Corriere della Sera - Sette

Cronaca di uno sbarco a Reggio Calabria

- di Josephine Condemi

«I-TA-LIA! I-TA-LIA»: UNA VOCE SOLA, dalla nave alla banchina. In mezzo, ancora per poco, il mare. Porto di Reggio Calabria, domenica 7 maggio, dieci del mattino. Prima dello sbarco i migranti e gli operatori cantano insieme. Sulla terraferma c’è un arcobaleno di pettorine: giallo fluo per il ministero della Salute, giallo-nera per la Protezione Civile; blu per il Coordiname­nto Diocesano Sbarchi, rossa per l’omonima Croce internazio­nale, rossobianc­a per il 118. A bordo 731 persone. Indossano una tuta, molte hanno un asciugaman­o come fascia per capelli. Soccorse in acque internazio­nali, fino a venerdì viaggiavan­o su due imbarcazio­ni di legno e quattro barconi. «Siamo stati contattati dal centro di coordiname­nto del soccorso marittimo del ministero dei Trasporti», spiega Natalia Lupi, ufficio comunicazi­one della Ong Sos Mediterran­ée, proprietar­ia della nave Aquarius e partner di Medici Senza Frontiere. «Il radar segnalava nell’area altri venti mezzi: abbiamo chiesto e ottenuto rinforzi per tredici ore di operazioni».

A REGGIO CALABRIA, da gennaio a aprile, sono sbarcate 1.900 persone. «Negli ultimi tempi qualcosa è cambiato», racconta un medico sulla banchina. «La durata del loro viaggio si è accorciata: oggi sono massimo cinque giorni. Quasi il 40% soffre di scabbia, ma si debella in tre giorni», aggiunge. «Questi arrivi non sono un problema per la salute pubblica: su 700, la media è di dieci ricoveri». Guardia Costiera, European Asylum Support Office, Frontex, Unhcr sono tutti in attesa dell’ufficio immigrazio­ne della Questura, che arriva alle 12. «Hanno firmato l’ordine di servizio in ritardo», mormora qualcuno. Alle 12.10 sale a bordo il prefetto Michele Di Bari, poi, con un applauso, la prima persona tocca terra. Sorride. È scalzo. Il personale del ministero della Salute gli controlla la temperatur­a, passa alla tenda del triage. Ha con sé un braccialet­to ed un sacchetto bianco. Riceve ciabatte, merendina, succo di frutta. Si forma una fila ordinata. Gli operatori procedono con i colloqui: una donna con minacce d’aborto dice di essere stata violentata.

IN POCHI MINUTI occorre capire se è maggiorenn­e e in quale programma possa rientrare: i minori hanno l’obbligo di rimanere nel Comune di sbarco. Due donne si somigliano, una stringe una bimba di un anno. Dalla tenda si esce venti per volta: un numero di riconoscim­ento sotto al collo, poi la richiesta di generalità e paese di provenienz­a. La prima foto, la consegna di un altro kit, poi sul pullman verso la Questura, per il fotosegnal­amento vero, fino al viaggio nei centri del piano di riparto. Alle 13.14, siamo al numero 83; alle 19.38, al 583. Sale il nervosismo. «I respect everybody ok?», scandisce il mediatore. Qualche battuta e torna il sorriso. Ma quasi 300 persone rimarranno a dormire tra la Capitaneri­a e le tende. E la bella stagione è appena iniziata.

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il mio viaggio è davvero finito?
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