Ritorno alla preistoria
Esperto di robot, viaggi nello spazio e mondi alieni, il giornalista del Corriere fa un tuffo nel passato. In Valcamonica, scopre come cucinava, dipingeva e costruiva l’uomo di Neanderthal
GUARDO SPESSO ALLE STELLE per cercare nel loro mistero il nostro futuro su altri corpi celesti. Sono un uomo dello spazio, racconto il coraggio degli astronauti, i viaggi dei robot tra i pianeti, i primi passi in mondi alieni. Ma la stessa emozione mi riserva il passato, la storia della enigmatica scomparsa dell’uomo di Neanderthal, la conquista della Terra da parte dell’Homo sapiens migrato dall’Africa. È la passione della scoperta delle nostre origini, la stessa che ritrovo nelle parole di Ausilio Priuli, l’archeologo che per viverla più profondamente e farla vivere ha creato poco lontano dal lago d’Iseo, in un angolo di bosco tra le pietre incise della Valcamonica, l’Archeopark. Varcando la soglia, quasi per magia, la scienza si trasforma in avventura cavalcando millenni come su una macchina del tempo. Gli adulti diventano bambini curiosi,c’è solo la voglia di scoprire. E invece del notes per gli appunti mi ritrovo in mano un sasso con cui batto
un disco di rame su un tronco. Ascolto i suggerimenti di Ausilio, guardo i gesti delle sue mani nodose («Non sono da intellettuale», dice quasi scusandosi) mentre si muovono con maestria. Pian piano il disco diventa una ciotola e comincio a sentirmi preistorico. Il verde intenso e le montagne sono diventate un altro mondo. Davanti c’è un piccolo lago, qualche piroga e sulle palafitte delle capanne: è un villaggio
di 4 mila anni fa. «Lo abbiamo costruito seguendo le incisioni della valle», nota Ausilio. Entrando tra le pareti di fango e legno provo quasi un brivido, mi sento un intruso. Gli abitanti sembrano usciti a caccia e tutto dentro aspetta il loro ritorno: il focolare, le pelli appese, gli strumenti di selce per tagliare le carni. Ausilio prende in mano una pietra, la guarda, la colpisce con un’altra in un punto preciso e una lama levigatissima si stacca, pronta all’uso. «Qui si può vivere nelle epoche remote partendo da come eravamo 15 mila anni fa per arrivare a 2.500 anni fa, sperimentando tutto quello che i nostri antenati facevano nella loro giornata». Poco lontano, due forni d’argilla con il fumo sembrano regalare anche il sapore del passato. «Ci servono per cuocere pane e ceramica», aggiunge Ausilio e mi racconta la storia di un’idea, la realizzazione di un sogno; è la sua storia, a partire da quando la mamma lo lasciava fuggire tra le pietre della valle che con i loro disegni lo attraevano: lui li registra nella memoria, conosce i sentieri dove si trovano e accompagna qualche visitatore. «Un incontro cambiò la mia vita. Un giorno mi offrii di dare la mano a un signore che faceva tante domande. E più rispondevo, più chiedeva. Alla fine rivelò la sua identità: era un archeologo, un soprintendente». Così anche Ausilio ha trovato la via per diventare archeologo.
«HO AVUTO LA FORTUNA di vivere in una famiglia povera. Mio padre doveva ingegnarsi a costruire tutto ciò che serviva. Lo ammiravo e imparai tante cose». Era solo il primo passo perché voleva scoprire come i “primi uomini” fabbricavano i loro rudimentali arnesi. «Partii per l’Africa, cercando di scoprirlo nei villaggi del Niger, del Burkina Faso e soprattutto in Togo e Benin, dove fino alla fine degli Anni 70 la popolazione Somba viveva come nella preistoria. Ho imparato a piantare pali nell’acqua, a creare vasi d’argilla, a scavare con le braci i tronchi di legno per costruire delle piroghe». Tornato in Valcamonica con l’ambizione di far rivivere attraverso l’esperienza diretta le conoscenze dei progenitori, ha ideato l’Archeopark che si materializzava anche grazie all’intraprendenza di Walter Venturi garantendo l’indispensabile territorio. «Per aiutare tutti a capire le nostre origini, non osservando oggetti morti come nei musei, ma costruendoli e adoperandoli».
Camminiamo, il cellulare è dimenticato, c’è solo la voglia di scoprire, provare. Intorno, adulti e ragazzi corrono nei laboratori. Ci sediamo davanti a piccoli telai, tessiamo bracciali colorati, modelliamo argille, fabbrichiamo strumenti musicali, maciniamo il grano, perforiamo il legno con trapani a volano, fondiamo metalli. Tra i recinti d’animali della fattoria neolitica tiriamo con l’arco: rudimentale ma efficace.
L’OCCHIO SCIVOLA SUL PRATO e sono attratto da un labirinto di pietra. Sembra l’impronta di una civiltà extraterrestre e immagino persino i cerchi lasciati dall’atterraggio di una nave spaziale: fantasie. È l’intrigante percorso iniziatico di purificazione per liberarsi dal male e rinascere a nuova vita ricavato dalle incisioni di Capo di Ponte e Cimbergo. Siamo immersi nel mondo primitivo delle Alpi ricostruito con l’amore del dettaglio. «L’insediamento in Valcamoni
ca», racconta Ausilio, «era scelto per la ricchezza delle acque e degli animali ma anche per la sacralità del luogo grazie a fenomeni che in certe occasioni si manifestano sulle montagne e che inducevano a credere nella presenza di entità soprannaturali. La vetta del Pizzo Badile proietta inquietante nel cielo la sua ombra e un raggio di sole all’inizio della primavera e dell’autunno al tramonto fuoriesce da una fessura del Monte Concarena». Se non fossi cresciuto nella scienza crederei agli extraterrestri sbarcati in questa valle delle meraviglie diventata un’area sacra nella quale i “sacerdoti incisori” graffiavano le pietre per comunicare con gli dei. Ausilio mi trascina in una grotta: nella penombra l’emozione ti porta ai gesti di 10 mila anni fa. Sulle pareti le immagini di animali cacciati accompagnano lo sguardo e rivedo la mano, prima stretta all’arco, impegnata nel tracciare il simbolo di vittorie necessarie alla sopravvivenza. Usciamo nel bosco verso il castelliere: è un villaggio di 3mila anni fa fortificato con tronchi e massi. Nel silenzio c’è l’attesa di un attacco imminente. Il sole sta per calare, resta solo il tempo per salire su una piroga e cogliere tra il fruscio dei canneti il canto degli uccelli. Ho vissuto un giorno da preistorico attraversando in poche ore epoche remote. Vorrei sedermi davanti a una capanna e aspettare il buio e le stelle per raccontarci come la storia continuerà, oltre la Terra, ritrovandoci, davanti all’oblò di un’astronave, ad ammirare l’avvicinarsi di un mondo nuovo.