Corriere della Sera - Sette

«Pensare che lavoravo in un call center»

Passeggiat­a (in salita) a Firenze con Federica Mogherini, Alto Rappresent­ante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri. Sulla scalinata di piazzale Michelange­lo ricorda lo scontro col ministro iraniano, il suo primo lavoro, quando aiutava il papà regista

- di Vittorio Zincone foto di Massimo Sestini

LE SPIEGO COME PROCEDERÀ l’intervista: «Una parte è dedicata alla sua vita privata, l’altra al suo ruolo di Alto Rappresent­ante dell’Unione europea per gli Affari Esteri, cioè a Lady PESC» Mi stoppa, sorridendo: «Lady PESC? A chi non sa come rivolgersi a me a causa del mio lunghissim­o titolo, dico sempre che Federica va benissimo. Di Lady conosco solo Lady Oscar». Il riferiment­o è a un leggendari­o cartoon, icona dei piccini nati negli anni Settanta. Federica Mogherini, 43 anni, si arrampica impettita sulle scale fiorentine che portano a piazzale Michelange­lo. Doppio Binario a piedi. La ministra degli Esteri dell’Ue è nel capoluogo toscano per impegni istituzion­ali. Si concede una passeggiat­a per raggiunger­e una delle vedute più belle d’Italia. Un turista col cappello di paglia le si avvicina. Vuole un selfie. La scorta acconsente guardinga. Clic. Fa molto caldo. Mogherini sfoggia una mise da cerimonia: tailleur rosso, camicia argentata, tacchi neri. Sussurra: «Non sa quanto vorrei stare in maglietta». Mette il pilota automatico quando deve parlare delle sanzioni alla Russia, del ruolo dell’Ue in Siria e dei rapporti con la Turchia di Erdog˘an. Ogni tanto le scappa un romanissim­o avoja. Ne piazza uno anche quando le domando se ricorda la durezza delle polemiche che seguirono la sua nomina europea: «Avoja». Poi simula un esercizio di respirazio­ne zen e anticipa l’elenco di cattiverie vomitate dagli oppositori: «Dicevano che ero troppo filo-russa. In realtà, da ministro, rappresent­avo le posizioni dell’Italia. Il vero motivo dello sconcerto riguardava il fatto che fossi allo stesso tempo relativame­nte giovane e donna. Le due cose insieme, evidenteme­nte sono troppe!». Obietto: «Preoccupar­si per l’inesperien­za di una persona mi pare legittimo». Replica:

«Facciamo lotta agli scafisti, ma anche salvataggi­o. Salvare una vita umana in mare è un dovere. Per tutti. Punto»

«Ero il ministro degli Esteri italiano e venivo da otto anni in Parlamento. Ci sono premier in Europa che non hanno mai fatto attività parlamenta­re». Come Matteo Renzi, o come il francese Emmanuel Macron.

Macron ha sconfitto Marine Le Pen alle Presidenzi­ali francesi. L’Europa è salva?

«L’elezione di Macron dimostra una cosa semplice: chi prevedeva che l’Unione Europea si sarebbe sciolta si sbagliava».

Il vento sovranista si è fermato?

«Per competere o cooperare a tutti i livelli con la Cina, l’India o gli Stati Uniti, l’unica protezione possibile è quella europea. Riconquist­iamo sovranità, solo se agiamo insieme. Non dico che l’Europa sia una casa perfetta. Ma se non ti piace una riforma del governo italiano, non cominci a dire che sei anti-italiano. Al massimo auspichi un cambio delle politiche di governo».

In Italia la dialettica tra sovranisti ed europeisti è ancora forte. Oltre a Lega e a Fratelli d’Italia, il M5S…

«Posso dirle? Con i 5 Stelle a Bruxelles ci lavoro benissimo. Sulla politica estera europea li ho trovati spesso a sostegno».

Stati europei litigiosi, un’unica politica estera…

«Sugli Esteri i Paesi europei si muovono compatti».

Alcuni dossier sono delicatiss­imi. La leggenda narra di uno scontro molto duro tra lei e il ministro degli Esteri iraniano. Era presente anche l’allora Segretario di Stato obamiano, John Kerry.

«Nei negoziati capita che i toni si facciano duri. Durante quello sul nucleare iraniano, posta di fronte a un ultimatum, dissi:“Se le cose stanno così interrompi­amo tutto e ci vediamo tra sei mesi”. Mohammad Javad Zarif replicò:“Mai minacciare un iraniano”. Sospesi la seduta. Il giorno dopo eravamo di nuovo al tavolo, in un clima decisament­e positivo. Tanto che siamo arrivati all’accordo».

Molti Paesi europei alzano muri. Si rifiutano di ospitare i migranti. In Italia è scoppiato il caso delle Ong.

«Preferirei non parlarne».

Mogherini cammina sotto al sole. Le chiedo perché non si voglia pronunciar­e sulle Ong. Spiega: «Sono tra i pochissimi che reputano sia meglio non commentare un’inchiesta in corso». Insisto: si sarà fatta un’idea…

«Al largo della Libia è in corso un’operazione militare europea. Facciamo lotta agli scafisti, ma anche salvataggi­o. Salvare una vita umana in mare è un dovere. Per tutti. Punto».

Quando arrivano i profughi, spesso scoppiano rivolte xenofobe.

«In Giordania e in Libano ci sono milioni di rifugiati. In Etiopia sono più di 800.000. In molti Paesi europei scarseggia l’onestà intellettu­ale: nessuno mi potrà mai convincere che 100, 1.000 o anche 10.000 rifugiati possano costituire un problema economico o sociale per uno Stato europeo».

È vero che lei si occupa di migranti da quando era ragazza?

«Da quando ho cominciato a fare politica, da adolescent­e».

Infanzia capitolina.

«Roma Nord. Gravitavo intorno a Ponte Milvio».

Suo padre era regista.

«Passavo molte ore in moviola con lui. All’epoca non c’era il montaggio digitale, si faceva con lo scotch. Lui mi dava gli avanzi di pellicola e io incollavo degli spezzoni di film».

Gente del cinema: serate con attori e cene con artisti?

«Macché. Sabato sera in pizzeria e domenica pomeriggio sul divano per guardare il Gran Premio di Formula 1».

La prima esperienza politica?

«Al liceo Lucrezio Caro. Divenni rappresent­ante di Istituto».

Era figicciott­a, cioè militante della Federazion­e giovani comunisti italiani.

«Sezione di via della Farnesina».

La stessa a cui era iscritto Enrico Berlinguer.

«Sì, ma quando la frequentav­o io, nell’ 89, era tutto già in

trasformaz­ione. Diciamo che non ho incrociato molto la storia del Pci».

Non è mai stata comunista?

«Il Muro di Berlino è caduto quando avevo sedici anni. Partecipai al congresso di scioglimen­to della Fgci: storico, ma lo trovai anche abbastanza folclorist­ico. All’epoca ero impegnata soprattutt­o nell’ Associazio­ne“Nero e non solo”, ci occupavamo di razzismo. Mi sono riavvicina­ta al Pds solo nel 1996, con la campagna elettorale per Prodi. A quei tempi, per guadagnare qualcosa durante gli studi lavoravo in un minuscolo call center».

Università?

«Scienze Politiche. Prima di cominciare andai a Londra qualche mese. Studiavo e lavoravo in un McDonald’s. Gli italiani erano all’ultimo gradino sociale».

Mogherini sale i gradini finali che si affacciano sul piazzale con compostezz­a istituzion­ale. Secchionis­sima, fa parte della celebre generazion­e Erasmus. Le sottopongo una polemicuzz­a: per celebrare il trentennal­e del progetto Erasmus ha realizzato un video nel cui sfondo spunta un poster di Barack Obama. Un po’ troppo filo-obamiana?

«Quello che si intravede è il manifesto della campagna di Obama nel 2007: c’è scritto Hope, speranza. Ce l’ho da allora. Mi ricorda che anche le cose che sembrano impossibil­i possono realizzars­i».

Lei ha conosciuto Obama?

«L’ho visto quando lavoravo come funzionari­a dei Ds e del Pd: ero lì, negli Stati Uniti, quando ha vinto le sue prime primarie e le elezioni del 2008. Poi l’ho incontrato ufficialme­nte da ministro degli Esteri italiano e diverse volte da Alto Rappresent­ante. Il mio staff mi prende ancora in giro per il sorriso a trentadue denti che sfoggiai in occasione della prima foto con Obama».

Ora c’è Trump…

«Ho instaurato un buon rapporto con Mike Pence».

… il vice presidente degli Stati Uniti…

«Ci siamo incontrati più volte e ci sentiamo spesso. In alcuni casi abbiamo posizioni e obiettivi politici diversi, ma l’amministra­zione Trump per l’Europa potrebbe anche essere un’occasione».

In che modo?

«Se gli Stati Uniti decidesser­o di fare inversione a U, sfilandosi da alcune battaglie e da alcune zone del pianeta, l’Ue diventereb­be per molti il nuovo interlocut­ore naturale». È tempo di selfie e di foto al paesaggio. La scorta tiene d’occhio il piazzale. Clic. Mogherini dice: «Erano anni che non venivo qui». Provoco: «Com’è essere ministra degli Esteri europea e madre?». Risposta sorridente ma un po’ piccata: «Se fossi stata un uomo me lo avrebbe chiesto?». Mento: «Sì, certo». «Le mie figlie mi mancano moltissimo: Caterina ha dodici anni, Marta sei».

Riti famigliari.

«Quando sono a casa ci svegliamo alle 6 e 20 e facciamo colazione insieme. Nei week-end la mattina cuciniamo i pancake. Sto almeno un giorno a settimana a casa».

Lo staff mormora. Mogherini arrossisce.

«Diciamo che provo ad avere un po’ di tempo per noi. Come quando le ho portate al concerto di Jovanotti a Bruxelles».

La cosa che le pesa di più…

«Non c’è un momento della mia vita in cui non ci sia qualcuno che sa esattament­e dove sono e che cosa faccio. Non sono mai sola. Mi manca la normalità, la libertà. La mia quotidiani­tà si è interrotta tre anni fa. Ma quando finisco riprendo a vivere».

E chi ci crede?

«Ci creda. Ci creda».

«Sono stata iscritta alla stessa sezione di Enrico Berlinguer. Era il 1989, tutto era diverso. Diciamo che non ho incrociato molto la storia del Pci»

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Bacioni da Firenze. Firmato: mamma
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Confesso, punto sempre in alto
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