GIOCA SE VUOI ESSERE SERIO
Con 120 campetti da gioco sparsi in tutta la città, Milano batte Manhattan. E si gioca la partita dell’integrazione
« F“FALLO?”. NEI FILM SUCCEDE e va bene, ma non è che in certi due-contro-due o tre-contro-tre al Parco delle Cave o in viale Argonne o in via Dezza sia poi una roba da marziani: tu sei appena andato per terra con una manata sulla faccia da urlo, fallo tutta la vita, ma lui te lo chiede apposta per metterti alla prova e non esiste che tu dica sì.Ti alzi, stai zitto e si continua. Per chi non è solo un tifoso ma ci gioca, a basket, il vero punto di orgoglio di Milano rispetto al resto del mondo non è stata l’Expo: no, è il numero dei playground dove puoi giocare in città. E Milano ne ha centoventi, uno più di Manhattan e tanti quanti ce ne sono a Parigi e Londra. D’accordo, Milano non ha avuto Spike Lee a girarci He got game né il galeotto Denzel Washington a sfidare il figlio all’ultimo canestro per deciderne la vita. Ma è anche sul cemento dei suoi campetti che si gioca l’integrazione in una città che nei momenti di picco degli arrivi, tra quelli che salgono da Lampedusa quelli che arrivano dall’Asia e quanti giungono dai Balcani, ha raggiunto lo scorso inverno punte da trecento nuovi stranieri ogni notte solo nell’hub di via Sammartini, di fianco alla Centrale. Il posto dove i tiri da tre punti se li contendono filippini e cinesi. Gli africani li trovi in Parco Sempione. I sudamericani in via Tabacchi. E ad averne voglia si potrebbe davvero fare una mappa sociologica basata sul colore delle schiacciate. Di fatto anche qui la svolta è arrivata almeno in parte con gli smartphone. E anche con l’Expo di cui si diceva, a parte tutto. Perché almeno in una certa percentuale la moltiplicazione dei playground milanesi era cominciata proprio in vista dell’esposizione universale: dove “arriveranno in venti milioni da tutto il mondo”, si diceva. E in effetti di gente ne è arrivata tanta. Quasi tutta tra i padiglioni, però. Per giocare a basket in giro per la città non c’era da far la fila. E a parte tutto va detto che un regalo assai concreto al basket milanese l’Expo lo ha lasciato visto che uno dei campi più gettonati anche di notte è oggi, al parco la Spezia, quello che era stato il padiglione della Coca Cola. In previsione di quella ipotetica folla poi erano state create app che un senso l’hanno avuto eccome. Per esempio, Playground Milano: la scaricavi, ti segnalava il campo più vicino a te e ti diceva anche quanti e quali giocatori potevi trovarci in quel momento.
OGGI ANCHE MILANO È CENSITA su Courts of the World, uno dei portali dove puoi trovare i campi esistenti in (praticamente) qualsiasi città del mondo. E te li puoi selezionare in base a vari parametri. La classifica dei“Best rated” vedeva al primo posto il Campetto Argonne che i cantieri della M4 spazzarono via e che poi è tornato, seguito nell’ordine da Parco Sempione, Quartiere Feltre, Parco delle Cave, Parco Nord e via a scendere. In corrispondenza di ciascuno di questi, il sito ti indica anche gli altri più vicini. E se scorri all’indietro le chat rimbalzate dall’uno all’altro
Un sito ti aiuta a sapere chi sta giocando sui vari campi in ogni momento. Per esempio, alle 19,38 di giovedì in parco Sempione avresti trovato Alessandro 87milano, Jurafan e Bree24, all’Argelati Toho
trovi vecchi commenti come quelli di Marco Rigamonti che già due anni fa ricordava come «da ragazzo, al campetto del parco Sempione, una volta Gallinari mi ha scardinato una mandibola: che bei momenti».
CLASSIFICHE CAMBIATE NEGLI ANNI. Tanto tempo fa, per esempio, sul playground di Piazzale Lotto spuntò una sera anche Kevin Durant direttamente dall’Nba. Una volta in parco Sempione arrivò Kobe Bryant. Ma la verità è che chi fa la differenza sono quelli che ci vanno ogni sera, non le star. E alle 19,38 di giovedì scorso per esempio, è lì che il sito aiuta, tu potevi sapere che se fossi andato in quel momento in parco Sempione ci avresti probabilmente trovato Alessandro87Milano, Bree24 e Jurafan, mentre a Parco Argelati potevi trovarci Toho. Facce che sul sito puoi vedere solo registrandoti. Se te le fanno vedere. Oppure andandoli a cercare sul campo. Oltre a quanti, naturalmente, non hanno bisogno di cercarsi sul sito perché il playground è il loro sottocasa. Dove basta una palla. E dove l’arbitro di te stesso, l’unico a decidere se quando lo spingono in terra chiama“fallo” o si rialza, sei tu. Che alla fine, per chi l’ha provata, è sempre una bella sensazione.