Carlo Degli Esposti: «C’è un filo che lega Luchino Visconti, “La Piovra” e i miei commissari di successo»
L’adolescenza senza libri, Il conte di Montecristo, Lotta Continua, anni di lavoro raccontando la giustizia, il successo. Merito (anche) di una donna a cui il produttore di Montalbano e Maltese ubbidisce sempre. E di un vecchio sogno (quasi) realizzato
SONO UNA PERSONA ABBASTANZA FEDELE alle amicizie, agli amori e, soprattutto, ai personaggi. Non avrei mai creduto di tradire, per esempio, il commissario Salvo Montalbano. Eppure, lo confesso, è accaduto. E non per una volta sola ma, addirittura, per quattro sere, quelle in cui è andato in onda su RaiUno Maltese. Il romanzo
del commissario, il personaggio magnificamente interpretato da Kim Rossi Stuart, il poliziotto umano (troppo umano) che indaga sulla mafia di Trapani degli anni Settanta e sulla sua vita, sulla sua giovinezza. Ancora sconvolto da quello che avevo fatto (e come faccio a dirlo adesso ad Andrea Camilleri?), sono andato a parlare con l’unica persona che può capirmi: Carlo Degli Esposti, il re Mida dei produttori italiani, come lo chiamano i giornali, il proprietario della Palomar, la casa che realizza sia i film di Montalbano che quelli di Maltese. Ecco che cosa mi ha detto. Il commissario Dario Maltese ha conquistato gli italiani e, soprattutto, le italiane (30 per cento degli ascolti già alla prima puntata). Il pubblico di RaiUno si è arreso incondizionatamente alla malinconia del personaggio. Ho registrato una sola polemica: perché, come succe- de anche in Montalbano, ci deve essere una bionda nordica, preferibilmente straniera, accanto al nuovo commissario? «Se amore vuol dire gelosia, come diceva il vecchio tango, è segno di amore anche questa critica. Ce l’ha insegnato proprio Camilleri con Montalbano, se metti una bionda nordica susciti nelle lettrici e nelle telespettatrici una gelosia bestiale: “Cosa ci fa una stronza settentrionale al fianco di cotanto commissario siciliano?”. La trappola del Maestro è scattata ancora». Da dove viene Maltese? «Tutto è cominciato cinque anni fa. Io sono un topo d’archivio e di biblioteca e vado a cercare le radici delle cose. Mi sono chiesto com’era il racconto originale che diede il via alla Piovra, la serie che sconvolse la tv italiana. E sono andato, con Sergio Silva, a trovare Nicola Badalucco, che ne fu l’autore e che era vecchissimo e sarebbe morto, purtroppo, da lì a poco». Per chi (colpevolmente) non lo sapesse, bisogna dire che Silva è uno dei padri della fiction italiana e che Badalucco è una leggenda. Giornalista dell’Avanti, seguiva i fatti di mafia, ma era innamorato del cinema
«Vado continuamente dal chiroterapeuta. Per farmi snodare il collo, perché è lì che somatizzo ansia e tensione»
e sognava di scriverlo. Un giorno si presentò a Luchino Visconti con una sceneggiatura originale. Visconti la lesse e decise di fare un film. Era La caduta degli dei. Ma continui, la prego, il racconto di com’è nato Maltese. «Badalucco mi svelò che lui aveva proposto alla Rai una storia originale, Il romanzo di Loris. Ma La Piovra poi prese un’altra strada e il racconto non fu usato. “Vendimelo” gli dissi. Così è nato il commissario Maltese». E Loris che fine ha fatto? «Un giorno, uno sceneggiatore ha detto che, a trent’anni di distanza, Loris gli sembrava un nome da pirla e gliene trovò un altro: Dario Maltese. In effetti, suona bene e, a quanto pare, ha funzionato». Perfettamente. Però poi lei mi lascia l’email dello sceneggiatore così gli giro le proteste di quelli che si chiamano Loris e che mi scriveranno quando uscirà l’intervista. Non solo Loris, anche il romanzo è sparito. «Non so se si può dire, ma nel soggetto originale il romanzo c’è (il commissario Loris prende continuamente appunti per scriverlo) e ha un ruolo molto importante. Qui mi devo fermare perché non voglio spoilerare sulla prossima stagione della serie». Forse non ce n’era bisogno ma questo film segna la consacrazione definitiva di Kim Rossi Stuart presso il grandissimo pubblico. Finora non era stato apprezzato fino in fondo per l’attore che è. Mi sbaglio? «Non si sbaglia, è assieme a Luca Zingaretti il più bravo di tutti. Unisce a una finezza, anche di recitazione, una preparazione maniacale. Mi ricordo quando Kim fece, sempre con me, un pianista jazz pazzo (era una storia di Walter Veltroni). Una settimana prima dell’inizio delle riprese, mi implorò per un intero weekend di rimandare di un’altra settimana perché non era ancora entrato nel personaggio, non aveva letto alcuni libri di jazz fondamentali e altri libri, altrettanto fondamentali, sulla schi- zofrenia. Non era in grado di rendere il personaggio per quello che veramente era». Lei gli concesse la proroga? «Aspetti, non è finita qui. Kim si lamentava di non saper suonare il piano: “Ma come, io adesso faccio un pianista e non so suonare il piano?”. Finalmente si gira e c’è la scena del saggio del protagonista al conservatorio. Io mi ero premunito e avevo cercato per mezza Europa (era diventato una specie di sudoku) un bravo pianista con le mani identiche a quelle di Kim (che ha bellissime mani, difficilissime da trovare), una controfigura. Il regista chiede a Kim: “Cosa preferisci: facciamo prima i dettagli o facciamo i totali?”. E lui: “Provo io e poi vediamo che cosa succede”. E si spara tutto un pezzo di Chopin suonato in modo perfetto, lui che una settimana prima sentiva, ed era sincero, di non avere minimamente idea di cosa significasse suonare il piano. Questo rapporto di Kim tra preparazione e recitazione l’ho trovato negli attori americani degli anni Settanta. È quella specie di autismo che hanno gli Al Pacino, i Bob De Niro». In effetti, Rossi Stuart è un attore americano più che italiano. «Se ne sono accorti anche sul web dove, a proposito del suo commissario, hanno fatto il nome dell’ispettore Callaghan, il personaggio di Clint Eastwood». Non è una citazione campata in aria: il commissario Maltese è pettinato come Callaghan e accentua, con gli abiti che indossa, la sua longilineità alla Eastwood. Sospetto che Rossi Stuart su queste somiglianze ci abbia marciato. «Ha studiato tanto anche un eroe come il commissario Cassarà che, prima di essere ucciso dalla mafia, lavorò proprio a Trapani. Per ore ha osservato le foto di Cassarà, perfino il modo in cui portava la cravatta, a che altezza la lasciava cadere, si è informato sui nodi di moda negli anni Settanta». Poliziotti così veri e verosimili se ne sono visti raramente in televisione e anche al cinema. «Gianluca Maria Tavarelli, il regista, ha consultato i giornali del tempo, spulciato le foto degli agenti, soprattutto quelle magnifiche dell’Europeo. Lui è bravissimo a rifare un’epoca senza essere polveroso. Gliene racconto
«Il mio metodo è questo: parto sempre dall’emozione che mi ha lasciato il primo romanzo che ho letto. Ancora oggi è la pietra di paragone per ogni altra storia»
un’altra di Kim. Un giorno, durante la lavorazione, ho detto che fumavano troppe sigarette Maltese e i suoi uomini e ho chiesto di fumare meno. Kim si è subito opposto dicendo che in quegli anni fumavano tutti e fumavano tanto perché era una maniera per uccidersi ed esorcizzare il terrore che li uccidesse qualcun altro». Cosa fa il produttore mentre la serie va in onda e aspetta il giudizio del pubblico? «Io vado continuamente dal chiroterapeuta». Perché? «Per farmi snodare il collo, perché è lì che somatizzo ansia e tensione». Qual era il motivo di tanta ansia? «Sapevo che per la prima serata di RaiUno il commissario Maltese costituiva un salto violento rispetto alla programmazione abituale. Non è urlato. Non è di grana grossa. Il rischio era grande». A lei piacciono da pazzi le storie. Come le sceglie? «Il mio metodo è questo: parto sempre dall’emozione che mi ha lasciato il primo romanzo che ho letto. Leggevo pochissimo da ragazzo, ero parecchio monello. Poi rimasi colpito dalla morte di Totò. Era pomeriggio, rubacchiai qualche soldo in casa e andai all’edicola a comprare il primo giornale della mia vita. Lo lessi tutto e decisi che dovevo mettermi a leggere. Fin lì non avevo mai letto niente. Trovai in casa di mio fratello Il conte di
Montecristo e non lo lessi e basta, ci entrai dentro, mi entrò dentro. Ancora oggi è il mio romanzo di riferimento, la pietra di paragone per ogni altra storia. Continuo a cercare quell’emozione, quel personaggio. Amo la solitudine di Edmond Dantès». Come scoprì Montalbano? «Passai da Elvira Sellerio a Palermo e lei mi diede i primi due romanzi dicendo: “Torna a Roma, leggili e domani l’altro ti interrogo”. Così ho fatto perché è stata una delle poche donne a cui ho sempre ubbidito. Elvira aveva capito prima di tutti che Montalbano era perfetto per la tv». Che differenza c’è tra Montalbano e Maltese? «Montalbano ha un senso della giustizia letterario, altissimo, per fare giustizia può andare anche sopra la legge. Maltese ha un senso della giustizia quotidiano, operativo, il concetto del bene e del male svolto giorno per giorno. Nella fiction si racconta, sotto il velo del romanzo, la vera storia della mafia a Trapani. Non si può scrivere ma un celebre procuratore che a Trapani ha lavorato mi ha chiamato per dirmi: “Non avete fatto un errore nella ricostruzione”. Perché i cattivi del film sono i cattivi veri che c’erano a Trapani e il giornalista è un po’ Mauro Rostagno che indagò su quella realtà fino a morirne». Degli Esposti, lei era di Lotta Continua. So che la chiamavano Papalla, come il pupazzo occhialuto della pubblicità della Philco. Non voglio chiederle se voi di Lotta Continua eravate una lobby oppure i ragazzi della via Pal. Ma voglio dirle che la storia di Lotta Continua è strettamente legata alla storia del commissario Calabresi e lei ha per protagonisti delle sue serie i due commissari più famosi d’Italia. C’è un rapporto, magari psicoanalitico, tra le due cose? «Non avevo mai fatto questa associazione. Nella mia esperienza Lotta Continua è stata tutto salvo che l’omicidio del commissario Calabresi. Nel mio lavoro di tanti anni ho cercato di raccontare la giustizia e far sperare in un mondo in cui, tra l’altro, non si ammazzino commissari, non si condannino gli innocenti e quando uno viene convocato innocente in questura, come il povero Giuseppe Pinelli, possa dimostrare la sua innocenza e uscire dal portone principale per tornare a casa propria». Con quale fiction vuole chiudere la sua carriera? «Dove ho cominciato. Con Il Conte di Montecristo, ci lavoro da tempo. E sarà un Montecristo come nessuno lo ha mai fatto». E chi sarà Edmond Dantès? «Kim Rossi Stuart ovviamente. È un patto che abbiamo stretto molti anni fa. Ha giurato che mi aiuterà a coronare questo vecchio sogno».