(NON) SIAMO MUSICISTI DA QUATTRO SOLDI
Per padroneggiare uno strumento servono talento, sacrifici e anni di studio. Eppure la maggioranza dei suonatori non ha il posto fisso e guadagna quanto un operaio
PORTICI DI BOLOGNA, VIA INDIPENDENZA. Un violinista suona una danza ungherese di Brahms. E si vede che per lui, quei portici, sono come il soffitto del ‘700 del teatro comunale. Ai suoi piedi, la custodia aperta del violino. Dentro poche banconote in un mare di monetine. «Scusi, dove ha studiato per addomesticare così il violino?», domandiamo. «In conservatorio», è la risposta. In effetti, si sente. E che ci fa qui? «Suono anche in un’orchestra. Ma non è un impiego stabile: sono un “aggiunto”, devo arrotondare. Così suono per strada. La gente ti dice: “Sei bravissimo, dovresti suonare a Sanremo”. Pensa di farti un complimento... ». «E quanto si guadagna?». Pessima, pessima domanda. Il nostro violinista si irrigidisce. Agli italiani puoi chiedere, a scelta: a) se tradiscono la moglie/il marito; b) che partito voteranno alle prossime elezioni; c) se saltuariamente fumano marijuana. E ti risponderanno con disinvoltura. Ma della busta paga no, non si parla. Accidenti ai colleghi di 7! «Ci devi spiegare quanto può guadagnare oggi un musicista
fatto e finito», mi hanno chiesto. La smorfia nella faccia del violinista non lascia dubbi: non sarà un’impresa facile. «Facciamo un patto: questo è il mio biglietto da visita, io le garantisco che non farò nomi nel pezzo, e lei mi racconta come stanno le cose». Affare fatto. «Nei periodi senza ingaggi in teatro arrotondo con i matrimoni (anche 300 euro per un pomeriggio di lavoro, una pacchia, ma purtroppo la gente si sposa sempre meno). Oppure suonando per strada. Due ore la mattina valgono in media 30-40 euro. Nelle giornate fortunate arrivi a 70-80. Scelgo
«Quando svuoto la custodia del violino scende una pioggia di monete. Molte sono rosse. Un giorno, però, ci ho trovato anche una busta bianca. Con dentro cento euro»
città dove nessuno mi conosce. Regolamenti comunali permettendo. Quando svuoto la custodia scende una pioggia di monete. Molte sono rosse. Un giorno, però, ci ho trovato anche una busta bianca. Con dentro cento euro. L’ho segnato sul calendario». Dopo aver parlato con direttori artistici e di conservatorio, discografici, manager, direttori d’orchestra, sindacati di categoria, solisti e orchestrali di diversa fama ed esperienza, si arriva alla seguente conclusione: la maggioranza dei musicisti a fine mese porta a casa quanto un operaio. Certo, ci sono anche i Marchionne della musica, con cachet da decine di migliaia di euro a serata. Ma restano eccezioni. Da notare: parliamo di Musicisti con la M maiuscola. Quelli che hanno studiato nei conservatori o in scuole parificate, dedicando ore e ore all’esercizio. «La carriera da solista, in particolare, s’inizia da piccoli, piccolissimi», fa notare Ruben Jais, direttore artistico dell’Orchestra Verdi di Milano. Imboccano questa strada i bambini affiancati da qualcuno che ne segue la preparazione fin dai 6-7 anni. Ora, con la concorrenza di cinesi, russi e coreani, anche dai 4-5».
MENTRE I SOLISTI SONO FREELANCE per definizione, in orchestra si può aspirare a un sudato posto fisso. Quelle che si esibiscono tutto l’anno sono poche. A Milano, oltre alla Scala, sono stabili l’Orchestra Verdi e quella dei Pomeriggi Musicali. Alla Verdi un violino di fila guadagna – netti in tasca – 1.500-1.600 euro al mese. Arriva fino a 2.500 euro se conquista un ruolo di “prima parte”. Il massimo per un orchestrale è entrare in una delle 14 fondazioni lirico sinfoniche d’Italia. Ancora meglio se in una delle due a statuto speciale: la Scala, a Milano, e Santa Cecilia, a Roma.Verso le cinque del pomeriggio si possono incontrare nelle gelaterie del centro di Milano i musicisti della Scala in libera uscita, tra la fine delle prove e l’inizio dello
spettacolo. Un violinista di fila apre la sua busta paga. «Al massimo degli scatti di anzianità guadagniamo 2.300 euro al mese netti per 16 mensilità. In più, chi si esibisce con la Filarmonica della Scala da libero professionista può portare a casa netti, a fine mese, circa 800 euro. Insomma, lavorando sette giorni su sette si arriva a 3.100 euro netti al mese». Certo, per il nostro violinista entrare alla Scala non è stato semplice. Tre prove da superare. Le prime due “al buio”. Cioè suonando nascosto dietro una tenda. Quello del musicista è uno dei pochi mestieri in cui le raccomandazioni servono a poco. Grazie allo statuto speciale, Scala e Santa Cecilia sono diventate come la Fiat per il settore metalmeccanico: questi due enti lirici si sono sganciati dal contratto nazionale e rinnoveranno in autonomia ciascuno il proprio contratto. A Milano la Fials, il sindacato autonomo degli orchestrali, spiega che le trattative in sordina sono partite. Mentre il contratto degli altri enti lirici, scaduto nel 2009, resta al palo. Gli archi sono i più numerosi in orchestra. Per molti altri strumenti le possibilità di un lavoro dipendente sono ridotte o mancano del tutto. Prendiamo i tantissimi pianisti. O si fanno assumere da un teatro lirico come accompagnatori dei cantanti durante le prove. O non resta che puntare sulla carriera da solisti, in libera professione. «Per uno che arriva migliaia si fermano lungo la strada», evita di coltivare illusioni la direttrice del Conservatorio di Milano, Cristina Frosini. «In ogni caso non bisogna demordere: chi ha talento, passione, capacità di reggere lo stress e dedizione può certamente farcela». Guadagnando quanto? I pianisti più famosi al mondo, che stanno sulle dita di una mano o al massimo due, possono
arrivare a 70 mila euro lordi a esibizione. Le loro agende vanno prenotate anche con anni di anticipo. Per quanto riguarda i nomi top del jazz, 30 mila euro a esibizione sono già un compenso lordo da testa di serie. Da cui bisogna sottrarre le spese.
DA NOTARE: I CACHET DEI SOLISTI di musica classica sono comunque inferiori a quelli di cantanti lirici e direttori d’orchestra. Entrambi possono arrivare anche a 100 mila euro a esibizione. Ma parliamo delle stelle del palcoscenico. E gli altri? «Uno strumentista ha sempre il proprio strumento a portata di mano per esercitarsi, un direttore d’orchestra no. Dunque all’inizio della carriera capita spesso che ti venga proposto di dirigere anche solo in cambio di un rimborso spese “per fare esperienza” o magari “per farsi notare”. Ed effettivamente per molti può essere un’occasione ghiotta. Ma non dobbiamo permettere che diventi la normalità!», dice la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, una delle rare donne in un mondo di uomini. A chi non riesce a entrare nel manipolo degli artisti più conosciuti, non resta che garantirsi parte delle entrate con l’insegnamento. Nelle scuole medie musicali o nei 142 licei musicali nati da sei anni a questa parte. Poi ci sono le lezioni private a partire da 25-30 euro l’ora in nero. I musicisti jazz suonano nei club. Qui il cachet va dagli 80 ai 150 euro, a seconda del nome e della capienza della sala. Ma molti bravissimi giovani si rendono disponibili anche per 50 euro. Nei festival la richiesta media si aggira sui 350 euro a serata. Tra i musicisti che si dividono tra esibizioni e insegnamento c’è il flautista jazz Carlo Nicita: «Il problema è che le 24 ore non bastano. Ogni evento va pubblicizzato, magari su Facebook. Dobbiamo fare anche i promotori di noi stessi». Boccata d’ossigeno è riuscire a entrare nelle orchestre che hanno contratti con la Tv, come quella di Paolo Belli con Ballando con le stelle o di Mattino in famiglia. Ma questo lavoro non è conciliabile con l’insegnamento e l’anno dopo devi sperare che la Rai rinnovi il contratto. Ultimo ma forse più importante: ci sono anche i cosiddetti home concert. Un privato mette a disposizione la sua casa ad appassionati di classica o jazz. Trenta invitati a 10 euro a testa fanno 300 euro. Che per un trio o un duo vogliono dire 100-150 euro ciascuno. Rigorosamente in nero. Con questo metodo si evita di pagare i contributi Enpals ma difficilmente si arriva alla pensione. Per avere un anno di contributi bisogna lavorare almeno 120 giornate.
CHI POI PENSASSE DI FAR TORNARE I CONTI a fine del mese con le vendite dei cd è meglio che cambi subito idea. Nell’era di internet, il cd per il solista è poco più di un biglietto da visita. «Molti giovani ai primi passi sono riusciti a prodursi il proprio cd tramite le piattaforme di crowdfunding » , racconta il pianista Enrico Intra, coordinatore dei corsi di Jazz della Civica Scuola di musica Claudio Abbado di Milano. Costi? 2-3.000 euro sono la base per una registrazione in economia. Poi bisogna autopromuoversi. Chi fa sul serio deve considerare 15 mila euro per la registrazione più altrettanti per produzione, distribuzione e marketing.Visto che le vendite di un cd di classica o jazz in Italia si fermano a qualche migliaio di copie (diciamo sotto le 5.000) ma ne servono circa 10 mila per rendere l’operazione profittevole, nelle valutazioni delle case discografiche oggi il cd vale la candela se vende anche all’estero. «Un solista deve avere una dimensione internazionale. Per questo può essere utile sfruttare le potenzialità dell’online», consiglia Luciano Rebeggiani, direttore del settore classica e jazz di Sony Music Italy. Attenzione: «Le 3.000 copie vendute da un bravo pianista di classica o jazz possono diventare 30 mila per i crossover, artisti che abbinano le competenze della classica con la personalità e la fama dei cantanti pop», mostra un orizzonte Riccardo Vitanza, fondatore e direttore dell’agenzia Parole & Dintorni che segue artisti come Ligabue, Zucchero e De Gregori. Ma questa è tutta un’altra musica.