Dino Buzzati in meno di un tweet
UNO DEI LETTORI PIÙ fedeli, Guido Carretta, scrive: «Conoscendo la sua passione per i “giochini intellettuali” su base letteraria, le allego un saggio di un esperimento ibrido che ho fatto assieme ad un amico: lui si è divertito a riassumere in un tweet (massimo 140 caratteri) una serie di capolavori della letteratura italiana e mondiale e io mi sono divertito ad illustrarli con una vignetta (umoristica?). Ne è risultata una cosa un po’ strana. Ne abbiamo realizzati oltre un centinaio, ma non si spaventi, gliene allego solo una decina. Mi piacerebbe avere da lei un giudizio (che so essere sincero e senza peli sulla lingua): meritano di essere pubblicati (e, se sì, attraverso quali canali?) o è molto meglio che rimangano tra le pagine chiuse, in un cassetto chiuso, in una stanza chiusa anch’essa? Con immutata stima, anche dopo una sua eventuale risposta sarcastica, la saluto». Faccio pubblicità (la vedete sopra) alla sua “vignettweet” (neologismo), sul Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, L’idea sua e del suo amico (come si chiama questo mago del riassunto?) mi piace tanto. Vediamo se staniamo qualche editore. Grazie.
MARCO ANTONINI È un lettore speciale e lo capirete dalla sua email: «Desidero ringraziarla per il libro di Teresa Ciabatti La più amata. L’ho letto d’un fiato, sono esausto (ho più di novant’anni) e, cresciuto tra intellettuali (madre concertista, padre critico letterario, suocero grande artista), penso di saper riconoscere un’opera più che meritevole! La scrittura della Ciabatti, diretta, imprevedibile, fresca, pungente, nuova, coraggiosa, mai compiaciuta, è stata per me una rivelazione. La seguo sempre e (quasi) mai non concordo coi suoi giudizi. Avere un mentore come lei è di conforto». La sua recensione del bellissimo romanzo di TC (le stesse iniziali di Truman Capote!) è perfetta. Ma dietro la sua lettera si profila uno dei più formidabili gialli italiani: suo padre era Giacomo Antonini?
VE LO AVEVO DETTO che sarei tornato su Steno e ne approfitto per segnalare la ripubblicazione da Rubbettino di Sotto le stelle del ’44, il diario di un anno difficilissimo nella storia nazionale. Steno lo scrisse con tecnica dospassiana (nel senso del suo inventore, lo scrittore americano John Dos Passos), una tecnica (seconda solo al flusso di coscienza di Joyce) che ebbe più tentativi di imitazione della Settimana Enigmistica. Consiste nell’alternare i fatti privati con i grandi fatti pubblici, la storia personale con la Storia generale. Steno la maneggia con molta perizia. Un esempio. Steno descrive una scena di vita quotidiana dell’epoca: soldati americani («tristi di essere ubriachi e ubriachi perché sono tristi») che si addormentano appoggiati ai lampioni davanti all’ex camera dei Fasci e delle Corporazioni. Intanto anche «le ultime signore che erano restate repubblicane, cedono di fronte al cioccolato alleato». Ed ecco l’irruzione, attraverso i titoli dei giornali ritagliati e incollati al diario, della Storia: «L’arresto del cuoco della casa di tortura di via Tasso»; «Gli eserciti vittoriosi di Stalin entrano in territorio tedesco»; «Le reliquie di Keats e Shelley riportate a Roma». Il diario di Steno è cinema puro (scritto).
SCRIVE ANTONELLA Zarattini: «Conoscevo Roberto Perrone per le sue“Scorribande gastronomiche”, che rimpiango assai, ex appuntamento del venerdì sul Corriere. È stata una gradevolissima sorpresa il suo romanzo La seconda vita di Annibale Canessa. Mai recensione (la sua) fu più azzeccata! Noir? Mi sembra riduttivo, è uno spaccato dell’Italia anni Settanta (o sempiterna?). Vive la France!, esclama Salemme a pagina 391. Ma poi torna Edmond Dantès». Anche a me (e a tanti che me lo dicono) manca la rubrica di Perrone. Era bella, era fresca. Era soldatiana nel senso di Mario Soldati.