Tutta qui la città (in Alaska)
Un solo palazzone, 217 abitanti arrivati da ogni parte degli Stati Uniti. Appartamenti, al terzo piano la clinica, all’ingresso Ovest l’ufficio postale, nel seminterrato la cappella. Whittier è il luogo più strano e contraddittorio d’Alaska. Dove si litig
LA SIGNORA JUNE PUNTA I BINOCOLI sul canalone morenico del ghiacciaio, che compare e scompare tra massicci banchi di foschia; vapori candidi salgono dal plumbeo Passage Canal e nuvole nere scendono in picchiata dalla Chugach National Forest, come se fuggissero da un orco. Per un attimo, da questa finestra al 14simo piano del Begich Tower, sembra di guardare un video in timelapse; sullo schermo infuria l’Alaska selvaggia, in diretta dal Pleistocene, dall’epicentro della Natura, mentre noi, sofisticati animali da divano, osserviamo da un’altra epoca geologica, in t-shirt dentro un bilocale ingentilito da crisantemi di plastica, all’interno di uno sciatto palazzone da periferia metropolitana. Poi June dice che « neanche oggi Donald si farà vedere, i grizzly con la pioggia non sentono gli odori e non si fidano » . Donald è una minaccia fissa, si è presentato nelle ultime settimane di campagna presidenziale; ai bambini è stato addirittura vietato di andare a sparare alle oche delle nevi giù al porto. Qui a Whittier ha poi vinto Hillary, 62 voti contro 53. Una delle poche eccezioni nell’Alaska di Sarah Palin, l’ex governatrice repubblicana che era già trumpista radicale quando Trump era ancora solo un palazzinaro che sfruttava i messicani clandestini. Difatti Whittier è il comune più fuori dal comune in uno Stato che è già l’espressione estrema dell’impareggiabile stravaganza americana. Persa tra le pieghe montuose del bacino Prince William Sound, un centinaio di chilometri a Sud di Anchorage, all’imbocco della Kenai Peninsula – è la “città” più stramba del mondo. La chiamano infatti city, city under one roof, perché sta quasi tutta qui, nel Begich Tower, 217 abitanti residenti in un enorme caseggiato popolare al centro dei maggiori ghiacciai del continente, tra cui il Billings e il Leonard, esplorati soltanto ai primi del Novecento. « Sono il nostro nido » , dice June, arrivata a Whittier negli anni Ottanta; lei e il suo John, buonanima, non ne potevano più di Chicago, tutta quella promiscuità e quel cemento, volevano « essere lasciati in pace » . Ed è finita in un casermone, governato con regole da caserma, a presiedere la commissione “bellezza e arredo”, ad occuparsi del ricambio dei fiori di plastica o dei nuovi banchi della cappella confinata nel seminterrato; ha traslocato dalla East Side di Chicago per finire qui con vicini che girano per la “città” in pigiama e pantofole, reclusa per settimane o mesi quando non puoi mettere
il naso fuori per via della neve che arriva al primo piano, fino all’ufficio del signor sindaco, Daniel Blair, o dei lupi che assediano l’androne del drugstore di Chou Joe Shen, il thailandese addetto alla cambusa comunale. Dai tempi del Klondike di Jack London l’Alaska per gli americani è l’ultima delle ultime frontiere, richiamo di una foresta interiore, la sfida dell’uomo libero e coraggioso into the wild. Un paradiso non fiscale ma esistenziale, dove nascondere l’anima, dimettersi dal mondo civile e dalle città; oppure dove fuggire dallo sceriffo, in una terra che pare governata dalle sole leggi della Natura.
PERCHÉ ALLORA VIVERE A WHITTIER, nella wilderness alaskiana estrema, ma tutti insieme, vicinivicini, in 192 appartamenti d’un palazzo color crema e pistacchio che sembra la periferia brezneviana di Minsk, o quella Anni 60 di Quarto Oggiaro? « Qui nessuno sa il perché, è accaduto e basta; la gente ha pudore, non vuole rivelare a se stessa la ragione per cui vive in un luogo » , dice il sergente David Schofield, 46 anni, a capo dei cinque poliziotti della stazione di Whittier, nell’androne dell’ingresso Ovest, dove si trova anche l’ufficio postale. David s’è trasferito qui con la famiglia sette anni fa da Seattle: « Stiamo bene, è una bolla nel mondo » . La moglie Annie lavora all’emergency room della clinica, al terzo piano; i figli sono a scuola (36 scolari, tra elementari e medie), che è una moderna struttura – palestra compresa – collegata alla Begich Tower da un tunnel: « La mattina scendono dall’ascensore ed entrano in classe, evitando bufere e orsi » , spiega David. Whittier è governata come gli accampamenti del Far West: alla terza infrazione (il “codice” di Whittier contempla 31 articoli, compresi i divieti di baciarsi nei corridoi o di gettare nel water gli scarti della marijuana che molti coltivano in casa, o l’obbligo di spalare la neve e “donare tempo al prossimo”) si riunisce il consiglio comunale e decide se cacciare il cittadino-condomino.
Perché chi è cresciuto i n Alaska torna sempre i ndietro Dopo aver abbandonato questa ter ra per sempre? Perché nessuno resta l ontano Dopo averlo giurato agli amici? ( Pat O’ Cotter, Why?, 1918)
« L’ultima volta che ho rinchiuso un delinquente in cella è stato quattro mesi fa » , racconta David. « Era uno del decimo che ha rigato il pick-up della signora Brenda Tolman perché non sopporta l’odore delle sue renne, nel recinto di fianco ai garage » . Se i report nazionali danno la criminalità di Whittier allo 0,7 per cento è forse perché da qui non si scappa. L’accesso è via nave dal fiordo del Passage Canal – d’estate le crociere portano migliaia di turisti, unica fonte di reddito, mentre d’inverno quasi tutti dipendono dai lavoretti comunali di sussistenza – oppure attraverso un tunnel di quasi cinque chilometri che perfora il ghiacciaio Whittier. Fino al Duemila era solo un traforo ferroviario (il più lungo del Nord America) e il treno da Anchorage arrivava tre volte la settima- na, tempo permettendo. Poi è stato adeguato alle auto, una sola carreggiata: con la bella stagione ogni 30 minuti c’è il cambio di marcia, d’ inverno ogni ora. Chiude alle dieci di sera e riapre alle sette di mattina. « Di notte Whittier è una prigione, o un’isola; allo spaccio potete trovare le magliette con il nostro marchio, Pow, Prisoners of Whittier. C’è chi pensa di essersi chiuso dentro e chi di essere rimasto chiuso fuori » , dice la maestra Erika Thompson nel suo bilocale dove ogni due per tre qualche ragazzino bussa perché non ha capito bene le frazioni. « Funzioniamo come parte d’un ecosistema con un alto tasso di gossip. Non tutti si amano, ma tutti sono obbligati ad aiutarsi per sopravvivere. Senti sempre qualcuno che dice che deve andare ad Anchorage o a Seattle, ma
poi nessuno si muove, stiamo qui anche per inerzia o forse perché abbiamo paura del mondo » . Whittier infatti nasce come una fortezza Bastiani della Guerra Fredda, e c’è anche un mini-museo, accanto al pub Anchor Inn, che lo racconta. Anzi, la prima base militare fu stabilita subito dopo Pearl Harbor: il 6 gennaio del 1944, un giorno quando furono superati i meno trenta, per intrattenere i 42 marine di stanza arrivò anche una troupe, e l’unica a non lamentarsi fu la star venuta dal freddo, certa Ingrid Bergman. Negli Anni 50 Whittier divenne avamposto antisovietico: l’aviazione Usa costruì un primo complesso, il Buckner, e poi il Begich Tower, che ospitava le famiglie dei militari. Già nel 1960 il Pentagono ordinò la smobilitazione, ma a quel punto molti “prigionieri” di Whittier capirono che un posto così il destino non te lo riserva a caso e accesero un mutuo collettivo per 200mila dollari per acquistare il Begich Tower. « Restammo. Avevo cinque anni, me lo ricordo il primo Natale » , dice Larry Bussman mentre rassetta la barca incurante della pioggia, « una gran festa nella hall, eravamo una settantina, una sola famiglia » . E sono arrivati i Venerdì Santi. Quello del 1964, il più grande terremoto della storia americana, 9.2: ad Anchorage venne giù tutto ma il Begich tenne botta, resse anche tre onde di tsunami alte 13 metri, i genieri dell’esercito avevano sperimentato una formula antisismica che è ancora un riferimento mondiale. Altro Venerdì Santo, quello del 1989: dall’altra parte del fiordo la petroliera Exxon Valdez riversa 12mila metri cubi di greggio nella baia. « Molti di noi pensarono di lasciare Whittier, che era una maledizione. Invece qui venne stabilita la centrale delle operazioni di ripulitura, arrivarono diecimila volontari. Alcuni si fermarono, entrarono nella famiglia » . E Whittier continuò a vivere assurda e contenta – orso Donald permettendo.