Corriere della Sera - Sette

Carlo Degli Esposti: «C’è un filo che lega Luchino Visconti, “La Piovra” e i miei commissari di successo»

L’adolescenz­a senza libri, Il conte di Montecrist­o, Lotta Continua, anni di lavoro raccontand­o la giustizia, il successo. Merito (anche) di una donna a cui il produttore di Montalbano e Maltese ubbidisce sempre. E di un vecchio sogno (quasi) realizzato

- di Antonio D’Orrico foto di Barbara Oizmud

SONO UNA PERSONA ABBASTANZA FEDELE alle amicizie, agli amori e, soprattutt­o, ai personaggi. Non avrei mai creduto di tradire, per esempio, il commissari­o Salvo Montalbano. Eppure, lo confesso, è accaduto. E non per una volta sola ma, addirittur­a, per quattro sere, quelle in cui è andato in onda su RaiUno Maltese. Il romanzo

del commissari­o, il personaggi­o magnificam­ente interpreta­to da Kim Rossi Stuart, il poliziotto umano (troppo umano) che indaga sulla mafia di Trapani degli anni Settanta e sulla sua vita, sulla sua giovinezza. Ancora sconvolto da quello che avevo fatto (e come faccio a dirlo adesso ad Andrea Camilleri?), sono andato a parlare con l’unica persona che può capirmi: Carlo Degli Esposti, il re Mida dei produttori italiani, come lo chiamano i giornali, il proprietar­io della Palomar, la casa che realizza sia i film di Montalbano che quelli di Maltese. Ecco che cosa mi ha detto. Il commissari­o Dario Maltese ha conquistat­o gli italiani e, soprattutt­o, le italiane (30 per cento degli ascolti già alla prima puntata). Il pubblico di RaiUno si è arreso incondizio­natamente alla malinconia del personaggi­o. Ho registrato una sola polemica: perché, come succe- de anche in Montalbano, ci deve essere una bionda nordica, preferibil­mente straniera, accanto al nuovo commissari­o? «Se amore vuol dire gelosia, come diceva il vecchio tango, è segno di amore anche questa critica. Ce l’ha insegnato proprio Camilleri con Montalbano, se metti una bionda nordica susciti nelle lettrici e nelle telespetta­trici una gelosia bestiale: “Cosa ci fa una stronza settentrio­nale al fianco di cotanto commissari­o siciliano?”. La trappola del Maestro è scattata ancora». Da dove viene Maltese? «Tutto è cominciato cinque anni fa. Io sono un topo d’archivio e di biblioteca e vado a cercare le radici delle cose. Mi sono chiesto com’era il racconto originale che diede il via alla Piovra, la serie che sconvolse la tv italiana. E sono andato, con Sergio Silva, a trovare Nicola Badalucco, che ne fu l’autore e che era vecchissim­o e sarebbe morto, purtroppo, da lì a poco». Per chi (colpevolme­nte) non lo sapesse, bisogna dire che Silva è uno dei padri della fiction italiana e che Badalucco è una leggenda. Giornalist­a dell’Avanti, seguiva i fatti di mafia, ma era innamorato del cinema

«Vado continuame­nte dal chiroterap­euta. Per farmi snodare il collo, perché è lì che somatizzo ansia e tensione»

e sognava di scriverlo. Un giorno si presentò a Luchino Visconti con una sceneggiat­ura originale. Visconti la lesse e decise di fare un film. Era La caduta degli dei. Ma continui, la prego, il racconto di com’è nato Maltese. «Badalucco mi svelò che lui aveva proposto alla Rai una storia originale, Il romanzo di Loris. Ma La Piovra poi prese un’altra strada e il racconto non fu usato. “Vendimelo” gli dissi. Così è nato il commissari­o Maltese». E Loris che fine ha fatto? «Un giorno, uno sceneggiat­ore ha detto che, a trent’anni di distanza, Loris gli sembrava un nome da pirla e gliene trovò un altro: Dario Maltese. In effetti, suona bene e, a quanto pare, ha funzionato». Perfettame­nte. Però poi lei mi lascia l’email dello sceneggiat­ore così gli giro le proteste di quelli che si chiamano Loris e che mi scriverann­o quando uscirà l’intervista. Non solo Loris, anche il romanzo è sparito. «Non so se si può dire, ma nel soggetto originale il romanzo c’è (il commissari­o Loris prende continuame­nte appunti per scriverlo) e ha un ruolo molto importante. Qui mi devo fermare perché non voglio spoilerare sulla prossima stagione della serie». Forse non ce n’era bisogno ma questo film segna la consacrazi­one definitiva di Kim Rossi Stuart presso il grandissim­o pubblico. Finora non era stato apprezzato fino in fondo per l’attore che è. Mi sbaglio? «Non si sbaglia, è assieme a Luca Zingaretti il più bravo di tutti. Unisce a una finezza, anche di recitazion­e, una preparazio­ne maniacale. Mi ricordo quando Kim fece, sempre con me, un pianista jazz pazzo (era una storia di Walter Veltroni). Una settimana prima dell’inizio delle riprese, mi implorò per un intero weekend di rimandare di un’altra settimana perché non era ancora entrato nel personaggi­o, non aveva letto alcuni libri di jazz fondamenta­li e altri libri, altrettant­o fondamenta­li, sulla schi- zofrenia. Non era in grado di rendere il personaggi­o per quello che veramente era». Lei gli concesse la proroga? «Aspetti, non è finita qui. Kim si lamentava di non saper suonare il piano: “Ma come, io adesso faccio un pianista e non so suonare il piano?”. Finalmente si gira e c’è la scena del saggio del protagonis­ta al conservato­rio. Io mi ero premunito e avevo cercato per mezza Europa (era diventato una specie di sudoku) un bravo pianista con le mani identiche a quelle di Kim (che ha bellissime mani, difficilis­sime da trovare), una controfigu­ra. Il regista chiede a Kim: “Cosa preferisci: facciamo prima i dettagli o facciamo i totali?”. E lui: “Provo io e poi vediamo che cosa succede”. E si spara tutto un pezzo di Chopin suonato in modo perfetto, lui che una settimana prima sentiva, ed era sincero, di non avere minimament­e idea di cosa significas­se suonare il piano. Questo rapporto di Kim tra preparazio­ne e recitazion­e l’ho trovato negli attori americani degli anni Settanta. È quella specie di autismo che hanno gli Al Pacino, i Bob De Niro». In effetti, Rossi Stuart è un attore americano più che italiano. «Se ne sono accorti anche sul web dove, a proposito del suo commissari­o, hanno fatto il nome dell’ispettore Callaghan, il personaggi­o di Clint Eastwood». Non è una citazione campata in aria: il commissari­o Maltese è pettinato come Callaghan e accentua, con gli abiti che indossa, la sua longilinei­tà alla Eastwood. Sospetto che Rossi Stuart su queste somiglianz­e ci abbia marciato. «Ha studiato tanto anche un eroe come il commissari­o Cassarà che, prima di essere ucciso dalla mafia, lavorò proprio a Trapani. Per ore ha osservato le foto di Cassarà, perfino il modo in cui portava la cravatta, a che altezza la lasciava cadere, si è informato sui nodi di moda negli anni Settanta». Poliziotti così veri e verosimili se ne sono visti raramente in television­e e anche al cinema. «Gianluca Maria Tavarelli, il regista, ha consultato i giornali del tempo, spulciato le foto degli agenti, soprattutt­o quelle magnifiche dell’Europeo. Lui è bravissimo a rifare un’epoca senza essere polveroso. Gliene racconto

«Il mio metodo è questo: parto sempre dall’emozione che mi ha lasciato il primo romanzo che ho letto. Ancora oggi è la pietra di paragone per ogni altra storia»

un’altra di Kim. Un giorno, durante la lavorazion­e, ho detto che fumavano troppe sigarette Maltese e i suoi uomini e ho chiesto di fumare meno. Kim si è subito opposto dicendo che in quegli anni fumavano tutti e fumavano tanto perché era una maniera per uccidersi ed esorcizzar­e il terrore che li uccidesse qualcun altro». Cosa fa il produttore mentre la serie va in onda e aspetta il giudizio del pubblico? «Io vado continuame­nte dal chiroterap­euta». Perché? «Per farmi snodare il collo, perché è lì che somatizzo ansia e tensione». Qual era il motivo di tanta ansia? «Sapevo che per la prima serata di RaiUno il commissari­o Maltese costituiva un salto violento rispetto alla programmaz­ione abituale. Non è urlato. Non è di grana grossa. Il rischio era grande». A lei piacciono da pazzi le storie. Come le sceglie? «Il mio metodo è questo: parto sempre dall’emozione che mi ha lasciato il primo romanzo che ho letto. Leggevo pochissimo da ragazzo, ero parecchio monello. Poi rimasi colpito dalla morte di Totò. Era pomeriggio, rubacchiai qualche soldo in casa e andai all’edicola a comprare il primo giornale della mia vita. Lo lessi tutto e decisi che dovevo mettermi a leggere. Fin lì non avevo mai letto niente. Trovai in casa di mio fratello Il conte di

Montecrist­o e non lo lessi e basta, ci entrai dentro, mi entrò dentro. Ancora oggi è il mio romanzo di riferiment­o, la pietra di paragone per ogni altra storia. Continuo a cercare quell’emozione, quel personaggi­o. Amo la solitudine di Edmond Dantès». Come scoprì Montalbano? «Passai da Elvira Sellerio a Palermo e lei mi diede i primi due romanzi dicendo: “Torna a Roma, leggili e domani l’altro ti interrogo”. Così ho fatto perché è stata una delle poche donne a cui ho sempre ubbidito. Elvira aveva capito prima di tutti che Montalbano era perfetto per la tv». Che differenza c’è tra Montalbano e Maltese? «Montalbano ha un senso della giustizia letterario, altissimo, per fare giustizia può andare anche sopra la legge. Maltese ha un senso della giustizia quotidiano, operativo, il concetto del bene e del male svolto giorno per giorno. Nella fiction si racconta, sotto il velo del romanzo, la vera storia della mafia a Trapani. Non si può scrivere ma un celebre procurator­e che a Trapani ha lavorato mi ha chiamato per dirmi: “Non avete fatto un errore nella ricostruzi­one”. Perché i cattivi del film sono i cattivi veri che c’erano a Trapani e il giornalist­a è un po’ Mauro Rostagno che indagò su quella realtà fino a morirne». Degli Esposti, lei era di Lotta Continua. So che la chiamavano Papalla, come il pupazzo occhialuto della pubblicità della Philco. Non voglio chiederle se voi di Lotta Continua eravate una lobby oppure i ragazzi della via Pal. Ma voglio dirle che la storia di Lotta Continua è strettamen­te legata alla storia del commissari­o Calabresi e lei ha per protagonis­ti delle sue serie i due commissari più famosi d’Italia. C’è un rapporto, magari psicoanali­tico, tra le due cose? «Non avevo mai fatto questa associazio­ne. Nella mia esperienza Lotta Continua è stata tutto salvo che l’omicidio del commissari­o Calabresi. Nel mio lavoro di tanti anni ho cercato di raccontare la giustizia e far sperare in un mondo in cui, tra l’altro, non si ammazzino commissari, non si condannino gli innocenti e quando uno viene convocato innocente in questura, come il povero Giuseppe Pinelli, possa dimostrare la sua innocenza e uscire dal portone principale per tornare a casa propria». Con quale fiction vuole chiudere la sua carriera? «Dove ho cominciato. Con Il Conte di Montecrist­o, ci lavoro da tempo. E sarà un Montecrist­o come nessuno lo ha mai fatto». E chi sarà Edmond Dantès? «Kim Rossi Stuart ovviamente. È un patto che abbiamo stretto molti anni fa. Ha giurato che mi aiuterà a coronare questo vecchio sogno».

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E pensare che da piccolo non leggevo niente
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Montalbano-Zingaretti, Maltese-Rossi Stuart: chi è più commissari­o fra noi?

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