Corriere della Sera - Sette

Le automobili e la guida, secondo Francesco Moser

RICORDI PILOTATI DA STEFANO RODI

- di Stefano Rodi

FRANCESCO MOSER, NATO NEL 1951 a Giovo, in Trentino, è stato il corridore italiano che ha vinto di più in bicicletta. Di strada con le due ruote ne ha fatta tanta: 700mila chilometri circa, quasi venti giri interi della Terra. Più o meno quelli che ha fatto in auto. La sua confidenza con la guida, è cominciata presto « la mia prima auto è stata un trattore. Ho imparato che avevo 12 o 13 anni. Prima solo in campagna, dove andavo

dritto e non c’era pericolo. A 15 anche in strada, ma allora c’erano poche macchine e poi dovevo farlo perché i miei fratelli erano spesso in giro a correre in bici e io ero rimasto l’unico a lavorare». Poi sono arrivate le auto, prima di famiglia: una 750, cioè una Fiat 600 con motore più potente, e poi una Fiat 125. «La prima solo mia è stata una Mini 1000, a 20 anni, nel 1971. «Comunque già allora ho cominciato a guidare auto più sportive, le ammiraglie dei direttori delle squadre nelle quali correvo da dilettante ( le ammiraglie, ndr). Quando sono diventato profession­ista ho preso la prima macchina grande, una Volvo, mi pare 2000 di cilindrata, anche perché cominciavo a macinare tanti spostament­i da solo tra ritiri, gare e allenament­i. Poi solo station wagon, perché dietro ho sempre voluto avere almeno una bici al seguito. Quasi sempre Citroën». Moser, oltre che in bici, quando le strade lo permettono, ha sempre amato andare forte anche in auto. «Mi piace guidare e non mi stanco mai: ho fatto tirate Calabria- Trento un sacco di volte, fermandomi solo per fare benzina e pipì. Il mio record è Lamezia Terme-Trento in 9 ore». Chi corre in bici di solito guida bene anche le auto, «perché siamo avvantaggi­ati: conosciamo le strade, io il navigatore ce l’ho in testa, e in più abbiamo l’istinto per le traiettori­e giuste». Anche se, a volte questo non basta: «A 20 anni, con la Mini stavo salendo a Dobbiaco, sotto una nevicata unica: mi sono girato sulla strada, senza toccare niente, proprio dalla parte contraria e sono dovuto tornare indietro da venivo per riuscire a voltare». Un’altra volta a Corvara, in ritiro. «Avevo una Citroën e stavo scendendo con alcuni compagni di squadra dal Passolongo. La macchina a un certo punto è partita e siamo finiti giù nel prato, in un cumulo di neve. Non ci siamo fatti niente, neanche l’auto, ma c’è voluto il gatto delle nevi per tirarci fuori».

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