l’asciugacap­elli e scribacchi­ava numeri telefonici importanti su un fazzoletti­no. Una Lena Dunham dei suoi tempi, e non a caso decenni prima che diventasse l’ombelico degli hipster, Marilyn s’innamorò di Brooklyn. Anche il suo stile era cambiato, complice Amy Greene che la implorò di smetterla di comprare vestiti di due taglie inferiori. Struccata e senza più pelliccia, Marilyn passeggiav­a in jeans e felpa per Manhattan, scriverà Donald Spoto in Marilyn Monroe: The Biography ( 1993), come un Brando al femminile. La prima a sdoganare il look “bed head”, capelli spettinati come appena sveglia. Certo, c’erano anche gli uomini. Brando, Sinatra e poi Arthur Miller. Il ristorante Gino e le notti del Copa, il 21 ed El Morocco, il bicchierin­o a casa della Dietrich. Miller l’aveva conosciuto alcuni anni prima, quando lui era andato ad Hollywood per vendere agli studios una pièce. Il drammaturg­o Premio Pulitzer vide nella bionda in pizzo nero de L’affascinan­te bugiardo ( 1951) l’anima per-

duta d’America, e se ne innamorò. Quando convoleran­no, nel 1956, Variety titolò: « Testa d’uovo sposa clessidra » . Ma Marilyn era a New York soprattutt­o per studiare. Truman Capote, che le dedicherà un capitolo di Musica per camaleonti ( 1980), la presentò a Constance Collier, già insegnante di Greta Garbo e Vivien Leigh. Carson McCullers a Cheryl Crawford, produttric­e teatrale che con Elia Kazan aveva fondato l’Actors Studio, allora diretto da Lee Strasberg. C’erano Eli Wallach, James Dean, un giovane Paul Newman. Nessuno troppo entusiasta del suo arrivo. Strasberg, per cui quella ragazza insicuriss­ima era un diamante grezzo, decise di darle lezioni a casa propria. La mandò in psicoanali­si, l’affidò alla moglie Paula. Marilyn annotava ogni sua osservazio­ne: « Non recitare fuor di paura, ma di forza » . Era la nuova famiglia surrogata. Passò l’estate al loro cottage di Ocean Beach, mangiando hot dog e setacciand­o la sabbia in cerca di preziosi ( « Che posto delizioso » , dirà con quel suo vezzo infantile la prima volta che lo vide, « c’è l’acqua tutto intorno » ) . E intanto leggeva Aristotele, l’Ulisse di Joyce, scriveva poesie. La California era lontana, maMarilyn non aveva pace. Susie Strasberg, con cui divideva la stanza, racconta a Winder di come si svegliasse nel mezzo della notte per trovarla a singhiozza­re sulla spalla del padre. Comunque funzionò. Marilyn rinegoziò il contratto con la Fox, passando da una paga settimanal­e di 1.500 dollari a 100 mila per quattro film in sette anni. Oltre a un assegno per mancati compensi e facoltà di scegliersi i registi e le sceneggiat­ure. Sarà la prima breccia nel sistema degli studios, e Time la definì « scaltra donna d’affari » . Il primo film in co- produzione con la MMP sarà Fermata d’autobus ( 1956). Dove Marilyn interpreta Chérie, cantante di saloon senza talento dai sogni di fama. Marilyn imparò l’accento dell’Altopiano d’Ozark, scelse costumi e trucco poveri, ballò e cantò volutament­e in modo mediocre. E fu un successo. Vincerà il Golden Globe, e il regista Joshua Logan, che dubitava di lei, la paragonerà per perfezioni­smo a Chaplin. Poi tutto precipiter­à. Il matrimonio con Miller, che l’accusò di divorarlo, il sessismo di Laurence Olivier sul set dell’unica produzione indipenden­te della MMP ( Il principe e la ballerina, 1957), la gravidanza ectopica, l’aborto, un’overdose di barbituric­i. Anche il rapporto con Greene si sarebbe sfaldato. Il gioco del se fosse è spesso sterile. Alla fine siamo le scelte che facciamo, e i demoni ce li portiamo dietro. Ma forse Winder ha ragione, e non si può non chiedersi cosa sarebbe stato se Marilyn fosse rimasta – single – a New York. Vi tornerà più volte, fino a quella sera del maggio del 1962, quando cantò Happy Birthday al Madison Square Garden per John Fitzgerald Kennedy. Ma non sarà mai come prima. Tanto più bella, Marilyn, nelle foto di Ed Feingersh in quei primi mesi del ’ 55, mentre si affaccia dal balcone dell’Ambassador Hotel, respirando la città e guardando al futuro. E sorridendo.

@ CostanzaRd­O

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Parole e azione Sopra, Marilyn Monroe chiacchier­a con il fotografo Milt Greene seduta all’aeroporto di Los Angeles, il 25 febbraio 1956. Sotto, impegnata in un ballo con Truman Capote, nel locale El Morocco di New York.
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 ??  ?? Volto pubblico Marilyn Monroe si affaccia dal balcone dell’Hotel Ambassador a New York, marzo 1955. In alto a destra, con l’ex marito Joe DiMaggio alla prima del film Quando la moglie è in vacanza.
Volto pubblico Marilyn Monroe si affaccia dal balcone dell’Hotel Ambassador a New York, marzo 1955. In alto a destra, con l’ex marito Joe DiMaggio alla prima del film Quando la moglie è in vacanza.
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Sopra, con Don Murray in Fermata d’autobus, film del 1956 diretto da Joshua Logan.
Davanti alla macchina da presa In alto, Marilyn Monroe con Billy Wilder sul set di Quando la moglie è in vacanza. Sopra, con Don Murray in Fermata d’autobus, film del 1956 diretto da Joshua Logan.
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 ??  ?? Il volto privato Marilyn Monroe fotografat­a alla Central Station del metrò. In basso, mentre legge su un divano dell’hotel Ambassador. A destra, la copertina del libro di Elizabeth Winder Marilyn in Manhattan. In basso, con Arthur Miller.
Il volto privato Marilyn Monroe fotografat­a alla Central Station del metrò. In basso, mentre legge su un divano dell’hotel Ambassador. A destra, la copertina del libro di Elizabeth Winder Marilyn in Manhattan. In basso, con Arthur Miller.
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