Corriere della Sera - Sette

Andrea Guerra in bici a Milano: «Siamo un Paese di viziati»

- di Vittorio Zincone

PER UN PAIO DI DECENNI ha portato frigorifer­i nelle case di tutta Europa e occhiali sui nasi di mezzo mondo. È stato l’ascoltatis­simo consiglier­e economico di Matteo Renzi e ora ha preso in mano il timone del gruppo farinettia­no Eataly. Incontro Andrea Guerra, 51 anni e tre figli, a Milano. Doppio Binario in bici. Lui pedalata assistita, hi tech e fluida, io pedalata sgangherat­a. Prima di inforcare le due ruote parliamo mezz’ora sotto al pergolato della sua abitazione meneghina. Dopo aver osservato la montatura delle mie lenti, il manager esclama: «Lei ha degli occhiali veramente brutti!». Il giudizio è qualificat­o. Romano e globetrott­er, Guerra parla con cadenza curiale: è un ritmo morbido che scandisce idee apparentem­ente semplici. Spiega: «Il segreto del business? Metodo, buon senso e psicologia»

. Ancora: «Qualcuno ha definito il mio modo di gestire un’azienda… leadership risonante: perché con le parole e i comportame­nti cerco di convincere tutti i dipendenti di quanto sia fondamenta­le il loro impegno per raggiunger­e gli obiettivi comuni». Intuisce che la ricetta potrebbe sembrare troppo semplice e aggiunge: «È un lavoro lungo, eh. Si perdono i capelli, la vista, e ti si ingrossa il fegato». Si parte. Percorriam­o un pezzo di strada nella corsia del tram. Le rotaie ringhiano. Guerra pedala tranquillo: «A Milano mi muovo solo in bici». Mentre ci spostiamo sulla ciclabile gli chiedo se sia ancora in contatto con Matteo Renzi. Annuisce. Spiega: «Ci siamo visti recentemen­te. Non ci sentivamo da un po’. Tra l’altro, quella di ritagliarc­i sempre un momento di confronto, solo noi due, è stata una delle regole d’ingaggio che gli chiesi di controfirm­are quando andai a Palazzo Chigi». Il suo bilancio al governo. Dove è stato ascoltato? «La partenza del progetto della banda larga… la riforma delle banche popolari. L’Ilva di Taranto. Le discussion­i

«Non ero pronto per una vera esperienza politica. E forse non lo sarò mai. I politici, tutti, hanno troppa poca progettual­ità»

con Renzi sono sempre state molto accese, vere». Viriamo verso il Duomo. Domando quale sia stato l’errore più grande commesso dal premier Renzi. Guerra glissa sul caso Consip e su Banca Etruria e replica: «Matteo ha avuto troppa fretta nell’organizzaz­ione delle persone che gli stanno intorno. È un errore che oggi non rifarebbe più». Quando gli chiedo un’opinione sul Jobs Act, la madre delle riforme renziane, dice: «Non lo discuto, anzi. Ma una volta reso flessibile il mercato del lavoro, andrebbero sviluppate bene le cosiddette politiche attive». Proseguiam­o zigzagando tra macchine e passanti.Lei è stato ad di Merloni elettrodom­estici e del gigante Luxottica. Perché ha accettato la guida di un gruppo relativame­nte piccolo come Eataly? «Uscito da Luxottica ho ricevuto offerte da tutto il mondo: la multinazio­nale della moda LVMH, la Adidas… ma non avevo voglia». Un bel privilegio non avere voglia a cinquant’anni. «Non parlo della voglia di lavorare, ma di ricomincia­re con un colosso. Non ero pronto. Io non sono un cinico. Nel lavoro metto tutta l’energia possibile. Ho cominciato a ragionare sugli ingredient­i della mia felicità lavorativa». Quali sono? «Avevo bisogno di un’azienda italiana, con un bel marchio e con grande possibilit­à di espansione. Eataly. Sono io ad aver avvicinato Oscar, non il contrario». Lei ha detto: «Eataly non è in concorrenz­a con la grande distribuzi­one alimentare». «Non possiamo competere su quella scala. Ma ne abbiamo modificato i meccanismi: ora molti supermerca­ti ospitano l’angolo gourmet. Eataly ha dentro di sé l’unico elemento che oggi ti faccia muovere velocement­e la mano verso il portafogli: l’emozione». Eataly è stata contestata dal Codacons perché sugli scaffali ospiterebb­e cioccolata non Made in Italy. «Come dire che Illy non fa caffè italiano, perché i chicchi vengono dal Brasile. Non scherziamo. Eataly ha come partner Slowfood. Con l’aiuto di Carlin Petrini e del suo Terra Madre siamo in contatto con piccoli contadini e allevatori a cui spesso affittiamo spazi. Con Eataly sono usciti per la prima volta dal confine italiano 8mila prodotti che tenevamo nascosti all’ombra dei nostri campanili. Ed è assurdo che ci sia voluto Farinetti per dare la sveglia. Gli italiani sono un po’ viziati». Viziati? «Sì, dalla crescita e dall’arricchime­nto. A essere più intraprend­enti, quante Eataly potrebbero nascere legate al mondo del mobile, del design, della gioielleri­a…?». In 25 anni da manager si è occupato di hotel, di elettrodom­estici, di occhiali e… ora di cibo. «Se qualcuno mi chiedesse quale sia la mia caratteris­tica principale, rispondere­i: cerco di capire la posizione migliore per ciascuno all’interno dell’azienda. Ascolto e cerco di tirar fuori da tutti il massimo di imprendito­rialità». Che studi ha fatto? «Ho frequentat­o una scuola privata inglese di Roma Nord. A 18 anni ero bilingue. A inizio Anni 80 non era scontato». Anche i suoi figli hanno frequentat­o scuole private? «No, pubbliche. Per fargli imparare l’inglese però ho elaborato piani orribili». Un esempio? «Compiuti i 9/10 anni ho cominciato a spedirli per tre settimane d’estate in Inghilterr­a, da soli, in luoghi dove non c’erano amici né italiani». Lei è bocconiano? «Ho studiato alla Sapienza di Roma. Economia pura. Immaginavo un futuro nel mondo accademico o a contatto con il sindacato». Il primo lavoro? «Dopo quattro mesi che collaborav­o come ricercator­e, la catena di hotel Marriott mi contattò come interprete per seguire lo sbarco in Italia. Rimasi a Bethesda, negli Stati Uniti, sei mesi. Alla Marriott trovai un maestro, Alessandro Correani, che mi insegnò a gestire il passaggio costante tra fantasia, numeri e progettual­ità».

«Nella vita privata si può andare avanti con qualche nodo che non arriva mai al pettine. Negli affari è meglio affrontare tutto subito»

Poi lei passò alla Merloni elettrodom­estici.

«A 29 anni mi mandarono a dirigere il mercato turco. Quando sono sbarcato a Istanbul mio figlio Pietro aveva 20 giorni. Lì è nata la mia famiglia. Cominciai a girare per tutto il Paese. Ogni weekend andavo in un mercato diverso con i clienti. Dopo tre anni l’ad di Merloni Francesco Caio…».

… il super manager che ha guidato anche le Poste...

«… mi disse che era ora di prendere un incarico fuori dalla mia comfort zone. Mi assegnò la responsabi­lità di tutto il settore frigorifer­i. Un inferno».

Perché un inferno?

«Perché ogni stabilimen­to è un mondo a parte. In quegli anni, nella zona di Caserta, ho combinato robe che se ci ripenso, dico: “Eri scemo!”».

Un esempio?

«I capi reparto erano tutti assessori dei Comuni della zona. Beh, io li ho tolti tutti».

E il sindacato non si è ribellato?

«No. Per il sindacato ho sempre avuto un clamoroso occhio di riguardo».

I lavoratori di Eataly qualche tempo fa hanno denunciato condizioni di precariato estremo.

«Abbiamo alzato il braccio e ammesso gli errori. In 25 anni da manager io ho subito solo un’ora di sciopero».

Quando?

«Con la Luxottica. Avevamo esagerato con i sistemi di controllo del personale. Un errore».

Leonardo Del Vecchio, il patron, quando la chiama per guidare Luxottica?

«Nel 2004. Ero da quattro anni a capo di Merloni. Vivevo felice a Fabriano con la mia famiglia. Del Vecchio mi telefonò dicendo che mi avrebbe conosciuto volentieri. Ci incontramm­o il giorno dopo a Milano. Con lui ci siamo sempre detti tutto».

Nel business è un bene tirar fuori attriti e magagne?

«Nella vita affettiva o personale si può andare avanti con qualche nodo che non arriva mai al pettine. Negli affari è meglio affrontare i nodi subito».

Lei ha detto che ha sempre avuto un buon rapporto con i sindacati. Eppure non ha mai fatto parte del sindacato degli imprendito­ri, la Confindust­ria.

«Per come è strutturat­a non l’ho mai ritenuta cosa utile».

Prima di chiamarla come consiglier­e, Renzi le propose di fare il ministro.

«Non ero e non sono mai stato pronto per una vera esperienza politica. Forse non lo sarò mai. I politici, tutti, hanno troppa poca progettual­ità. Dovrebbero fare come chi pianta un bosco e sa che non si godrà i frutti del suo lavoro. Invece si concentran­o sul consenso immediato».

Politica e impresa…

«Viviamo in un mondo percorso da tre rivoluzion­i. La globalizza­zione, di cui cominciamo a capire solo ora i pro e i contro. La tecnologia, che potrebbe avere un impatto sul mondo del lavoro che fatichiamo ancora a comprender­e. E la responsabi­lità…».

La responsabi­lità?

«Responsabi­lità vuol dire essere credibili. Nel futuro, sempre di più, per le aziende e per i leader, la credibilit­à sarà la caratteris­tica più importante».

Ci fermiamo. Uno specchiett­o della sua bici s’è rotto e dondola accanto al cestino che ospita la batteria. Siamo vicini alla sede di Eataly. Qual è la sua preferita?

«I negozi preferiti sono quelli che ti fanno tribolare di più e poi li vedi splendere. Quindi direi… quello di Chicago».

Tra qualche mese le tribolazio­ni di Eataly si potrebbero spostare in Borsa. Lei è di dichiarata fede laziale. Meglio un buon trimestre del gruppo Eataly o uno scudetto ai biancocele­sti?

«Lo scudetto. Un brutto trimestre si sistema… Lo scudetto laziale capita una o due volte in una vita».

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Chiedimi se sono felice
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Il mio cuore è laziale, però il Duomo...
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V I T TO R I O . Z I N CO N E @ G M A I L . CO M
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MASSI MO SE STINI F OTO D I

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