Cronaca di uno sbarco a Reggio Calabria
«I-TA-LIA! I-TA-LIA»: UNA VOCE SOLA, dalla nave alla banchina. In mezzo, ancora per poco, il mare. Porto di Reggio Calabria, domenica 7 maggio, dieci del mattino. Prima dello sbarco i migranti e gli operatori cantano insieme. Sulla terraferma c’è un arcobaleno di pettorine: giallo fluo per il ministero della Salute, giallo-nera per la Protezione Civile; blu per il Coordinamento Diocesano Sbarchi, rossa per l’omonima Croce internazionale, rossobianca per il 118. A bordo 731 persone. Indossano una tuta, molte hanno un asciugamano come fascia per capelli. Soccorse in acque internazionali, fino a venerdì viaggiavano su due imbarcazioni di legno e quattro barconi. «Siamo stati contattati dal centro di coordinamento del soccorso marittimo del ministero dei Trasporti», spiega Natalia Lupi, ufficio comunicazione della Ong Sos Mediterranée, proprietaria della nave Aquarius e partner di Medici Senza Frontiere. «Il radar segnalava nell’area altri venti mezzi: abbiamo chiesto e ottenuto rinforzi per tredici ore di operazioni».
A REGGIO CALABRIA, da gennaio a aprile, sono sbarcate 1.900 persone. «Negli ultimi tempi qualcosa è cambiato», racconta un medico sulla banchina. «La durata del loro viaggio si è accorciata: oggi sono massimo cinque giorni. Quasi il 40% soffre di scabbia, ma si debella in tre giorni», aggiunge. «Questi arrivi non sono un problema per la salute pubblica: su 700, la media è di dieci ricoveri». Guardia Costiera, European Asylum Support Office, Frontex, Unhcr sono tutti in attesa dell’ufficio immigrazione della Questura, che arriva alle 12. «Hanno firmato l’ordine di servizio in ritardo», mormora qualcuno. Alle 12.10 sale a bordo il prefetto Michele Di Bari, poi, con un applauso, la prima persona tocca terra. Sorride. È scalzo. Il personale del ministero della Salute gli controlla la temperatura, passa alla tenda del triage. Ha con sé un braccialetto ed un sacchetto bianco. Riceve ciabatte, merendina, succo di frutta. Si forma una fila ordinata. Gli operatori procedono con i colloqui: una donna con minacce d’aborto dice di essere stata violentata.
IN POCHI MINUTI occorre capire se è maggiorenne e in quale programma possa rientrare: i minori hanno l’obbligo di rimanere nel Comune di sbarco. Due donne si somigliano, una stringe una bimba di un anno. Dalla tenda si esce venti per volta: un numero di riconoscimento sotto al collo, poi la richiesta di generalità e paese di provenienza. La prima foto, la consegna di un altro kit, poi sul pullman verso la Questura, per il fotosegnalamento vero, fino al viaggio nei centri del piano di riparto. Alle 13.14, siamo al numero 83; alle 19.38, al 583. Sale il nervosismo. «I respect everybody ok?», scandisce il mediatore. Qualche battuta e torna il sorriso. Ma quasi 300 persone rimarranno a dormire tra la Capitaneria e le tende. E la bella stagione è appena iniziata.