L’i nsostenibile silenzio dei t assisti di I stanbul
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Ogni giovedì pubblichiamo il miglior testo d’attualità inviato dai lettori a settebello@rcs.it. A fine anno, 7 proporrà una collaborazione all’autore dell’articolo più condiviso dalla nostra pagina Facebook
I l migliore della settimana: Tiziano Furlan, 61 anni
HO PASSATO GLI ULTIMI QUATTRO ANNI della mia vita a Istanbul. Quando ci sono tornato, poche settimane fa, ho avuto subito la netta sensazione di trovarmi in una città molto cambiata. Non era più quella che avevo conosciuto fino a qualche mese prima. Ci sono due cose che ti danno immediatamente la percezione di un Paese e del suo umore: l’aeroporto e i taxi. Sono atterrato all’ora di punta, ma al controllo passaporti c’era pochissima gente. Poi ho preso un taxi, senza nemmeno fare la coda. Persino il taxista era insolitamente silenzioso. Ha parlato solo del traffico. Da qualche tempo non è più intenso, non ci si può più lamentare nemmeno di quello, né, tantomeno, del governo. Si sta zitti, persi nei propri pensieri. HO VISTO CAMBIARE Istanbul. L’ho vista diventare un’altra. Mentre ci vivevo e lavoravo ho assistito ad alcuni degli stravolgimenti più significativi per la Turchia degli ultimi anni. A cominciare dalle proteste di Gezi Park, passando via via per vari attentati e per il “golpe fallito” dello scorso luglio. Fino all’ultimo attacco, vissuto in diretta allo stadio del Besiktas lo scorso dicembre. Prima Istanbul era la città della movida, dei giovani, con i ristoranti sempre pieni di gente a qualsiasi ora, il centro storico brulicante di turisti da tutto il mondo e in tutte le stagioni, il Bosforo incantato e bellissimo. Si respirava un’atmosfera speciale. Bastava camminare per le sue strade, fermarsi a guardarla, per rendersi conto di essere partecipi di qualcosa di splendido che stava succedendo nel Paese. Qualcosa che stava nascendo. Si respirava, voglia di vivere e di divertirsi, voglia di fare e soldi da spendere. Si toccava con mano un momento di incredibile sviluppo economico. Ora non più. La gente non esce di casa volentieri, i locali sono vuoti, i barconi di turisti sul Bosforo restano fermi. Anche io ho assorbito questa triste inquietudine. Mi sono accorto che mi guardavo intorno alla ricerca di qualche faccia sospetta.
CHE TRISTEZZA non essersi più sentito a proprio agio nella città che ho amato e avevo eletto a seconda casa. Nella capitale turca si vedono sempre più profughi siriani e, purtroppo, sono soprattutto bambini. La gente sembra sempre meno disposta a parlare con uno straniero. I miei amici commentano la situazione del Paese bisbigliando, hanno quasi timore di essere ascoltati. I risultati del recente referendum hanno detto chiaramente che metà del Paese non è più con il presidente Tayyip Erdogan, ma troppe voci si stanno affievolendo. Ciao Istanbul, tornerò a trovarti ma non farti più trovare così. Resti sempre la città che mi ha fatto innamorare. Non posso vederti triste. Per favore Istanbul, torna a sorridere e non tradirmi più.